33 anni di Pedro Almodovar: da spettatori a passeggeri innamorati (del suo cinema)
Un viaggio lungo poco più di 30 anni, tra le nubi fucsia del cielo di Spagna, uscita all’inizio degli anni 80 dalla dittatura del franchismo ed esplosa tanto in strada quanto in sala grazie ad un regista irriverente e trasgressivo, riuscito nell’impresa diventare ‘genere’. Perché Pedro Almodovar non è solo il regista spagnolo più celebre, premiato ed amato degli ultimi 30 anni, ma anche un vero e proprio ‘aggettivo’, una categoria precisa di cinema, l’almodovariano, che ha dato vita ad adepti, detrattori ma soprattutto ‘seguaci’, pronti a replicare la sua visione del mondo in decine di altre sfumature.
Un viaggio lungo poco più di 30 anni, tra le nubi fucsia del cielo di Spagna, uscita all’inizio degli anni 80 dalla dittatura del franchismo ed esplosa tanto in strada quanto in sala grazie ad un regista irriverente e trasgressivo, riuscito nell’impresa diventare ‘genere’. Perché Pedro Almodovar non è solo il regista spagnolo più celebre, premiato ed amato degli ultimi 30 anni, ma anche un vero e proprio ‘aggettivo’, una categoria precisa di cinema, l’almodovariano, che ha dato vita ad adepti, detrattori ma soprattutto ‘seguaci’, pronti a replicare la sua visione del mondo in decine di altre sfumature.
Peccato che l’originale non sia replicabile, anche perché ancorato ad un periodo storico semplicemente irripetibile. Anni di cambiamento, di rivoluzione sociale e politica, anni di crescita e di scoperta, anni di ‘movida’ madrilena, diventata leggenda grazie proprio al suo cantore principale, evolutosi a tal punto da fare incetta di Premi Oscar ed allontanarsi sempre più dalla propria creatura, fino ad oggi.
Perché con Gli Amanti Passeggeri, qui da noi recensito in anteprima, Pedro Almodovar torna a volare sui cieli glitterati del proprio Paese, arroventati da una crisi economica lancinante ma comunque pronti a scatenarsi tra eccentrici stuart, piloti bisessuali e cocktail alla mescalina, riannodando automaticamente i nodi con il proprio folgorante passato, diventato straordinariamente chiaro già ai tempi dell’esordio, nel lontano 1980, con Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio.
Nella prima Madrid post-franchista di Almodovar spiccano immediatamente i temi più cari al regista, subito trascinato da quella che sarà la sua più celebre musa ispiratrice, ovvero Carmen Maura. Girato con pochi soldi e nel giro di poche settimane, Pepi, Luci, Bom y otras chicas del montón pone subito sotto i riflettori il giovanissimo Pedro, allora appena ventinovenne ma pronto a spiccare il volo nel giro di un paio d’anni, grazie alla forza della propria eccentricità. Perché la critica di casa si interessa immediatamente a questo curioso e coraggioso Almodovar, nel 1982 scopritore di colui che diventerà uno degli attori spagnoli più famosi al mondo. Antonio Banderas. Con Labirinto di passioni Pedro lima le debolezze registiche e di scrittura dell’esordio, confermando la crescita autoriale l’anno dopo, con L’indiscreto fascino del peccato, in cui ritrovare non solo Carmen Maura ma abbracciare anche due altre dive che seguiranno a lungo la sua filmografia. Marisa Paredes e Cecilia Roth. Tra droghe, sesso e suore ‘inusuali’, Almodovar continua la sua lunga corsa verso un cinema tutto suo, personale, provocante e sfacciatamente omosessuale, nuovamente ribadito con il sottovalutato ed esilarante Che ho fatto io per meritare questo?, uscito nel 1984 e ancora una volta interpretato dall’immancabile Maura.
Il 1986, grazie ad un budget ben più importante, è l’anno del sorprendente, astratto e quasi leggendario Matador, che vede tornare sul set non solo l’insostituibile Carmen ma anche Antonio Banderas. Per la prima volta affiancato da un altro sceneggiatore, Jesús Ferrero, Pedro prova a scostarsi dal proprio ‘tipo’ di cinema, pennellando un thriller provocante e sensuale, a tinte melo’ e reso più unico che raro dalla straordinaria fotografia retrò di Ángel Luis Fernández. Nel 1987, per poter fare ‘realmente’ quel che gli pare, il regista fonda la El Deseo, portando in sala La legge del desiderio. Ritrovato Antonio Banderas, fa il suo esordio nella filmografia del regista la ‘picassiana’ Rossy de Palma, mentre la pellicola vede finalmente portare in trionfo la visione ‘glbtq’ del mondo del regista, talmente spinto da beccarsi un divieto ai minori di 18 anni persino in Italia e premiato con un Teddy Award al Festival di Berlino. Questo sarà solo il primo di un’infinità di premi, che iniziano a piovere grazie a Donne sull’orlo di una crisi di nervi.
Settimo film del regista nel giro di 9 anni, Mujeres al borde de un ataque de nervios chiude magnificamente un decennio irripetibile per il suo creatore, all’epoca costantemente ‘ispirato’ dalla strada e da fatti vissuti in prima persona, per poi trascriverli e tramutarli in settima arte. Presentato alla 45ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, candidato all’Oscar come miglior film straniero, vincitore di 5 premi Goya, un David come miglior regista straniero, 2 European Film Awards e un National Board of Review Awards, Donne sull’orlo di una crisi di nervi lancia definitivamente Pedro Almodovar a livello internazionale, liberandolo dalle grinfie dell’Universo gay , che da quasi 10 anni lo venerava e seguiva senza limitazione alcuna. Tra gli scontati Carmen Maura ed Antonio Banderas, si fa vedere un giovane esordiente. ‘Tale’ Javier Bardem.
