C’era una volta in Anatolia: Recensione in Anteprima
Premiato al Festival di Cannes nel 2011, C’era una volta in Anatolia esce finalmente nei cinema italiani. Ecco la nostra recensione
Meglio tardi che mai. Esattamente 12 mesi fa C’era una volta in Anatolia di Nuri Bilge Ceylan vinceva a furor di popolo il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes. Il prossimo 15 giugno, grazie alla Partenos, il film turco uscirà nei cinema italiani, dopo aver raccolto consensi di critica praticamente ovunque. Meritatamente. In parte. Perché Bir zamanlar Anadolu’da, questo il titolo originale, ha il merito di portare in sala un thriller atipico, quasi poetico, un poliziesco dell’anima, che si fa strada tra le steppe turche lungo 157 interminabili minuti. Ed è qui che il pluripremiato Nuri Bilge Ceylan osa, sfidando il limite di sopportazione dello spettatore.
“Voglio che gli spettatori provino le stesse sensazioni dei personaggi. Per altro, l’industria cinematografica incoraggia i registi a realizzare film della durata standard di circa novanta minuti. Gli scrittori godono di molta più libertà e volevo sfuggire alla regola imposta dall’industria. Questo può scoraggiare una parte del pubblico, ma può affascinarne un’altra“. Così ha risposto il regista a chi gli chiedeva, un anno fa, se fosse ‘consapevole’ di aver messo a dura prova lo spettatore con l’estenuante durata di C’era una volta in Anatolia. Sottolineato che c’è un’enorme differenza tra un romanzo di 500 pagine, che si può interrompere in qualsiasi momento, e un film di 2 ore e mezza, che per forza di cose va visto in tutta la sua durata e in un’unica occasione, soprattutto se al buio della sala, la pellicola di Nuri Bilge Ceylan affascina ed infastidisce, ammalia e annoia, per il ‘peso’ della durata. Spesso forzato, inutile, e per questo sinceramente estenuante.
Eppure, dopo aver vinto il Grand Prix Speciale della Giuria nel 2003 per Uzak, e nel 2008 il premio per la miglior regia per Le tre scimmie, il regista turco ha nuovamente fatto centro. Il motivo? Tecnicamente straordinario, C’era una volta in Anatolia pennella vita e morte, omicidi e suicidi, passato e presente, svelandosi lentamente e raccontando poco o nulla del ‘fatto principale’, che sembra trainare l’intero film, per poi vivisezionare l’animo di un inatteso protagonista, interpretato da un intenso Taner Birsel.
Nel cuore delle steppe dell’Anatolia un assassino vaga nella notte in cerca di un corpo. Da lui sotterrato ed ora dalla polizia cercato. Nel corso del lungo viaggio notturno che accompagnerà assassino e agenti nel luogo del delitto, gli indizi si susseguono, svelando ciò che è realmente accaduto…
Un soggetto apparentemente semplice, banale, reso straordinariamente complesso, articolato, soporifero ed affascinante da Nuri Bilge Ceylan, regista turco ormai abituato ai trionfi sulla Croisette. Senza mai dimenticare l’amato Anton Checov, praticamente perennemente citato in tutti i film del regista, C’era una volta in Anatolia si concede tre veri protagonisti. Il commissario Naci, a cui viene ‘affidata’ la prima parte della pellicola; il procuratore Nusret; ed infine il medico Cemal.
Gli indizi disseminati da Nuri Bilge Ceylan sono pochi e ad un primo ascolto incomprensibili. Dialoghi ‘poveri’, privi di apparente concretezza caratterizzano quasi 2 ore di film. Vediamo i 3 uomini girare in lungo e in largo nella conturbante notte turca in cerca di un corpo. A dettare i passi un assassino, silente, che nasconde misteri e verità non dette. Nell’infinita ricerca del cadavere i tre parlano, si svelano, si raccontano, concedendo allo spettatore un’interiorità tormentata, affranta, se non addirittura dilaniata.
I minuti passano, lentamente, inesorabilmente, quasi stancamente, e di novità non se ne vedono. Fino al ritrovamento del corpo, e alla straziante autopsia finale, in cui Nuri Bilge Ceylan non mostra nulla se non una goccia di sangue, accompagnata dal devastante sonoro del cadavere, aperto, tagliato, pesato. Un’autopsia uditiva, narrativa, che si limita alla descrizione verbale del medico, perché non c’è nulla da vedere, da ammirare, da mettere in mostra, se non una violenza interiore che Ceylan ha la capacità di far esplodere.
Indagatori sospettosi, quasi indagati a loro volta, in un film di difficile lettura e sopportazione, portato in sala con maestria da un regista che continua a battere un terreno molto personale di cinema, innegabilmente di qualità. La magnifica fotografia di Gokhan Tiryaki ci regala un’Anatolia cupa, infinita, illuminata dalla luce dalla Luna o dal caldo fuoco di una lanterna, portata per mano da un sogno diventato realtà, nei panni di una splendida adolescente.
Persi all’interno di un film che sembra non vedere mai la luce, vaghiamo smarriti per oltre due ore, ritrovandoci improvvisamente con un fiammifero tra le mani, per farci strada nell’animo di quei protagonisti che inizialmente protagonisti non credevamo. Tecnicamente inappuntabile, C’era una volta in Anatolia matura con il tempo, con il passare delle ore. Necessita di un’elaborazione particolareggiata e ‘distante’ dalla visione a caldo. Perché Nuri Bilge Ceylan ti distrugge, con la sua insostenibile lentezza, con decine di scene che sembrano non voler dire nulla, per poi trovare un punto d’incontro nell’atteso finale. Che apparentemente tace, per svelare poi un’altra verità, un altro delitto, e un altro io bombardato dai ricordi e dai sensi di colpa, al suono di un quasi favolistico ‘C’era una volta in Anatolia, una donna che decise di morire‘…
Voto di Federico: 7,5
C’era una Volta in Anatolia (Bir zamanlar Anadolu’da, Turchia, 2011, Thriller) di Nuri Bilge Ceylan; con Yilmaz Erdogan, Taner Birsel, Ahmet Mümtaz Taylan, Muhammet Uzuner – uscita in sala: 15 giugno – qui il trailer italiano