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Recensione di Hobo with a Shotgun – ovvero, come entrai in un negozio per un tosaerba e ne uscii con un fucile a pompa

Hobo with a Shotgun (USA, 2011). Diretto da Jason Eisener, con Rutger Hauer, Gregory Smith e Molly Dunsworth.Allora, vediamo d’impostare il tutto in maniera chiara ed inequivocabile. Se questa nostra aspirazione ci costringesse ad approntare delle brevi premesse, e sia! Esistono due modi per approcciarsi – e quindi, successivamente, alludere – a Hobo with a

pubblicato 15 Aprile 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 13:10

Hobo with a Shotgun (USA, 2011). Diretto da Jason Eisener, con Rutger Hauer, Gregory Smith e Molly Dunsworth.

Allora, vediamo d’impostare il tutto in maniera chiara ed inequivocabile. Se questa nostra aspirazione ci costringesse ad approntare delle brevi premesse, e sia! Esistono due modi per approcciarsi – e quindi, successivamente, alludere – a Hobo with a Shotgun. Una delle due è profondamente giusta, mentre l’altra è profondamente sbagliata. Sul concetto di giustizia in ambito cinematografico, lasciamo l’onere ad altri, senz’altro più capaci di noi.

O stiamo parlando di un cult imperdibile, la cui mancata visione scaraventa il malcapitato di turno nel girone di “coloro-che-sono-da-biasimare” per questo (e ci siamo andati leggeri), oppure si tratta di un altro di quei progetti che usano “facili” mezzucci come il gore per ritagliarsi un posto tra le menzioni di coloro che amano un certo cinema – col risultato che, comunque, la produzione non riesce nel suo intento. Se siete riusciti a seguire questa arzigogolata riflessione, vi risulterà agevole comprendere che almeno qualcuno, anche se un gruppo sparutissimo, avrà di che ricordare in relazione a questo film.

La trama è davvero semplice, tanto da sembrare una barzelletta. Ci sono un cattivo dai dubbi gusti, tante persone atterrite dalla di lui figura e un senzatetto. Più avanti scopriremo, come ci dirà un poliziotto, che il nostro protagonista è “nuovo in città“… sì, insomma, un forestiero (anche se noi, furbi, avevamo intuito qualcosa di simile quando un’inquadratura nelle fasi iniziali si era soffermata su un cartello di benvenuto alla surreale cittadina). Il cattivo impaurisce gli atterriti, che a loro volta suscitano un misto di pena e rabbia nei confronti del senzatetto. Quest’ultimo, nonostante ciò, continua a rimanere nell’ombra, limitandosi a questa interazione indiretta. Bello, finora davvero molto interessante. Non brillerà per innovazione e non profumerà di bucato fresco, ma la nostra attenzione è stata più che catturata. Tutto, peraltro, diventa più chiaro nel momento in cui entra in gioco un quarto personaggio, ossia una prostituta.

A questo punto non ci possono essere dubbi, ed il sentore che chi di dovere abbia seguito sin da principio un copione ben preciso prende mirabilmente consistenza. Ripartiamo dall’inizio, quindi. In questa città, un tale di nome Drake fa il diavolo a quattro nei modi più disparati: organizza eventi, mozza teste… cose così. Da buon padre di famiglia, in più, tenta di iniziare alla sua professione i suoi due figli: uno scemo, l’altro cretino. Quello scemo, però, per lo meno “sa mettere paura“, come ci dice il padre. Difatti è il suo pupillo, nonché erede dell’impresa gestita dal papà.

Nessuno osa mettere in dubbio la leadership di terrore esercitata, salvo questo barbone, saltato fuori dal nulla e che, a dispetto dell’apparente denutrizione, mena come uno di professione. Un simile personaggio non può passare inosservato – posto che sia questa la sua intenzione – sicché la famiglia Drake (la chiamiamo così per praticità) decide di inserire il poveretto nel proprio “libro nero”. Ovviamente, giusto per non concedersi troppe licenze a livello di sceneggiatura, ciò significa entrare nella “lista nera” della polizia. Meno male.

Una serie di vicissitudini, che fanno del nostro protagonista un tipo a metà tra l’eroe e lo scalognato, portano il nostro a salvare una giovane, bella, sconosciuta prostituta. Ma d’altra parte, sì sa, gli eroi attirano guai, quindi la sfortuna altro non è che un rischio del mestiere. Insomma, ‘sto tizio un po’ le dà, poi le prende, ed infine trova un letto in cui dormire. Come questa serie di eventi lo abbiamo portato ad adagiare le sue membra su di un letto “dopo nemmeno lui sa quanto“, non c’interessa indagare. Sta di fatto che questa nottata di meritato riposo sembra essere servita.

