Jobs: la recensione in anteprima
La vita di Steve Jobs arriva a metà ottobre nelle nostre sale cinematografiche, grazie alla pellicola indipendente girata da Joshua Michael Stern, con protagonista Ashton Kutcher.
A distanza di quasi due anni dalla morte di Steve Jobs, in America è finalmente arrivato ad agosto nelle sale Jobs, film biografico dedicato alla vita del fondatore di Apple. Un’opera indipendente, diretta dal Joshua Micheal Stern di Neverwas e Swing Vote, ma soprattutto interpretata da Ashton Kutcher nel ruolo di protagonista. Proprio la straordinaria somiglianza di Kutcher col giovane Jobs ha suscitato la curiosità dei fan dell’azienda di Cupertino sin dalla prima pubblicazione del materiale promozionale da parte del distributore Open Road, lasciando sperare in una buona riuscita del progetto. Tuttavia, dopo la prima proiezione al Sundance Film Festival di gennaio e alcune critiche a essa successive, chi di dovere ha deciso di spostare la data d’uscita americana da aprile fino ad agosto, prendendosi del tempo aggiuntivo per dare alla pellicola un po’ di respiro in più in termini di marketing. In attesa di vedere l’altro biopic dedicato a Steve Jobs, realizzato da Sony con il prezioso permesso di attingere dalla sua biografia ufficiale scritta da Walter Isaacson, abbiamo visto questo Jobs per darvi in anteprima le nostre impressioni, in attesa che la pellicola arrivi anche in Italia il prossimo 17 ottobre.
Jobs si apre puntando le lancette del tempo al 2001, per mostrarci la prima presentazione in assoluto di iPod, nel Town Hall di Apple, riservata agli impiegati dell’azienda di Cupertino ed effettuata da uno Steve Jobs ormai già da alcuni anni ritornato nel proprio ruolo di guida dell’azienda. Solo pochi attimi, però, prima di viaggiare indietro nel tempo fino al 1974, per fare la nostra conoscenza col giovane Steve ai tempi del Reed College e del suo lavoro in Atari: anni durante i quali si delineava la sua visione per lo sviluppo di un rivoluzionario personal computer e la creazione di una grande azienda, tra amicizie, amore libero, droghe e viaggi in India. Insieme a lui, nella progettazione del primo Apple I, l’amico di sempre Steve Wozniak, con il quale Steve Jobs iniziò ad assemblare schede nel garage di casa sua, liberato dal padre per farne un laboratorio e dare così il via a quella che sarebbe stata una cavalcata epica verso il successo. Il viaggio successivo tra Apple II, Lisa e Macintosh ci conduce fino al 1985, anno dell’ormai famosa cacciata di Steve Jobs da Apple in seguito ai suoi contrasti con il CEO John Sculley, per poi saltare fino al 1996 e al suddetto ritorno di Jobs in Apple, nel finale della sceneggiatura scritta da Matt Whiteley.
Pur ponendosi come obiettivo quello di raccontare la vita di Steve Jobs, il film si dimostra in realtà maggiormente valido nel rappresentare la storia di Apple, intrecciandosi per forza di cose con la complessità della vita e della personalità del fondatore della società tecnologica. Le parti in cui dovrebbero emergere gli elementi più particolari di Jobs, infatti, si contano sulle dita di una mano, presentandosi piuttosto superficiali agli occhi dello spettatore, come se fossero lì solo a fare da contorno a quelli che furono gli eventi che portarono alla nascita di Apple. Al di là di qualche incongruenza storica, rilevata da chi fu diretto protagonista di quanto narrato, la sceneggiatura presenta qualche buco in alcuni elementi che dovrebbero invece essere le sue chiavi principali, come nella vicenda in cui dopo aver violentemente rifiutato di riconoscere sua figlia Lisa, Steve Jobs scelse di dare proprio questo nome al nuovo modello di computer sul quale stava lavorando; Jobs (il film) sembra quasi non fare caso a tutto questo, liquidando con una sfuriata anche un momento particolare come quello in cui Steve Jobs si scagliò contro Microsoft, accusando Bill Gates di aver copiato con Windows il lavoro svolto da Apple. Un ulteriore difetto è quello che affligge la prima mezz’ora abbondante del film, in cui appare una sequenza di brevi scene, quasi slegate tra loro all’occhio dello spettatore.
