Snow in Paradise: recensione in anteprima del film presentato a Cannes 2014
Festival di Cannes 2014: potenzialmente un altro debutto decisamente interessante targato Inghilterra. Nei risultati, una delle cocenti delusioni della rassegna: Snow in Paradise dell’esordiente Andrew Hulme si concentra sullo stile e vaga, senza raggiungere in profondità l’anima di un protagonista dal percorso delicato, tra crimine e religione.
Come The Selfish Giant l’anno scorso, Snow in Paradise è sbarcato al Festival di Cannes, dov’era in concorso in Un Certain Regard, con un curioso buzz alle spalle. Alimentato probabilmente da lavoratori del settore o da critici che lo avevano già visto in proiezioni private, il passaparola raccontava di un’ennesima opera prima fortissima inglese.
Il regista Andrew Hulme, dal canto suo, ha un pedigree non da poco. Da anni lavora come montatore per parecchi film di successo, tra cui quelli di Anton Corbijn e Paul McGuigan. La trama del film, poi, spazia tra criminalità e religione. C’erano tutte le carte in regola perché saltasse fuori l’ennesimo nome del cinema inglese contemporaneo da tenere d’occhio: e invece Snow in Paradise è una delle più cocenti delusioni di Cannes 2014.
Il film è scritto a quattro mani dal regista assieme all’attore Martin Askew, che nel film ha un ruolo centrale e sulla cui vita si basa lo script. Protagonista di Snow in Paradise è Dave, un ragazzo che viene introdotto nel mondo della micro-criminalità organizzata dell’East End di Londra dallo zio Jim (curiosamente interpretato proprio da Askew), che gli trova lavoro come intermediario per consegnare cocaina in giro per la città.
La nuova vita non solo lo fa piombare nell’uso sfrenato di cocaina, ma lo mette in condizioni sempre più pericolose. Finché un giorno il suo migliore amico Tariq non viene assassinato, ed è colpa dei loschi giri d’affari in cui lui e Dave sono stati costretti ad entrare. Ossessionato dalla vergogna e dal rimorso, Dave inizia ad avvicinarsi ad un luogo di preghiera dove si radunano i fedeli islamici, e comincia ad avvicinarsi all’Islam per cercare redenzione.
Un percorso complesso, che mette in gioco sia l’anima più buia di una nazione e sia le motivazioni per cui si sceglie una religione. Per seguire Dave, Hulme adotta un approccio poco incline alla verosimiglianza a tutti i costi. Sfruttando gli stati di allucinazione dovuti alla droga del protagonista, il regista da metà film in poi si scatena con un montaggio acronologico di situazioni, rendendo tutto poco lineare, con stile surreale e immagini da incubo.
A Hulme non manca il talento visivo, che è in media con quello generale delle nuove leve del nuovo cinema inglese contemporaneo. Hulme riesce a rendere la sporcizia dei luoghi e di una nazione senza rinunciare all’eleganza e alla classe di una messinscena precisa, e il risultato non è mai comunque “laccato”.
Il tappeto sonoro gioca un ruolo fondamentale, visto che è quasi costantemente presente con suoni, sospensioni, rumori distorti, musica ripetitiva che creano una base “grigia” e ossessiva. Però quello di Snow in Paradise è un esempio perfetto di stile che prevale sulla sostanza: non è neanche troppo chiaro, per dire, il perché Dave decida di avvicinarsi all’Islam. O meglio: è chiara l’intenzione, meno il suo cambiamento che avviene in sé stesso.
Film errante come spesso si ritrova a errare in giro il protagonista sotto l’effetto degli stupefacenti, Snow in Paradise pecca proprio a causa del suo regista, convinto che il suo stile possa reggere a livello emotivo un percorso di certo già visto e che non ha più bisogno di troppe parole, ma di un intreccio un minimo più robusto.
Così anche la prova tesa e convinta di Frederick Schmidt nei panni del protagonista rischia di passare in secondo piano rispetto a un tedio che si sostituisce all’angoscia che lo spettatore dovrebbe condividere con Dave.
Voto di Gabriele: 5
Voto di Antonio: 5
Snow in Paradise (Inghilterra 2014, thriller 88′) di Andrew Hulme; con Frederick Schmidt, Martin Askew, David Spinx, Aymen Hamdouchi, Claire-Louise Cordwell.