Qualcuno diceva che la notte porta consiglio. Non a caso il simpatico senzatetto si risveglia con le idee chiare ed una felpa in più. E’ da tanto che coltiva un sogno: comprare un tosaerba grazie al quale aprirsi un’attività. Ora che ha dormito in un letto, sa di poterci riuscire. Piegatosi, quindi, al volere del mondo, decide di abbassarsi ancora un’ultima volta verso di esso, giusto per raccogliere la necessaria pecunia.

Sguardo fiero e libero pensiero, si dirige verso un negozio. Entra, saluta l’attempato commesso e… ta-tàn… eccolo lì, splendente di luce propria, il tosaerba dei suoi sogni! Quello che succede qualche istante dopo, sinceramente, non sapremmo descrivervelo con esattezza. Il regista avrà inteso far in modo che interiorizzassimo l’illuminazione da cui è colpito il fu Rutger Hauer in quei frangenti, lasciandoci in sospeso soltanto in relazione al fatto che lì, in quel negozio, un tosaerba costasse quanto un fucile a pompa.

E così, una cosa tira l’altra, finché l’etichetta del prezzo non restituisce al nostro ancora più simpatico vagabondo la dignità che merita. C’è sempre tempo per dare il via ad un’attività di giardinaggio: per ora meglio potare l’oramai insostenibile criminalità! Ha così inizio l’intenso viaggio del Vagabondo con un fucile a pompa. Quello che porta giustizia una pallottola alla volta e che, se necessario, sa come servirsi di alcune budella per inscenare un’improbabile fuga.

Proprio quest’ultima considerazione funge da apripista ad uno degli aspetti peculiari della pellicola: sangue a fiotti! Eh sì, miei cari. Non è certo una novità che l’indole spiccatamente cruenta di questa produzione generi più della metà del fascino (o repulsione, a secondo il caso). Un continuo susseguirsi di episodi grotteschi, come l’escamotage appena citato relativo alle interiora di una sua vittima. Teste che saltano, arti maciullati, nonché “ordinari” colpi d’arma da fuoco che tingono di rosso l’intera inquadratura.

E’ un film duro, dove a più riprese viene messo a dura prova il nostro stomaco. Duro come lo è la denuncia alla base, che manifesta un netto disprezzo per l’indifferenza di cui oggi è pervasa la nostra società tutta. Non vogliamo inoltrarci in speculazioni ardite, tentando il campo che interseca filosofia e sociologia. Ma la risposta del regista sembra essere cristallina: allo schifo che mi circonda, rispondo con altrettanta brutalità!

Grottesco come, se vogliamo, il soliloquio sui generis in cui l’eroe del film si produce allorché deve far pervenire uno scontato messaggio ai posteri, o meglio, a delle innocenti creature appena nate. “Non c’è redenzione per me, come forse non ce ne sarà neanche per voi“, vuole dire in sostanza. Quel che resta è una continua lotta, sanguinosa, violenta, animalesca, dove l’unica possibilità che abbiamo è quella di sovvertire la darwiniana “legge del più forte”.

Niente d’eccezionale, insomma: cinismo a go-go, tanto almeno quanta la non indifferente mole di sangue versato, ai quali i nostri occhi vengono prepotentemente sottoposti. E tra una tortura e l’altra, non possiamo fare a meno di riflettere circa il fatto che l’eccesso di sadismo talvolta tenda a stonare, tanto è gratuitamente d’impatto. Ma chi lo sa? Magari è solo questione di gusti…

L’impressione, però, dopo essere approdati ai titoli di coda (accompagnati dall’azzeccatissima Run with Us di Lisa Lougheed), è che la visione d’insieme conceda a questa pellicola un suo perché. In fondo, senza voler troppo essere pignoli, a Hobo with a Shotgun non manca quasi nulla. Trama? Quanto basta. Cast? All’altezza. Regia? Encomiabile, che ammicca l’occhio a certe pellicole a cavallo tra fine anni ’80 e inizio anni ’90 passando per il cinema d’exploitation, ricordando vagamente Spike Lee nell’uso della macchina da presa e servendosi egregiamente del Technicolor – mai scelta fu più felice.

C’è dell’altro? Probabilmente sì, ma a noi basta quanto sinora espresso. Resta l’interrogativo di partenza: cult o fetecchia? Beh, noi propendiamo a cuor leggero per il cult. Da queste parti non siamo soliti usare alcun bollino in simili occasioni, ma se fosse nostra abitudine farlo, consideratelo apposto anche a questo Hobo with a Shotgun: l’uomo sbagliato al momento giusto.

Non dimenticate di dare un’occhiata al trailer senza censure del film. Di seguito, invece, vi proponiamo Run with Us, brano che chiude Hobo with the Shotgun nei titoli di coda.

Voto Antonio: 8,5