Venere in Pelliccia – Emmanuelle Seigner: “Roman Polanski è un grande regista”
Emmanuelle Seigner racconta “Venere in Pelliccia” e il suo rapporto professionale con il marito Roman Polanski
Oggi, 14 novembre, esce nei cinema italiani il film drammatico Venere in pelliccia, diretto da Roman Polanski con soli due attori in scena: Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric. Oggi vi propongo un’intervista a Emmanuelle, appena arrivataci in esclusiva. E vi ricordiamo la nostra recensione e il trailer italiano.
Quando è stata la prima volta che Roman Polanski le ha parlato di “Venere in pelliccia”?
Quando Roman ha letto il testo di David Ives per la prima volta a Cannes, ho capito che gli piaceva molto. Era da tempo che parlavamo di fare un film insieme e avevamo dei problemi a trovare un soggetto. E poi lui voleva girare una commedia con me, una commedia con una grande protagonista femminile, una commedia di classe, difficile da trovare. Io invece non ero sicura di voler fare qualcosa che fosse tratto da una commedia, poi ho letto il testo, e soprattutto il suo adattamento, e l’ho adorata. Proprio perché non era una commedia. Era intelligente, divertente, più burlesca che semplicemente comica e con un enorme potenziale.
Lei non ha interpretato un sola Vanda, ma parecchie: l’attrice che si presenta all’audizione, la donna descritta da Sacher-Masoch, quella immaginata dal regista e quella che incarna Venere… E i confini tra questi personaggi non sono sempre così chiari. Talvolta si sovrappongono…
E’ proprio questo che la rende così eccitante.
E’ stato difficile cogliere la nota giusta per tutti questi caratteri così diversi
La parte più difficile è stata… imparare il testo in così poco tempo! Infatti ero impegnata in The Homecoming di Pinter all’Odeon Theatre. Abbiamo realizzato il film in pochissimo tempo e questo è stato uno degli aspetti che ho amato del progetto. Sognavo da tempo di lavorare in un film intimo con Roman, o in uno che echeggiasse i film della sua giovinezza, comprese le condizioni in cui erano stati girati. E’ incredibile quanto “Venere” abbia in comune con i suoi primi film. Durante le riprese continuavo a pensare: ecco il vestito di Tess, il coltello di Rosemary’s baby, il trucco di Cul-De-Sac, lui che indossa abiti femminili, come in The Tenant… C’erano tanti magnifici piccoli echi.
Anche di “Luna di fiele”…
Sì, ma non molti, “Luna di fiele” era letterale, mentre questo è più ironico…
Crede che Polanski si sia voluto divertire con citazioni del suo lavoro, oppure è stato qualcosa di meno consapevole?
Non credo che ne sia stato pienamente cosciente, ma sono sicura che sia questo il motivo per cui ha amato tanto la sceneggiatura. E’ abbastanza “polanskiano”! Questo è il motivo che lo ha spinto a investire nel progetto e a realizzarlo così rapidamente: mi ha dato il testo in inglese ad agosto, ha scritto l’adattamento in ottobre, abbiamo girato in dicembre ed esattamente un anno dopo ha scoperto che il film sarebbe stato presentato a Cannes! Per tornare alla sua domanda di prima, l’aspetto più difficile per me è stato imparare il testo. Una montagna di battute! Perché bisogna studiare per poter recitare senza pensare. Poi ho lavorato con il mio coach, Frédéric Faye, per trovare il personaggio dentro di me e mi sono lasciata trasportare dalle situazioni. Girare il film in ordine cronologico ha reso tutto più facile. Nel corso del film i confini tra i personaggi sfumano, all’inizio sono un specie di vamp e alla fine sono una dea! Quando Thomas torna dal backstage, Vanda è cambiata: ha una pettinatura diversa, le luci sono diverse. E’ più o meno il momento in cui inizia a diventare una dea.
A quale di queste donne si sente più vicina?
C’è qualcosa di me in ognuna di loro, ma mi è piaciuto molto interpretare la vamp. E’ un personaggio che mi diverte interpretare quando sono con gli amici, ma mai a quel livello. Mentre giravamo era qualcosa in cui mi immergevo, mi sono divertita moltissimo, una volta imparato il testo è stato divertimento puro. Mi sono anche sorpresa di scoprire quanto fosse facile passare da un personaggio all’altro, dal lavoro di Pinter al film di Roman. E’ stata anche un’opportunità per me scoprire quanto si possano estendere i propri limiti, molto oltre quello che potevi pensare! In un certo senso recitare in una pièce e nello stesso tempo girare un film è stato un buon modo per prepararmi al ruolo di Vanda…
Sei anni dopo “Lo scafandro e la farfalla” è tornata a recitare con Mathieu Amalric. Com’è lavorare con lui?
Perfetto! E’ brillante, amabile e non ha nessuno di quei difetti che spesso affliggono gli attori del suo livello. Me ne ero già resa conto durante “Lo scafandro”… ma avevo avuto solo cinque scene con lui, mentre qui siamo sempre insieme. Lavorare con Mathieu è incredibilmente piacevole e infonde entusiasmo. E’ l’attore ideale per questo ruolo. Quello che è lievemente inquietante è che assomiglia un po’ a Roman…
Più di un po’…
Vero! Per “Lo scafandro”, Julian Schnabel, pensava che Mathieu assomigliasse a Roman, ha voluto che fosse nostro figlio a interpretare il suo personaggio da ragazzo. Sembra che Mathieu si sia divertito ad accentuare questa somiglianza.
