Il Castello nel Cielo di Hayao Miyazaki : personaggi, curiosità e intervista a Gualtiero Cannarsi
Dopo aver visto trailer italiano e poster giorni fa, torniamo a parlarvi de Il Castello nel Cielo di Hayao Miyazaki grazie ad una serie di ricche ed interessanti novità.
Dopo aver visto trailer italiano e poster giorni fa, torniamo a parlarvi de Il Castello nel Cielo di Hayao Miyazaki grazie ad una serie di ricche ed interessanti novità. La LuckyRed ha infatti distribuito schede personaggio, dietro le quinte ed una lunga intervista a Gualtiero Cannarsi, curatore dell’adattamento e dei dialoghi del film. Tutto ciò, ovviamente, potrete scovarlo dopo il saltino. Uscito nei cinema giapponesi nel 1985, e mai visto nelle sale tricolori, il film risorge grazie alla LuckyRed, in questi anni portatrice sana di ‘ghiblismo’. Perché non è mai troppo tardi per distribuire autentici capolavori. Terzo lungometraggio animato di Hayao Miyazaki, Il Castello nel Cielo uscirà il prossimo 25 aprile. Questa la sinossi:
La giovane Sheeta è tenuta prigioniera dal cinico colonnello Muska a bordo di un’aeronave diretta verso la fortezza Tedis. Durante il volo, in una notte rischiarata dalla luna, l’aeronave viene attaccata da una banda di pirati guidata dall’intrepida Dola, che vuole impossessarsi del ciondolo che la ragazzina porta al collo. Questo ha un valore inestimabile: permette di vincere la forza di gravita’ e localizzare la leggendaria isola fluttuante di Laputa, dove – si racconta – sono custoditi immensi tesori e un potere inimmaginabile. Sheeta riesce pero’ a fuggire, finendo tra le braccia di un giovane minatore di nome Pazu che, da quel momento, decide di proteggerla unendosi a lei nella ricerca dell’isola e dei suoi misteri.
Dopo il saltino, come promesso, la carovana di curiosità e novità di giornata.
Personaggi:
SHEETA: E’ una ragazzina orfana di circa tredici anni. Prima di essere rapita dal terribile Muska abitava in una fattoria sui monti. Discendente della famiglia reale che governava Laputa in un lontano passato, Sheeta non sa quasi nulla delle sue origini, tranne pochi racconti orali riferitigli dalla nonna quando era bambina. Racconti legati al ciondolo che porta al collo e al vero nome che la unisce al passato di Laputa. Sheeta è il tipico personaggio miyazakiano, in apparenza fragile, ma combattivo e altruista.
PAZU: E’ il giovane orfano che lavora in miniera. Anche lui ha 13 anni e un carattere indomito e coraggioso. L’Isola di Laputa appartiene al suo passato e in parte lo perseguita dal momento che il padre ormai morto, durante un volo esplorativo, riuscì a scattare un’istantanea della leggendaria isola. Nonostante quella prova, nessuno aveva dato credito alle sue affermazioni facendolo passare per millantatore. Per onorare la memoria del padre e dimostrare che l’uomo non si sbagliava, Pazu intende costruire un aliante per cercare Laputa.
MUSKA: Discendente anch’esso dalla famiglia reale di Laputa, lavora per il governo e i militari ma coltiva il desiderio di ricongiungersi con l’ancestrale isola fluttuante per carpirne il potere e dominare gli esseri umani. Altro personaggio miyazakiano assai tipico, Muska ricorda il perfido Lepka di Conan il ragazzo del futuro (il dittatore di Indastria che intendeva usare l’energia solare per assoggettare ciò che restava del mondo) ed è il “perfetto villain” nello stile che fu del conte Cagliostro nel film Lupin III – Il castello di Cagliostro del 1979.
DOLA: L’intrepida vedova con due treccione rosse che guida una ciurma di pirati del cielo (tre dei quali sono suoi figli) a bordo del dirigibile Tiger Moth. Ossessionata da Laputa e dai tesori in essa custoditi fa di tutto per entrare in possesso del pendaglio di Sheeta. Inseguitrice dei due ragazzini, alla fine si affezionerà a entrambi.
