Lo sguardo di Satana – Carrie: Recensione in Anteprima
Dopo il cult di Brian De Palma, Hollywood torna al libro che per primo rese celebre Stephen King, ossia Carrie. La deriva teen a sfondo fantastico però penalizza oltremisura un progetto già alquanto rischioso, come sempre in certi casi
Ci si pensi bene: cos’è che lascia più perplessi quando si ha a che fare con un remake? Ognuno avrà senz’altro la propria risposta a portata di mano, meditata o meno che sia. Sta di fatto che oggi, in un modo o nell’altro, passa il messaggio che riprendere vecchi film e rifarli sia un male di per sé. Ed invece no che non lo è, a maggior ragione se il cosiddetto originale è a sua volta tratto da un’altra fonte, magari un romanzo. Interessante è capire come la stessa storia sia riuscita a sopravvivere all’usura del tempo, come la racconterebbe oggi un certo regista, sceneggiatore o autore a tutto tondo.
Si tratta di una sfida stimolante, pregna di implicazioni notevoli. Se non fosse per la ripetitività dell’operazione. Quella ripetitività che sa di ultima spiaggia e che nega ad una misura così ricca lo status che le appartiene. Perché fare remake, in nuce, è (o dovrebbe essere) anche esercitarsi a copiare i grandi. O a fornire risposte che colui che si era cimentato in precedenza non aveva fornito, scavando nel solco di quel terreno che è sempre fertile se si sa come cercare e quindi come guardare. Un lavoro di indagine a tutto tondo, dunque, forte delle ricerche precedenti, che a vario titolo vanno tenute in considerazione – sai mai che scorgi qualche indicazione di estremo rilievo.
Niente di tutto ciò in Lo sguardo di Satana – Carrie.
Immaginate ogni singolo elemento che rende un remake riuscito e capovolgetelo: così avrete questo film. Un lavoro che non denota nemmeno lo sforzo di offrire qualcosa non diciamo di originale ma almeno di diverso. Perché checché ne dica il più strenuo difensore di certe zoppicanti operazioni, è oltremodo giusto che l’ultimo arrivato risenta del paragone, soffrendo dell’ingombrante presenza del film o dei film che lo hanno preceduto. Lasciate perdere certi discorsi come «fedeltà alla fonte», «credibilità» e quant’altro. Il peccato capitale del film di Kimberly Peirce sta nel rendere Carrie un banale teen-movie a sfondo fantastico, secondo una rilettura che la dice lunga su quale sia la corrente promossa da Hollywood negli ultimi anni.
Ed è un trattamento che sinceramente lascia indifferenti nel migliore dei casi. Pressoché ogni intuizione azzeccata da De Palma viene qui svilita, e non facciamo riferimento a quello stile che alla sola idea di replicarlo viene la febbre. Due, tre esempi alla portata? Partiamo dall’atteggiamento di Sue. Nel primo Carrie il senso di colpa della giovane studentessa emerge con ponderata lentezza, mediante quell’alone di ambiguità che in un primo momento non lascia trasparire in maniera inequivocabile le reali intenzioni di Sue. Adesso l’impeccabile bionda si schiera da subito, addirittura prima dell’alterco tra la professoressa e Chris. Semplice differenza di vedute? No. Mai essere eccessivamente espliciti, lusso che possono concedersi in pochi laddove molti o lo sono troppo o lo sono troppo poco o non lo sono affatto. Il risultato è che il potenziale di questo personaggio si dissolve già nelle prime battute, privandolo di mordente senza motivo alcuno, nemmeno in relazione ai successivi risvolti – anzi, proprio alla luce del finale il trattamento riservato a Sue sa di deriva buonista, quella che tanto piace a certi narcotizzanti figuri di bocca buona lì nella West Coast.
Altro? Inevitabilmente atteso al varco, il ballo diventa un altro punto di snodo in vista dell’approccio a questo film. Come già in parte evidenziato, inutile anche solo sperare in qualcosa di simile a quei vorticosi dieci minuti che ci regala De Palma. Ma in realtà è altro che lascia un po’ perplessi, sebbene bisogna riconoscere che il tutto sia coerente col taglio dato a questo remake. Carrie White subisce l’ennesimo, potente affronto proprio al culmine di una serata perfetta; al di là del logico accumulo, la Peirce enfatizza un istante di troppo la rabbia di Carrie per “altro” rispetto alla mera pessima figura alla quale è stata sottoposta, caricando la vicenda di quel potenziale pseudo-romantico che stona proprio. Il punto è che De Palma, in relazione a questa specifica scena, aveva dei punti riferimento a cui aggrapparsi: ricreiamo il contesto perfetto, da fiaba, così per come ce l’hanno raccontata tante volte al cinema… dopodiché ribaltiamo tutto. Così, di punto in bianco. Superfluo soffermarsi sulla fantastica resa di quel passaggio. Qui invece? Il venir meno di un appoggio vanifica tutto, finendo anche in questo caso col depotenziare alcune delle sequenze più significative.
Ultimo ma non meno importante, tocca soffermarsi proprio su Carrie. Mettiamo da parte il divario tra Sissy Spacek e la seppure brava Chloë Moretz: anche in questo caso il problema è di scrittura. Sì perché fare della innocente Carrie una sorta di supereroina sui generis rappresenta uno degli scivoloni a parere nostro più rumorosi di questo rifacimento. La Carrie di De Palma è palesemente in balia di questa strana forza che quasi agisce per lei, senza che la giovane riesca ad esercitare il benché minimo controllo su di essa. La può per così dire evocare, certo; tuttavia quanto avviene successivamente va sempre al di là della diretta volontà di Carrie. Stavolta il percorso della protagonista è quello di una un’adolescente la quale scopre di possedere un dono e, consapevole ad un certo punto di questi suoi strani poteri, comincia poco alla volta a padroneggiarli. Potrà anche piacere questa rivisitazione diametralmente opposta. Ma, per l’appunto, è tutta un’altra cosa. Una cosa che alleggerisce a tal punto la verve narrativa da banalizzare in toto l’incipit. Il Male diventa l’ennesima congettura bigotta e si scopre che in realtà non esistono forze demoniache ma solo ragazzine superdotate che devono fare attenzione a come si servono dei propri superpoteri. Se non basta questo…
Voto di Antonio: 3
Voto di Federico: 3
Lo sguardo di Satana – Carrie (Carrie, USA, 2013) di Kimberly Peirce. Con Chloe Moretz, Judy Greer, Portia Doubleday, Alex Russell, Gabriella Wilde, Ansel Elgort, Julianne Moore, Connor Price, Zoë Belkin, Cynthia Preston, Max Topplin, Samantha Weinstein, Skyler Wexler, Kim Roberts, Kyle Mac, Nykeem Provo, William MacDonald, Philip Nozuka, Karissa Strain, Chris Britton, Katie Strain, Mouna Traoré, Alana Randall, Travis Hedland e Julia Caudle. Nelle nostre sale dal 16 gennaio.