Con gli anni 90 il cinema del regista spagnolo sembra quasi ritrovarsi in un limbo, perché stretto tra il decennio passato e quello futuro, tra filmografia celebrata e l’immancabile salto autoriale, cercato ma di difficile scoperta. Legami, Tacchi a spillo e Kika – Un corpo in prestito vedono Almodovar oscillare tra generi, provando a mutare la propria visione in ‘altro’, che esplode nel 1993 grazie ad una serie di citazioni che vanno da La finestra sul cortile agli argentiani Profondo rosso e Tenebre, fino ad arrivare a Blow-Up. Il ‘cinefilo’ Pedro si fa sempre più regista, con il grottesco e divertente Il fiore del mio segreto, per poi intraprendere con forza la strada che lo renderà leggenda da lì a poco. Quella del dramma. Proprio lui, cresciuto tra commedie surreali e volutamente eccentriche, vira versò il poliziesco che strizza l’occhio al melò, in realtà già ‘sfiorato’ in precedenza, imboccando lo spettatore con Carne tremula. E’ il 1997, Javier Bardem diventa finalmente il ‘vero’ protagonista di un film almodoveriano, mentre al suo fianco si fa notare non solo la nostra Francesca Neri ma anche una giovanissima Penélope Cruz. Come avvenuto 10 anni prima, con Donne sull’orlo di una Crisi di Nervi, Pedro ha però la forza e l’intelligenza di chiudere il decennio voltando nuovamente pagina, e realizzando un nuovo capolavoro. Nasce Tutto su Mia Madre. Qui, nel 1999, l’occhio ma sopratutto la scrittura di Almodovar cambiano marcia, maturano, trasformandosi in ‘altro’. E il successo è straordinario, travolgente.
Tutto su Mia Madre vince tutto quello che c’era da vincere. 7 Premi Goya, 1 Premio Oscar e un Golden Globe come Miglior Film Straniero, 2 Bafta, il Prix de la mise en scène al Festival di Cannes, 2 National Board of Review Award, 3 European Film Award, 1 Premio César, 1 David, 1 Satellite Award. 20 anni dopo il suo esordio, Pedro tocca il cielo con un dito. Una visione impensabile nel lontano 1980, quando un giovane ventinovenne esordì sugli schermi di Spagna con un titolo irriverente e provocatorio, sboccato e sessualmente esplicito. Ma anche questo è Pedro, tanto da replicare il tutto 3 anni dopo con Parla con lei. Almodovar viene nominato agli Oscar come Miglior Regista dell’anno, vincendo la statuetta per la miglior sceneggiatura originale. Sconfitti non solo Alfonso Cuarón e Carlos Cuarón per Y tu mamà tambièn ma anche Todd Haynes per Lontano dal paradiso e il trio Jay Cocks – Steven Zaillian – Kenneth Lonergan per Gangs of New York. E’ il trionfo di un autore ‘diverso’, da sempre in grado di saper commuovere e divertire, emozionare e far riflettere, trattando temi all’epoca ancora considerati tabù. Perché Pedro continua a parlare di omosessuali e transessualità, di pedofilia e droghe, di travestitismo e sesso, di amore e passione, di donne e religione, di pornografia e politica, impreziosendo il tutto con quel tocco di pura ironia e sincero sentimento che nessuno è mai riuscito a replicare con tanta forza ed efficacia, tra colori pastello e quel rosso fuoco che è diventato una sorta di marchio di fabbrica.
Incoronato regista a tutto tondo, nel 2004 Pedro da’ luce agli scandali della Chiesa Cattolica con La mala educación, film imperfetto ma di una potenza inaudita, e trascinato da un folgorante Gael García Bernal. Liberatosi di un peso che probabilmente era lì a premere sul petto da decenni, Almodovar torna a raccontare una storia di donne, tra donne, con il memorabile Volver. Presentato in concorso al Festival di Cannes, il film vince il premio per la migliore sceneggiatura e quello per la migliore interpretazione femminile, andato allo strabiliante gruppo di attrici composto da Penélope Cruz (all’epoca candidata agli Oscar), Carmen Maura, Lola Dueñas, Chus Lampreave, Yohana Cobo e Blanca Portillo. Se con Gli abbracci spezzati Pedro celebra volutamente il cinema di un tempo e l’indimenticato Donne sull’orlo di una crisi di nervi, con tanto di vera e propria parodia, nel 2011 diventa quasi glaciale grazie a La pelle che abito, tratto da Tarantola (Mygale) di Thierry Jonquet ed omaggio al mondo del noir degli anni 50.
18 film in 30 anni, 18 film per ‘lanciare’ il meglio della Spagna attoriale delle ultime due generazioni, da Carmen Maura a Marisa Paredes, passando per Penélope Cruz, Cecilia Roth, Victoria Abril, Antonio Banderas, Rossy De Palma, Chus Lampreave e Javier Bardem, per poi arrivare a Gli Amanti Passeggeri, palese, leggero, voluto, divertente e imperfetto omaggio a quel cinema degli esordi che tramutò un eccentrico omosessuale trentenne della Spagna post-franchista in un autore a 360°, 3 decenni dopo diventato genere, aggettivo, amato, criticato, osannato, premiato e ovviamente imitato. Semplicemente Pedro Almodovar.
Fonte foto: GettyImage