Il Padre – The Cut: Recensione in Anteprima
Venezia 2014 | Tahar Rahim de Il Profeta protagonista di The Cut
‘The Cut è un film epico, un dramma, un’avventura e un western tutti insieme‘. Parole e pensieri di Fatih Akin, 10 anni fa Orso d’Oro grazie a La sposa Turca e nel 2009 Leone d’argento – Gran premio della giuria al Festival di Venezia con Soul Kitchen. Passati 5 anni il regista turco è tornato in Concorso al Lido grazie proprio a The Cut, film particolarmente atteso in quanto dedicato al genocidio degli armenti avvenuto poco prima dell’inizio della prima guerra mondiale, ai più sconosciuto e nella ‘sua’ Turchia semplicemente tabù. Protagonista della pellicola un talento come Tahar Rahim, protagonista dell’indimenticabile Il Profeta, visto poi anche ne Il Passato di Asghar Farhadi.
Del virgolettato iniziale di Akin, riportato fedelmente, stride più o meno tutto. Perché in The Cut non c’è nulla di epico e/o realmente drammatico, così come avventura e western si alternano con timidezza nel corso di un’opera inspiegabilmente piatta e didascalica, tanto da suscitare enormi perplessità al termine dell’anteprima stampa. Leggenda narra che The Cut sia stato letteralmente ‘rimbalzato’ all’ultimo Festival di Cannes. Semplicemente rifiutato perché non meritevole di concorrere per la Palma d’Oro. Rumor che mesi fa il regista negò con forza, specificando come la sua mancata presenza sulla Croisette, da molti data per scontata, fosse in qualche modo legata ad imprecisati motivi famigliari.
Detto che mai avremo una risposta definitiva e credibile sull’argomento, The Cut è un film sbagliato e dalle grandi potenzialità non sfruttate. Una produzione particolarmente costosa che deraglia dinanzi alla storia bellica del secolo scorso, concentrando la propria attenzione sull’epopea di un padre ‘muto’ alla ricerca delle proprie figlie.
Tutto ha inizio nel 1915, a Mardin. Gli armeni vengono perseguitati ed uccisi dai soldati ottomani. Tra i tanti portati via dalle rispettive famiglie anche Nazaret Manoogian, fabbro cattolico con una croce tatuata sull’avambraccio. Separato da moglie e figlie gemelle, Nazaret viene per anni costretto a lavorare duramente, tra frustate e malnutrizione, fino a quando la morte non gli si presenta davanti. Il coltello che avrebbe dovuto ucciderlo si ‘limita’ però a distruggergli le corde vocali. Senza voce, disperato, affamato ed ‘estraneo’ in patria, l’uomo scopre quasi per caso che le sue due amate figlie sono ancora vive. Sopravvissute alla marcia della morte in cui è deceduta la moglie, insieme ad altre centinaia di migliaia di persone che morirono per fame, malattia o sfinimento. La ricerca di un padre pronto a tutto pur di ricongiungersi con gli unici parenti rimasti in vita prende così piede, tra i deserti della Mesopotamia e l’Avana, fino alla desolate prateria del North Dakota. Una vera e propria Odissea che porterà Nazaret a perdere la Fede, causa le atroci malvagità incontrate lungo il cammino. Se non fosse che angeli di carne ed ossa e sconosciuti clamorosamente generosi aiutino il coraggioso Manoogian, di fatto mai arrendevole dinanzi ad una ricerca apparentemente impossibile.
Il film, che va a concludere la personale trilogia ‘Amore, Morte e Diavolo’ di Rahim, con la sottile linea che separa il bene dal male in primo piano, è stato sceneggiato dallo stesso Akin al fianco di Mardik Martin, sceneggiatore armeno che ha scritto capolavori come Mean Streets e Toro scatenato di Martin Scorsese. Peccato che con The Cut entrambi siano evidentemente inciampati, dando vita ad un’opera che ‘sfrutta’ la tragedia dell’eccidio armeno per concentrarsi su altro. Vedi la ricerca di un padre nei confronti delle figlie sperdute. Un dramma incapace di suscitare reali emozioni, pagando a caro prezzo la freddezza registica e la banalità di uno script facilmente criticabile. 138 minuti privi di pathos clamorosamente fallimentari anche sulle illogiche scelte linguistiche. Perché tutti i personaggi armeni parlano un inglese impeccabile, mentre arabi e cubani parlano le proprie lingue, escluso il barbiere de l’Avana che aiuterà Rahim, in grado di dialogare con un inglese perfetto. Negli States, invece, c’è chi capirà senza troppi problemi l’armeno. Discutibili scelte visti gli anni presi in esame, il decennio 1910/1920, per un titolo incapace di scuotersi dinanzi persino agli orrori della guerra e del genocidio, ancora oggi ‘rifiutato’ dal governo turco.
La fedeltà assoluta nei confronti della propria Fede, poi persa a causa degli orrori vissuti sulla propria pelle, completerà i lineamenti di un protagonista muto per 3/4 di film, con tanto di esplicito omaggio a Charlie Chaplin, limitando e non poco la forza recitativa del più che bravo Tahar Rahim, qui evidentemente affondato insieme all’intero deludente progetto. Se le location scovate da Allan Starski suscitano fascino a convincere è anche la tutt’altro che scontata colonna sonora di Alexander Hacke, per un’opera che troppo frettolosamente abbandona il genere storico/bellico, preferendo di fatto concentrarsi sul lato drammatico e famigliare del protagonista, prima vittima e poi carnefice. Perché bene e male possono tranquillamente darsi il cambio dinanzi all’interazione del ‘diavolo’, sempre pronto ad essere sfidato da compassionevoli sconosciuti. Tra emigrazione e immigrazione, Akin ha inspiegabilmente perso la bussola della propria opera, a lungo cullata e nel corso degli anni andata incontro a non pochi problemi produttivi, tanto da marchiarne la riuscita in maniera irreparabile.
Voto di Federico: 4
Voto di Antonio: 3
The Cut (Germania, Francia, Italia, Russia, Canada, Polonia, Turchia, 2014) di Fatih Akin; con Tahar Rahim, Akin Gazi, Simon Abkarian, George Georgiou