La affascina il mondo di Sacher-Masoch?
No, è qualcosa che sento molto distante da me, non ho neppure letto mai i suoi libri. Comunque il primo giorno di lavoro Mathieu mi ha dato le confessioni della vera Vanda, colei che ha ispirato Sacher-Masoch e le ho lette durante le riprese. Non dico che mi abbiano aiutato, ma sicuramente sono state fonte di ispirazione. In realtà, e questo lo trovo davvero divertente, il film si prende gioco di questo mondo. O, in ogni caso, lo osserva con uno sguardo molto ironico. Vanda, l’attrice che interpreto, è convinta che la pièce sia profondamente misogina e non buona. Lei è orribile per Thomas, il regista. Per questo alcuni uomini possono trovare il film sconvolgente, anche se è realizzato da un uomo è un lavoro decisamente femminista.
Intende dire che c’è del sado-masochismo nel rapporto tra regista e attore?
Assolutamente! L’ho sempre detto. Anche se amo molto recitare ho un vero problema con l’elemento passivo che esiste nell’essere attore. Essere sottomessi e dipendenti da un’altra persona è molto difficile per me (anche se ora un po’ meno)… faccio musica e in questo trovo un senso di libertà. Roman è sempre stato consapevole del mio dualismo e mi ha dato l’opportunità di interpretarlo. Non so se avrei il coraggio di fare quello che fa Vanda, o se riuscirei ad essere così invadente, ma capisco il suo essere ribelle e determinata a non farsi usare. Tutto questo esiste dentro di me. Alcuni registi sono molto duri, troppo desiderosi di far pesare il loro potere su di noi. Ma è qualcosa di molto personale, ci sono attori che non hanno questo problema.
Roman Polanski l’ha già diretta in teatro nel 2003. All’inizio del film c’è un accenno al vostro lavoro insieme quando l’attrice parla del successo di Hedda Gabler…
Non è una citazione, è nel testo originale – una felice coincidenza!
Come lo definirebbe in quanto regista?
Ovviamente è un grande regista, non voglio negarlo! (ride) E ho molta fiducia in lui… Mi conosce molto bene. Ma è piuttosto difficile lavorare con lui perché, come tutti i grandi registi, non ama l’improvvisazione. Evita quella specie di approssimazione, questo porta via qualcosa agli attori. E’ molto esigente e molto preciso. Anche nella regia: “Alza la testa, gira il busto, guarda laggiù…” E’ difficile restare freschi e naturali in quelle condizioni, ma è proprio questa la sfida più eccitante e, quando ci riesci, la più soddisfacente. Per poter lavorare bene con lui hai bisogno di tanta esperienza, di lavorare con altri registi, di svilupparti come attore e poi puoi lavorare al ruolo da solo.
C’è stata qualche scena che l’ha messa in difficoltà?
No, come ho detto, l’unica cosa che mi ha preoccupato davvero è stato il testo. Anche perché Roman è molto preciso e ha ragione. Devi conoscere perfettamente il testo per avere la libertà di interpretarlo. Fortunatamente mi ha aiutato Annette Hirsch (assistente di Luc Bondy) che era sempre con me per farmi recitare quelle 93 pagine. All’Odeon, in tournée, un’ora prima di entrare in scena con The Homecoming, ovunque e sempre… E’ stata un aiuto enorme.
C’è un certo giubilo nella scena finale. Non solo nel significato, come se lei stesse vendicando tutti gli attori che vengono respinti alle audizioni, ma anche nell’esecuzione…
Ah sì, è la scena che temevo di più. Non solo perché non danzavo da tanto tempo, ma perché danzare nuda sotto una pelliccia è un po’…risqué! (ride) Fortunatamente la luce era fioca e ben distribuita. Ho lavorato con Redha, con cui avevo già lavorato in “Luna di fiele” nel 1992, e quando abbiamo iniziato a provare ho realizzato che il lavoro che avevo fatto vent’anni fa funzionava ancora. Ma non avevamo molto tempo e abbiamo provato solo quattro o cinque volte, all’ora di pranzo. E’ stato molto intenso, ma davvero molto stimolante.
Se potesse conservare solo un’immagine di questa avventura, quale sarebbe?
Tutte! E’ stata un’esperienza assolutamente magica. Era Natale, nevicava e noi eravamo chiusi in quel teatro 12 ore al giorno. Lavoravamo come pazzi, ma è stato magnifico. Sentivo che eravamo una vera squadra che realizzava un film, come fosse il nostro primo film, un film giovane… Ho adorato quell’atmosfera.
Emmanuelle Seigner e Roman Polanski si sono sposati il 30 agosto 1989 ed hanno due figli: Morgane (nata il 20 gennaio del 1993) ed Elvis (nato il 12 aprile 1998). Emmanuelle è la terza moglie di Polanski, la prima fu Barbara Lass (dal 1959 al 1962, hanno divorziato) e poi Sharon Tate (dal 20 gennaio 1968 al 9 agosto 1969, giorno del suo assassinio). Roman Polanski l’ha diretta nei seguenti film:
– Frantic, regia di Roman Polanski (1988)
– Luna di fiele, regia di Roman Polanski (1992)
– La nona porta, regia di Roman Polanski (1999)
– Venere in pelliccia, regia di Roman Polanski (2013)