Cappuccetto Rosso Sangue: le recensioni della carta stampata
La regista Catherine Hardwicke è passata da Twilight a Cappuccetto Rosso Sangue ed ha mantenuto lo stesso stile non osando sul lato Horror ma preferendo puntare sul triangolo amoroso. Nonostante la solida presenza di Gary Oldman, il talento di Julie Christie e la bellezza anomala di Amanda Seyfried, il film non funziona. Vediamo cosa dicono
La regista Catherine Hardwicke è passata da Twilight a Cappuccetto Rosso Sangue ed ha mantenuto lo stesso stile non osando sul lato Horror ma preferendo puntare sul triangolo amoroso. Nonostante la solida presenza di Gary Oldman, il talento di Julie Christie e la bellezza anomala di Amanda Seyfried, il film non funziona. Vediamo cosa dicono i critici dei giornali. A voi è piaciuto? Forse è meglio rileggersi la favola…
Federico Pontiggia – Il Fatto Quotidiano: Povero Perrault, e mo’ chi lo sente? Catherine Hardwicke l’ha combinata brutta: “Cappuccetto rosso sangue” gareggia con “The Nativity” per il punto più infimo della sua filmografia. Dal pseudo-adattamento (scrive David Leslie Johnson) alle interpretazioni, non funziona nulla, ma ancor prima in frantumi va una malcelata ambizione: rifare “Twilight” (la Hardwicke ne ha diretto il primo capitolo), scambiando licantropi per vampiri (…) Frutto di una Hollywood così a corto di idee da rimettere il Cappuccetto alla creatività, “Red Riding Hood” è il primo di un plotone di fiabesche rivisitazioni (chiave horror-romantica) in arrivo: la speranza è l’ultima a morire, ma il pubblico?
Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa: (…) In qualità di produttore, Leo Di Caprio deve aver scelto la Hardwicke per la sua capacità di coniugare tematiche giovanili e atmosfere gotiche, ma la cineasta non riesce qui a esprimere a pieno il potenziale di una storia in cui complesso di Edipo e iniziazione all’Eros hanno un ruolo fondamentale. A parte la nonna (Julie Christie), i personaggi non sono abbastanza intriganti e si rimane con la sensazione di uno spettacolo a metà, cui manca l’affondo sia negli abissi dell’horror che in quelli dell’animo.
Valerio Caprara – Il Mattino: Il titolo è fuorviante per gli appassionati di horror: «Cappuccetto Rosso sangue» inclina decisamente al languido. Il celeberrimo format fiabesco, infatti, tende a scimmiottare «Twilight» e la contaminazione non a caso a cura della Hardwicke, regista del primo episodio della saga, finisce col conferire al film un’identità imprecisa e inerte. […]
Massimo Bertarelli – Il Giornale: Vanno proprio di gran moda i licantropi. Grazie al cielo in questo zoppicante Cappuccetto Rosso Sangue sono ridotte al minimo le smancerie amorose della pizzosa serie Twilight, baciata da un inspiegabile successo al botteghino. E soprattutto manca il cadaverico, a prescindere dai morsi, malrasato Robert Pattinson, la cui preoccupante fissità dello sguardo fa delirare le ragazzine. Le cose si mettono comunque male per lo spettatore, dato che la regista è la stessa di Twilight, Catherine Hardwicke, peraltro incolpevole della folle sceneggiatura. […]
Maurizio Porro – Il corriere della sera: Catherine Hardwicke, dopo il folgorante “13 anni”, somministra un letargico episodio apocrifo di “Twilight”. L’analisi dell’età adolescenziale diventa giovanilismo coatto senza causa. Si può salvare la scenografia da fiaba nordica senza scomodare l’inconscio. Basta non diventi una moda.
Davide Turrini – Liberazione: Lupo ululà, castello ululì. Le coordinate di Igor in Frankenstein Junior potevano servire a Catherine Hardwicke anche solo a sistemare spazialmente il suo villaggio medioevale tutto impaurito per l’apparizione mensile da luna piena del lupo mannaro. Peccato, invece, che Cappuccetto Rosso sangue sia l’ennesimo capitolo di un filone fantasy hollywoodiano ipermoderno, quello che va da Harry Potter fino a Twilight, dedito alla mescolanza di cliché di antichi generi (l’horror, lo storico, il fantastico, il melò), al garbuglio di scrittura che ne segue, alla spersonalizzazione dell’interpretazione (non ci sono più attori, ma iconcine funzionali al discorso – il bello, il cattivo, il tonto), alla dispersione del punto di vista con cui si presenta la storia. […]
Francesco Alò – Il Messaggero: Nel villaggio medievale di Daggerhorn, Catherine Hardwicke è regredita ai secoli bui. La regista rockettara dei sinceri diari adolescenziali «Thirteen» e «Lords of Dogtown» era riuscita a dare al blockbuster «Twilight» un’anima birichina e simpaticamente impacciata. Ora poteva attualizzare la mitica fiaba di Perrault e fratelli Grimm, ma il suo «Cappuccetto rosso sangue» è un tripudio di retorica, parrucche cotonate, pomposi movimenti di macchina e battute dal ridicolo involontario («Il tuo lupo è ancora vivo»). […]
Paola Casella – Europa: La regista di Twilight applica le stesse categorie narrative ed estetiche a questa favola di Cappuccetto rosso riveduta e corretta secondo le sensibilità contemporanee e l’apparente bisogno dei giovani di infarcire le loro storie di tocchi esoterici. Capuccetto rosso (Seyfried) diventa dunque una mezza strega, il lupo diventa mannaro e la storia si tinge di sangue (anche se l’elemento horror è limitato a qualche spavento, proprio per non tagliare fuori i ragazzini delle medie con un divieto ai minori). […]
Alessio Guzzano – City: Ma che occhi grandi ha Amanda Seyfried! E’ per guardare meglio il triste paesello innevato in cui si annida, sotto forma umana, il lupo mannaro che insanguina ogni plenilunio. E’ per ammirare meglio l’amato taglialegna col quale vorrebbe fuggire. E’ per consolare meglio il bravo ragazzo al quale è promessa invano. E’ per resistere allo sguardo inquisitore del predicatore anti-licantropo Gary Oldman che arriva scortato da mori grotteschi nella piazza di cartapesta di uno dei set meno credibili della storia del cinema. E’ per dialogare meglio con la Bestia con cui sente di avere misteriose affinità (non solo perché da piccola voleva sgozzare i conigli in trappola). E’ per capire meglio cosa accada nel letto e nelle vesti di nonna Julie Christie al termine di un sentiero che mescola il finale di Perrault (nonne e nipote divorate), quello dei Grimm (lietofine), e una sorpresa su cosa contenga il paniere della giovane. Il meccanismo giallo/horror sulla carta potrebbe funzionare (okkio a non perdere il filo degli intrighi incestuosi), ma la regista di “Twilight” lo vanifica in scene pacchiane nero pastello, restando sempre al margine di una (metaforica) foresta dark che non sa penetrare. Preferisce il solito ‘triangolo solidale’ tra una vergine e i suoi pretendenti.