L’INGEGNERE: Il vecchio baffone che vive nella “pancia” del dirigibile Tiger Moth, tra ingranaggi e lattine d’olio. E’ il meccanico che cura la manutenzione del velivolo che gni tanto gioca a scacchi con Dola.
Curiosità:
Il successo di Nausicaä nelle sale cinematografiche giapponesi scatena l’entusiasmo del produttore Yasuyoshi Tokuma. A Miyazaki viene subito chiesto di girare un secondo episodio della “principessa della valle del vento”, e i progetti relativi a una prima versione di Princess Mononoke (di cui aveva pubblicato un volume illustrato) e Il mio vicino Totoro vengono ritenuti economicamente improponibili e quindi ricacciati nel cassetto. Per venire incontro alle esigenze di Tokuma, uno dei principali sostenitori del regista a inizio carriera ma logicamente attento anche agli esiti commerciali dei suoi investimenti, Miyazaki propone un film d’avventura classico. La storia de Il castello nel cielo ha origine da un’idea che il regista aveva partorito quando era ancora ventenne, studente universitario che sognava di diventare un disegnatore di fumetti.
In quegli anni la fantasia del giovane Miya-san sfornava soggetti in continuazione, storie a cui, tuttavia, non riusciva a dare un corpo definitivo. Quell’idea torna a farsi strada quindici anni più tardi, durante la fase più complicata della sua attività di animatore. Ispirandosi liberamente al romanzo L’Isola del tesoro di Stevenson e prelevando a piene mani dalle sue opere televisive del passato (in particolare Conan, con la riproposizione di una coppia di ragazzini protagonisti), Miyazaki decide di realizzare un lungometraggio destinato al grande pubblico. Il genere di film che si faceva una volta proprio alla Toei Animation, di cui era stato dipendente dal 1963 al 1971.
Il castello nel cielo muove i primi passi alla fine del 1984 con alcuni image board preparatori: pochi schizzi a colori che inquadrano momenti clou del film. Nei primi mesi del 1985, Miyazaki sospende la realizzazione del fumetto Nausicaä sulle pagine del mensile “Animage” (edito proprio da Tokuma) e comincia a lavorare a pieno ritmo alla pellicola. Il produttore Tokuma gli concede un anno e mezzo di tempo per completare gli oltre 70mila disegni necessari, uscendo quindi nell’estate del 1986 anziché in primavera come inizialmente stabilito. Da principio i titoli di lavorazione cambiano a seconda dell’umore artistico di Miyazaki, e con essi anche parte della storia. Tant’è che nelle versioni iniziali Pazu occupa sempre un ruolo centrale, da assoluto protagonista. Da una versione all’altra, mutano invece i ruoli occupati dai “cattivoni”, per poi confluire in un solo personaggio: Muska.
Miyazaki, rispetto a Nausicaä, può gestire un budget più generoso, ma fedele al suo carattere introverso ed egocentrico si ritrova congestionato in un lavoro infernale: passa parte della giornata a disegnare gli storyboard della pellicola, per poi correggere il lavoro svolto dai suoi animatori e quindi tornare a occuparsi in corsa degli storyboard. Una pratica che ripeterà anche durante la lavorazione di Mononoke (ma lì i disegni erano più di 100mila!). Del resto è noto che il regista non lavora mai basandosi su una sceneggiatura, ma procede poco alla volta, talvolta lasciando tutti all’oscuro sul finale dei suoi film. Ciò che non cambia durante la lavorazione è l’idea che ha de Il castello nel cielo. Nelle note di produzione si legge una sua dichiarazione illuminante: “Voglio raccontare una storia sulla dedizione e il dono di sé, per toccare il cuore dei bambini trafiggendo lo strato di ironia e di rinuncia che lo avvolge. Il castello nel cielo sarà un’opera utopica e si riannoderà alle origini stesse del cinema di animazione, che tutto è tranne un divertimento minore. Sostanzialmente perché i grandi film per bambini piacciono a tutti”. E ancora: “L’obiettivo di questo film è di confortare il pubblico e dargli qualche momento di buonumore e allegria. Sorrisi e lacrime sono emozioni fuori moda, ma tutti in segreto le coltiviamo al cinema. Conto di arrivarci grazie a questo ragazzino che non si risparmia per portare avanti l’ideale al quale crede”.
