Thor: The Dark World – brevi appunti sull’importanza della luce
A due giorni dall’uscita nelle nostre sale, torniamo fugacemente su Thor: The Dark World per qualche breve riflessione
«Antonio, guarda che c’è un’altra proiezione stampa. Anzi no, ce ne sono altre due». E devo ammetterlo, non ho esitato. Oggi ho infatti avuto modo di assistere per la seconda volta a Thor: The Dark World. Esatto, quello che per alcuni è già un capolavoro, per altri un gran cinecomic, per altri ancora un buon film. Senza che la maggior parte di questi l’abbiano visto, s’intende.
Tuttavia ci sono delle attenuanti, e da entrambe le parti. Quello che i nostri lettori non sanno è all’andata l’ultimo Thor ci è stato mostrato in condizioni che definire penose è dire poco. Uno di quei casi in cui ti viene da cedere a quella ideologia brutta, benché fondata, che vuole il 3D pessimo a prescindere. Perché di quella prima proiezione chi vi ha partecipato (sottoscritto incluso) porta essenzialmente un solo ricordo: il buio. No, nessuna battuta, nessun gioco di parole col titolo; è che si faceva proprio fatica a vedere, come se una coperta trasparente avesse oscurato lo schermo quel tanto che basta da farti sì comprendere, ma male e con un certo fastidio.
Anziché costruirci sopra un processo, comunque, abbiamo preferito procedere in ogni caso, perché a conti fatti il film era lì sotto i nostri occhi, per quanto quest’ultimi non abbiano avuto vita facile. Tuttavia c’era qualcosa che continuava a non tornarci. Un piccolissimo tarlo che sistematicamente ritornava a ogni qualvolta il nome di Thor veniva rievocato, o da una notizia o da una conversazione. Sia chiaro, chi si occupa di scrivere recensioni non solo per sé ma soprattutto per gli altri, fa bene a mantenersi inquieto, sempre pronto a riconsiderare se non un giudizio, almeno parte di esso. E sono sicuro che leggendo questi primi capoversi vi starete già immaginando una ritrattazione bella e buona; quella dove il redattore di turno allarga le braccia e sibila con volto sornione: «Che ce potevo fa’? Mica è stata colpa mia!».
Grazie al cielo, nulla di tutto ciò. Perché come vi ho già scritto, le incerte condizioni di quella prima proiezione non pregiudicavano a tal punto. Ché se proprio non ci fosse stato possibile scriverne, avremmo aspettato, evitando volentieri di tornare sulla questione come stiamo facendo. No, anche dopo la proiezione in IMAX, manco a dirlo, il film è quello. C’è da rivedere qualche cosa però, che per gli amanti dell’oro potrebbe magari tradursi in quel punticino in più che parla di sufficienza invece del contrario.
L’intento, tuttavia, non è quello di rivedere un voto. Anche perché non capita pressoché mai di poter vedere lo stesso film per ben due volte prima che esca in sala. Insomma, se tutte le pellicole avessero questo privilegio, chissà quante volte toccherebbe smentirci, o, più semplicemente, aggiustare il tiro. Stavolta però l’intera vicenda ha messo in moto qualcos’altro, una questione che sta a cuore a chi scrive, così come senz’altro sarà importante per tanti di voi che ci leggono.
Nessuna scoperta, perché che il cinema non fosse letteratura grossomodo ci era chiaro da un po’. Ma che le immagini rappresentino un’arma così potente non lo si evidenzierà mai abbastanza. Voglio dire, al netto delle preferenze e delle propensioni, una qualunque descrizione farà sempre fatica ad imporsi sull’immagine che ritrae o rappresenta quanto descritto. Trattasi un annoso problema, che oltretutto ci porterebbe anche troppo lontano. Ma per quanto noi – feticisti dell’immagine, cultori dell’icona allo stato brado – questa lezione la si abbia scolpita sul cuore prima ancora che sulla testa, dobbiamo ancora una volta arrenderci alla necessità della ripetizione. È sin troppo evidente che sapere e ricordare non siano la stessa cosa, motivo per cui un’occasione come quella di oggi risulta oltremodo gradita.
E qui torniamo a bomba su Thor: The Dark World. Poco o nulla ho da ritrattare rispetto a quanto scritto in sede di recensione, sebbene tocchi integrare qualche breve pensiero su uno degli aspetti pregnanti di un prodotto di questo tipo, che per forza di cose non abbiamo potuto approfondire. La componente visiva, per l’appunto, che veramente di rado rappresenta un orpello per esteti, e per lo più quando si tratta di opere eccessivamente concettuali. Ebbene, in tal senso l’IMAX restituisce qualcosa ad un’opera che sotto altri aspetti non abbiamo trovato poi così brillante. Il punto è che quel “qualcosa”, in un simile contesto, potrebbe fare la differenza. Lungi da noi aprire un’ulteriore parentesi, ma il tenore del secondo Thor resta comunque diverso rispetto a quello di un altro cinecomic recente, ossia Man of Steel. Citiamo il film di Snyder per sottoporre alla vostra attenzione la differenza tra sfoggio e funzionalità.
Ci sarà sempre qualcuno disposto legittimamente a trovare “eccessive” certe misure stilistiche in film di questo genere, e questo è un conto. Altro è doversi sorbire una vagonata di confusa e strabordante CGI al solo scopo di darci a intendere quanto chi ha condotto i lavori adori questo genere di cose. Non si tratta di una frecciatina gratuita a Snyder o chi per lui, bensì di un paragone inevitabile per agevolare la comprensione rispetto a quanto andiamo sostenendo. Definire discreto l’uso di effetti speciali in Thor è quantomeno fuorviante; e proprio perché in tal senso è stato trovato un certo equilibrio, senza strafare, avere accesso a tale elemento così per come è stato concepito diventa molto importante.
Ancora ci convince poco la piega che prende ad un certo punto, specie per quel potenziale tragico che all’inizio viene a configurarsi. E ripetiamo, se la deriva totalmente intrisa di black-comedy in Iron Man 3 ci è piaciuta anziché no, dover ammettere che le scene di maggior presa in The Dark World sono quelle dove si ride o si sorride ci fa riflettere. La tendenza non è ci è nuova, poiché prerogativa dei film Marvel è da tempo quella di smorzare certi toni con siparietti più o meno riusciti. Le riserve, per quanto ci riguarda, restano e si possono riassumere nel quesito che segue: non è forse giunto il momento di concedersi qualche altro rischio?
A certi livelli la logica del farsi piacere è una virtù, non un vizio; realtà che non saremo certo noi a negare, o peggio, a perseguitare. Tuttavia si avverte l’esigenza di andare oltre, pur preservando quanto di buon già c’è e senza pretendere opere totali. In attesa di quel momento, il consiglio è quello di non farsi contagiare da certe sirene ed optare per la scelta più saggia: tra un 3D appena accettabile ed un buon 2D, sempre meglio quest’ultimo. Per chi può, l’IMAX risparmia pure la fatica di scegliere, optando per esso senza remore di nessun tipo. Tutte cose che sapete, certo. Ma che noi vi ripetiamo.