Home Festival di Cannes Le Meraviglie: recensione in anteprima del film di Alice Rohrwacher in concorso a Cannes 2014

Le Meraviglie: recensione in anteprima del film di Alice Rohrwacher in concorso a Cannes 2014

Festival di Cannes 2014: Alice Rohrwacher dopo l’esordio con Corpo Celeste dà una bella prova di maturità con Le Meraviglie, in corsa per la Palma d’oro. A cavallo tra anni 80 e 90, una famiglia di apicoltori vive in un mondo quasi isolato: leggi la recensione.

pubblicato 18 Maggio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 01:37


Buio. Due luci sullo schermo, due fari di una macchina nella notte. Alcune persone con dei cani al guinzaglio stanno cercando qualcuno o qualcosa. Trovano una casa, che “è sempre stata lì”, e all’interno ci stanno dormendo delle bambine. Un’apertura che ricorda quasi il buio iniziale di Corpo Celeste, l’interessante ma acerba opera prima di Alice Rohrwacher.

Con Le Meraviglie però la giovane regista fa un deciso passo in avanti, dando una prova di maturità a suo modo sbalorditiva. Perché se è vero che l’opera seconda è quella spesso più complicata nella carriera di un regista alle prime armi, è sempre vero che la Rohrwacher dimostra non solo di essere migliorata da molti punti di vista, ma anche di aver alzato decisamente il tiro.

Protagonista del film è Gelsomina, che ha 12 anni ed è già capofamiglia. Controlla il lavoro dell’azienda famigliare che produce miele e le tre sorelle più piccole. È lei che cattura gli sciami sugli alberi, è lei che organizza la smielatura e sposta gli alveari. Per questo Wolfgang, il padre di origini tedesche, crede che sia perfetta per ereditare il suo “regno” fuori dal mondo.

Il mondo che sta fuori non deve sapere niente delle loro regole, deve essere mantenuto separato e bisogna imparare a mimetizzarsi. Mentre intorno il paesaggio brucia sotto l’effetto dei diserbanti e il mondo della campagna si sfalda e si trasforma, dalla città arriva un concorso televisivo che promette sacchi di soldi e crociere alla famiglia più “tipica”. Il programma è condotto dalla fata bianca Milly Catena, e si chiama Il paese delle Meraviglie…

Il sogno dei più piccoli contro le ideologie e le difficoltà quotidiane degli adulti. Il padre e la madre, Angelica, litigano già quasi ogni giorno. Sembra possa nascere anche uno scontro tra generazioni, e invece le bambine ci hanno fatto il callo alla vita che conducono. Il padre, burbero e strambo, le ha educate così: “Le mie figlie sono libere”, dice lui. Quello è il loro mondo isolato: lo è sempre stato, da quando sono nate, e il loro destino è quello di essere molto probabilmente delle contadine o delle apicoltrici.

Siamo tra la fine degli anni 80 e degli anni 90. Le bambine cantano T’appartengo di Ambra, e Gelsomina resta subito affascinata dal concorso-reality che potrebbe far vincere loro dei soldi. Una soluzione alle loro difficoltà sempre più evidenti anche ad altezza bambino, visto che le nuove normative europee per la produzione alimentare soffocano l’azienda. Bisogna sistemare il laboratorio del miele con pareti lavabili e spazi ben delimitati, oppure la famiglia dovrà chiudere l’attività.

Un giorno arriva una prima occasione per mettere da parte un po’ di soldi: si tratta di ospitare in casa un problematico ragazzino tedesco, Martin, che viene da un programma di rieducazione. Silenzioso e sfuggente, è l’ometto che manca in famiglia e il figlio maschio che dopotutto Wolfgang non ha mai avuto. C’è infine da sistemare un’altra questione, ovvero quella dei vicini, che non si fanno problemi a usare veleni nei campi che finiscono per uccidere le api. Se non si collabora fra vicini, come si può pensare di andare avanti?

Le Meraviglie ha una storia ben radicata in un determinato territorio, ma lo stile della Rohrwacher ne eleva la fruizione ad un pubblico non solo italiano. È la sua idea di cinema per niente banale e perfino originale che le fa fare un balzo in avanti rispetto all’esordio e rispetto alla media del prodotto nazionale. Perché tutto ciò che viene scambiato per neo-neorealismo nel film ha invece un sapore simile per certi versi ai prodotti indipendenti di stampo americano o internazionale; mentre tutto quello che nel film ha un carattere grottesco o addirittura “magico” è piuttosto personale, anche se non privo di influenze.

Le Meraviglie ci racconta quindi di un mondo che non c’è più, che esisteva fino a qualche tempo fa, che magari resiste ancora oggi da qualche parte, ma che nel caso specifico della regista – che ci sia molta autobiografia è evidente – è sparito e resta solo nei ricordi. Nel raccontarci questa piccola, intima e personale saga famigliare, la Rohrwacher si circonda di grandi maestranze, tra cui spicca il direttore della fotografia Helene Louvart, che regala al film delle tonalità pastello e dei chiaroscuri bellissimi.

Non è privo di difetti, Le Meraviglie. Ci mette un pochino a decollare, e qualche sforbiciata nella parte finale, quella più surreale e a tratti grottesca, non avrebbe inficiato il risultato finale. Però c’è tanto cuore nel film, e ci sono tanta ironia e molta tenerezza. Soprattutto c’è il cuore pulsante del film stesso: il ritratto di una ragazzina che si confronta non senza difficoltà con il padre, che impara a fare un lavoro e che forse s’innamora per la prima volta. E che, come in tutti i più semplici e riusciti coming-of-age, impara a vivere.

Voto di Gabriele: 7
Voto di Antonio: 7.5

Voto di Federico: 7.5

Le Meraviglie (Italia 2014, drammatico 110′) di Alice Rohrwacher; con Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Agnese Graziani. Dal 22 maggio al cinema.

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