Uscito in oltre cento sale il 2 agosto 1986, Laputa – Il castello nel cielo conquista il botteghino ma non supera l’incasso trionfale di Nausicaä, attestandosi sui 580 milioni di yen (e oltre 700 mila spettatori) lasciando un po’ l’amaro in bocca al distributore nazionale Toei. Ma per Miyazaki è più che sufficiente per intraprendere l’avventura dello Studio Ghibli e resuscitare l’amatissimo progetto di Totoro. Ancor meglio che al cinema, Il castello nel cielo saprà fare in home-video (allora c’erano VHS e Laser Disc), ottenendo inoltre prestigiosi riconoscimenti e l’attenzione delle principali riviste di cinema di animazione.
INTERVISTA A GUALTIERO CANNARSI (Curatore di adattamento e dialoghi del film) –
Gualtiero, tu sei un nome conosciuto tra gli appassionati di animazione giapponese, un professionista molto apprezzato. Ci racconti come è cominciata la tua avventura con gli adattamenti dei film Ghibli?
È una storia in effetti già piuttosto lunga, iniziata quando l’allora (e tuttora) direttore di produzione della Buena Vista Italia, Roberto Morville, dovendo occuparsi del catalogo Ghibli (al tempo in mano a quell’azienda) decise di affidarsi a un “esperto” della materia. Da lì, nacquero le localizzazioni italiane di Kiki e Laputa-Il Castello nel cielo per i DVD a marchio Buena Vista. La mia avventura è poi proseguita quando la Lucky Red acquisì e annunciò il successivo Il castello errante di Howl.
Per lunghissimo tempo i film di Miyazaki e Takahata sono stati un tesoro a disposizione di pochi. Avresti mai immaginato, un giorno, di lavorare proprio sui dialoghi dei loro film e quali erano, allora, le tue aspettative da semplice fan/spettatore? Immaginato sì, creduto no. Onestamente, anche quando già lavoravo su prodotti piuttosto importanti del settore dell’animazione giapponese, penso ad esempio a Evangelion negli anni Novanta, il marchio e il nome dello Studio Ghibli sembravano appartenere a un iperuranio troppo elevato, troppo distante dalla nicchia per essere a reale portata di mano.
Conoscendo il mercato italiano, rispetto a quello francese e americano, ti saresti mai aspettato di vedere i film Ghibli finalmente al cinema? Per molti appassionati è quasi un miracolo, per un professionista ed esperto come te è la conseguenza di qualcosa? Un inaspettato sblocco dovuto anche al Premio Oscar a La città incantata?
Quando con l’uscita internazionale di Mononoke il mercato statunitense cominciò a interessarsi ai film dello Studio Ghibli, immaginavo che anche noi avremmo quantomeno ricevuto “nominalmente” le nuove uscite, come accaduto ad esempio anche per i film di Satoshi Kon, distribuiti da major americane. Uscite estemporanee e pressoché fantasma, dettate da logiche multinazionali per me del tutto imperscrutabili. Sicuramente non avrei mai creduto possibile una distribuzione seria e continuativa dei film dello Studio come quella che Lucky Red sta attuando da anni, recuperando infine anche il catalogo ultraventennale al cinema. Lo Studio Ghibli tiene molto, ai limiti dell’esagerata riservatezza, alla sua immagine e a quella dei suoi film.
Come ti relazioni con loro e qual è l’iter di lavoro che devi seguire prima di iniziare un adattamento? Abbiamo stretto e consolidato una assidua comunicazione diretta con lo Studio Ghibli, di cui mi occupo personalmente per il livello artistico. Le scelte inerenti alla selezione delle voci dei protagonisti di ogni film, la traduzione dei titoli e talvolta persino particolari punti di adattamento vengono così condotti con il coinvolgimento diretto dello staff in Giappone. Il top di questa collaborazione, ormai ben collaudata negli anni, si è avuto con la produzione della canzone italiana di Arrietty: scritta da me in Italia, incisa in Francia da Cécile Corbel, supervisionata in tempo reale di nuovo in Italia, il tutto venendo coordinato in Giappone dallo Studio Ghibli stesso, che si è poi occupato internamente del mix cinema. Per me è stata un’esperienza davvero fantastica, perfezionatasi in un intenso fine settimana conclusivo davvero memorabile.
