Cannes 2014, Più buio di mezzanotte: trailer e poster del film di Sebastiano Riso
Più buio di mezzanotte: video, trailer, poster, immagini e tutte le informazioni sul film drammatico di Sebastiano Riso nei cinema italiani dal 15 maggio 2014.
Il prossimo 15 maggio arriva nei cinema Più Buio di mezzanotte, opera prima del regista catanese Sebastiano Riso, scritta con Stefano Grasso e Andrea Cedrola e che sarà presentata alla “Semaine de la Critique” del prossimo Festival di Cannes.
Il film che inizia nella Catania degli anni ’80 e arriva fino ai giorni nostri è ispirato alla vita di Davide Cordova, in arte Fuxia, la mitica drag queen simbolo del Muccassassina, storico locale gay della capitale.
Il cast include Davide Capone, Micaela Ramazzotti, Vincenzo Amato, Pippo Delbono e Lucia Sardo.
La trama ufficiale
Davide non è un adolescente come gli altri. C’è qualcosa in lui, nel suo aspetto, che lo fa somigliare ad una ragazza. Davide ha quattordici anni quando scappa di casa. Il suo istinto, o forse il destino, lo porta a scegliere come rifugio il parco più grande di Catania: Villa Bellini è un mondo a parte, che il resto della città fa finta di non vedere. Il mondo degli emarginati, a cui appartengono anche La Rettore e il suo gruppo di amici, coetanei di Davide e come lui scappati dalle rispettive famiglie.
Quando Davide viene accettato in quella famiglia allargata, il passato da cui stava fuggendo sembra svanire definitivamente. Fino a quando il passato irrompe nel presente e a Davide tocca la scelta più difficile, di fronte alla quale si trova, questa volta senza possibilità di fughe o rinvii, da solo.
Note di regia
Il film vuole raccontare l’emancipazione e la formazione di un adolescente. Fin dall’inizio ero consapevole che nell’affrontare questo tema avrei dovuto confrontarmi con il mio passato (ponendo
domande a me stesso: come avevo vissuto quell’età così delicata, quando cominci a chiederti quale sarà il tuo posto nel mondo?), ma anche con la mia esperienza di spettatore. C’erano, a indicarmi la strada, film che mi avevano cambiato, e che avevano lavorato dentro di me, per farmi diventare quello che sono oggi.
Autori come Rossellini, Truffaut, Tarkovskij, Gus van Sant, e i loro piccoli eroi, dall’Edmund di “Germania anno zero” ad Antoine Doinel, da Ivan all’angelo biondo di “Elephant”, erano lì a testimoniare che se si sceglie un adolescente come protagonista del proprio film, bisogna essere “follemente sinceri”, come Truffaut stesso scriveva in una sua lettera. Follemente sinceri significa per me non usare trucchi né manierismi. E significa avere rispetto per l’attore che sta di fronte alla macchina da presa, che nel mio caso – come negli esempi illustri che ho appena elencato – per la prima volta si trovava nel mezzo di quello strano mondo parallelo che è un set cinematografico. Sulla base di questa duplice convinzione, la sincerità e il rispetto, ho scelto uno sguardo preciso, che non abbandonasse mai il protagonista, che lo tenesse sempre dentro l’inquadratura, e lo seguisse (o forse, per usare una parola cara al neorealismo italiano: lo pedinasse) dappertutto, senza arretrare di fronte a nulla. Quello che vedeva lui, quello che lo faceva soffrire, dovevo vederlo anche io, e doveva vederlo lo spettatore, e con lui dovevamo soffrire, per poter veramente comprendere. Ma oltre a questo c’era il rispetto, e una certa forma di pudore che a mio avviso diventa sempre più importante in un mondo che ha perduto il senso della vergogna, e si ciba di immagini come in un banchetto dalle portate eccessive. Il pudore mi ha tenuto a distanza in alcuni momenti del film, uno in particolare, quello in cui Davide – il nostro piccolo eroe – viene violentato.
Avrei potuto mostrare quella scena così com’era, brutalmente, senza mediazioni. Forse avrei seguito più da vicino il comandamento di Truffaut. Ma in quel caso, pensando a Godard, quando scrive che “ogni carrello è una questione di morale”, ho capito che dovevo fermarmi, che dovevo girare attorno a Davide, senza sfiorarlo mai, invece di stargli addosso, in quella stanza dove avveniva la violenza, perché altrimenti anche io sarei stato violento nei suoi confronti, anche io mi sarei approfittato di lui, usandolo al solo scopo di scandalizzare. Per lo stesso motivo, mettere tra me e lui una piccola distanza che in realtà aumentava lo spazio della tenerezza, ho usato sempre, dal primo all’ultimo minuto del film, la macchina a mano evitando di incollarmi al suo volto, preferendo spesso i campi medi ai primi o ai primissimi piani, e un montaggio con pochi stacchi, che riproducesse il più fedelmente possibile il ritmo e il tempo della vita, senza forzature.
Infine ho deciso di girare il film utilizzando una camera digitale dell’ultima generazione ma accoppiata a lenti anamorfiche degli anni Settanta, con tutte le loro imperfezioni cromatiche e ottiche, per rappresentare al meglio questa tribù di ragazzi imperfetti e diversi, e per comunicare allo spettatore la sensazione di qualcosa che sta accadendo oggi, ma è accaduta anche in passato, e potrebbe accadere di nuovo, in un futuro nemmeno troppo lontano. Una storia fuori dal tempo, e quindi per forza di cose possibile in ogni tempo, perché il mondo è sempre stato pieno di adolescenti come Davide che soffrono e combattono, non sapendo se riusciranno a sopravvivere o se invece, da quella lotta impari, usciranno sconfitti. [Sebastiano Riso]