Chi ha letto la biografia di Isaacson, sa bene quanto il “primo” Steve Jobs sia stato per i suoi colleghi spesso e volentieri difficile da gestire, dimostrandosi addirittura lesivo per gli interessi della sua stessa azienda con le sue convinzioni e i suoi atteggiamenti, lasciandosi andare a sfuriate di ogni genere: il biopic sembra invece voler dipingere già da subito il personaggio come lo straordinario CEO che è diventato dopo il ritorno nel 1996, per dare vita all’impressionante serie di successi come iPod, iPhone e iPad. A farne le spese è soprattutto il personaggio di Woz, rappresentato in modo quasi ingeneroso così come altri che all’epoca lavorarono per dare vita ad Apple. Da un film dedicato alla vita di Steve Jobs, e non alla sua azienda, ci saremmo inoltre aspettati di vedere proprio cosa è successo nel dettaglio dopo il 1985, quando ritrovatosi senza lavoro egli seppe ricominciare praticamente da zero, fondando la NeXT Computers e dando vita al suo ennesimo capolavoro: l’acquisizione da Lucasfilm di quella che sarebbe poi diventata la Pixar. Un’esperienza, quella dell’allontanamento da Apple, che lo stesso Jobs ha definito nel 2005 “la migliore cosa che possa essergli capitata”, permettendogli nel decennio successivo di diventare il manager infallibile che abbiamo avuto modo di conoscere con i cosiddetti iDispositivi, imparando a tenere sufficientemente a freno quella che rimaneva una personalità complessa.
Dal punto di vista recitativo, va sicuramente dato ad Ashton Kutcher il merito di aver fatto un buon lavoro nel calarsi nei panni di Steve Jobs, andando oltre la sua somiglianza col giovane fodatore di Apple, imparando a muoversi e a comunicare come solo lui sapeva fare durante i suoi famosi keynote. A supporto troviamo in prima fila un convincente Josh Gad nei panni di Steve Wozniak, così come risulta convincente la recitazione di tutti gli altri attori. Per i motivi sopra elencati, i vari personaggi finiscono chi più chi meno per fare da contorno alla figura principale, compreso il “nemico-amico” John Sculley. Per colpa della sceneggiatura, è un peccato che anche la performance di Kutcher resti solo una facciata, anche se bella, senza avere la possibilità di approfondire nel dettaglio la complessità di un uomo come Steve Jobs. Ultime considerazioni per la colonna sonora, composta da una buona selezione di brani dell’epoca incluso l’inevitabile Bob Dylan.
In conclusione, possiamo dire di consigliare la visione del film in particolare proprio ai fan di Apple citati a inizio recensione, che d’altro canto non avranno di certo bisogno delle nostre parole per spingersi ad andare in sala. A loro e a tutti quanti gli altri, ricordiamo la possibilità offerta da I Pirati della Silicon Valley con Noah Wyle nei panni di Steve Jobs, film datato 1999 che ancora oggi resta il migliore per chi volesse approfondire la storia di Apple e Microsoft.
Voto di Rosario: 5
Jobs (Biografico, USA, 2013) di Joshua Michael Stern. Con Ashton Kutcher, Dermot Mulroney, Josh Gad, Lukas Haas, J. K. Simmons, Lesley Ann Warren, Ron Eldard, Ahna O’Reilly, John Getz, James Woods, Matthew Modine. Uscita in Italia il giorno 17 ottobre 2013.