Quando cominci un nuovo adattamento hai già chiara in mente un’idea delle voci di attori e doppiatori che userai e quanto senti l’obbligo di affiancarti alle vocalità dei doppiatori originali giapponesi?
L’originale di ogni film è sempre un referente assoluto, insuperabile e imprescindibile. Le mie idee su ogni voce italiana che potrebbe essere adatta a ciascun personaggio, che si formano durante lo studio del film e la stesura del suo copione italiano, naturalmente si basano proprio sulla comprensione dei personaggi per come le loro interpretazioni originali giapponesi li caratterizzano, sia nella vocalità, sia nella personalità espressiva. Non esiste niente altro che l’originale per fondare le basi e l’idea di una buona localizzazione.
Quali sono le difficoltà più grandi dovendo lavorare sul testo giapponese (slang, battute che si rifanno alla loro cultura, ecc.) e quanto ti senti libero di metterci del tuo proponendo termini, nel caso de Il castello nel cielo, suggestivi come ‘Aeropietra’?
Le difficoltà sono molteplici, e variano da testo a testo, da copione a copione, da film a film. Ogni opera è un microcosmo, con un proprio registro linguistico, un proprio tono lessicale, delle proprie coerenze interne. Bisogna innanzitutto cogliere lo spirito di un film, e mettere le proprie capacità, e la propria lingua essa tutta, a disposizione di quello. Il conio di neologismi è anch’esso strettamente funzionale alla resa dell’originale, e naturalmente non ha alcun valore per sé. Tutto è mirato solo ed esclusivamente alla massima resa possibile di un originale che preesiste e domina ontologicamente su ogni sua localizzazione straniera.
Come mai si è voluto affrontare un nuovo doppiaggio per Il castello nel cielo? Cosa cambierà, oltre alle voci, rispetto alla già riuscita edizione home video per la Disney?
Essenzialmente, credo che i doppiaggi eseguiti dalla Buena Vista restino di proprietà della Buena Vista. Sono felice di poter rilavorare su questo film, come su altri, perché questo mi permette in primis di scrivere daccapo i copioni, con nuove e più profonde cognizioni linguistiche, con nuovi e più efficienti strumenti di indagine contenutistica e filologica, con il citato rapporto diretto con lo Studio Ghibli. Per quanto riguarda il cast, nei limiti del possibile abbiamo voluto confermare il precedente, di cui si era piuttosto soddisfatti, salvo esigenze e casi particolari, spesso dettati da ragioni di forza maggiore.
C’è stato un film in particolare che ti ha messo in difficoltà?
Molti, forse tutti, ciascuno a suo modo. La comprensione di un’opera straniera, indi aliena, costa sempre studio e fatica. Il tentativo della sua resa in un’altra lingua, per quanto madre, ancor più. Ma non posso non citare Pompoko, la cui cifra culturale, contenutistica, stilistica e lessicale è a un livello forse semplicemente inarrivabile per la maggioranza degli autori contemporanei di cinema, e non solo.
E quale film ti ha reso davvero orgoglioso del tuo lavoro?
Sono stato piuttosto soddisfatto del risultato ottenuto con tutti i film Ghibli che ho adattato. Proprio Pompoko, vista la sua complessità, la quantità e la qualità del contenuto originale, mi ha reso orgoglioso di essere riuscito a compiere il lavoro, e lo stesso vale per I sospiri del mio cuore. Si trattava per altro di due uscite dirette al solo mercato dell’home-video, quindi intrinsecamente legate a investimenti più modesti. Solo una grande ottimizzazione di tutto il lavoro mi ha permesso di non compromettere la qualità prodotta, e di questo non posso che ringraziare tutto lo staff per lo straordinario impegno profuso.