Tempi Moderni: l’ultimo Charlot restaurato, in prima visione al cinema
Aspettando Tempi moderni in versione restaurata al cinema, con recensione senza tempo e curiosità sempre moderne.
Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciati nel bisogno,
la nostra sapienza ci ha reso cinici,
l’intelligenza duri e spietati.
Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco.
Più che di macchine, l’uomo ha bisogno di umanità.
Più che intelligenza, abbiamo bisogno di dolcezza e bontà.
Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto.
– Charlie Chaplin
A 100 anni dalla nascita e 37 dalla scomparsa di quel 25 dicembre 1977, Charlie Chaplin e il suo umorismo disarmante e poetico, dopo The Gold Rush – La febbre dell’oro, continuano ad essere protagonisti di uno dei grandi ritorni in sala del Cinema Ritrovato, con la versione restaurata di Tempi Moderni (Modern Times, USA/1936).
Il ritorno del piccolo vagabondo e della sua ultima apparizione che si presta alle vesti altrettanto inadeguate di operaio e il temperamento alienato dai ritmi della catena di montaggio della fabbrica, che finisce per raccontare la storia “di due persone qualsiasi che cercano di tirare avanti in questi tempi moderni tra crisi, scioperi, dimostrazioni e disoccupazione.”
La storia della drammatica lotta per la sopravvivenza, ai ritmi alienanti del lavoro tayloristico e ai paradossi del capitalismo di epoca prebellica, ironicamente all’avanguardia in tempi di crisi economica e di prospettive che non hanno mai smesso di scontrarsi con l’alienazione della modernità e il rapporto uomo-macchina.
Un mondo che l’attore, il regista e il produttore affrontano con la consueta verve poetica di chi cavalca ingranaggi, follie e sventure con un bel sorriso, la voglia di vivere e amare (non solo la sua Monella vestita di stracci interpretata da Paulette Goddard), la forza di resistere e aspirare ad orizzonti migliori.
Il sorprendente acume per la trasposizione e la coraggiosa critica di realtà controverse, in questo suo primo film sonoro, si manifestano anche nella scelta di continuare a costruire scene e pathos sulla mimica muta, sostenute da una partitura sonora complessa e innovativa.
Una colonna sonora realizzata dallo stesso Chaplin all’apice della sua carriera di compositore, mettendo a frutto ricchezza orchestrale, effetti sonori ingegnosi che si spingono ai brontolii dello stomaco e al dialogo, con voci filtrate da macchine (anche quelle) come il monitor e gli altoparlanti in fabbrica, la radio nell’ufficio del direttore del carcere, il registratore del rappresentate di apparecchiature meccaniche.
Unica e significativa eccezione è la versione della celebre Titina di Léo Daniderff, interpretata da Chaplin verso la fine del film, improvvisando il testo con parole inventate tramite la tecnica del grammelotm e lasciandoci ascoltare per la prima e ultima volta la voce del Vagabondo.
Un film ancora in gran parte silenzioso mentre il sonoro avanza, la filmografia di Chaplin saluta per sempre Charlot, e questo capolavoro di analisi sociale, che estende lo sfruttamenti sociale alla base dell’etica capitalistica alle contraddizioni di classe, anche dopo un ottantennio, continua a travolgere lo spettatore con la sua inossidabile modernità.
Una vetta della storia del cinema, restaurato da Cineteca di Bologna presso il laboratorio L’Immagine ritrovata in collaborazione con Criterion Collection, presentato con le musiche originali composte da Charlie Chaplin, eseguite dall’Orchestra NDR Radiophilharmonie diretta da Timothy Brock e registrate nel 2006, di nuovo al cinema in prima visione.
Voto di Cut-tv’s: 10
Tempi Moderni (Modern Times, USA/1936) di Charles Chaplin; con Charles Chaplin (il Vagabondo), Paulette Goddard (la Monella), Henry Bergman (padrone del ristorante), Chester Conklin (capo-meccanico), Lloyd Ingraham (direttore della prigione). Di nuovo al cinema, in 76 sale italiane, ogni lunedì e martedì, per tutto il mese, dall’8 dicembre 2014.
Charles Chaplin sul film
E poi per caso, e quando meno me l’aspettavo, mi venne l’improvviso desiderio di girare un altro film muto. Fu una cosa curiosa. Paulette e io eravamo andati al concorso ippico di Tijuana, in Messico, dove il vincitore di non so quale gara del Kentucky doveva ricevere una coppa d’argento. Paulette fu invitata a consegnare la coppa al fantino vincente e a dire qualche parola con accento meridionale. Non occorse molta persuasione. Rimasi sbalordito nell’udire la sua voce dall’altoparlante. Benché fosse di Brooklyn, Paulette fece un’eccellente imitazione di una dama della buona società kentuckiana. Fu questo a convincermi che sapeva recitare. Il primo stimolo nacque di lì. Trovai in Paulette qualcosa della gamine. Sarebbe stato un magnifico personaggio da portare sullo schermo. Già vedevo il nostro incontro su un cellulare della polizia dove il Vagabondo, con la galanteria di un gentiluomo, si alzava in piedi per cederle il posto. Era su questi spunti che costruivo gli intrecci e inventavo le situazioni più comiche dei miei film.
Poi mi venne in mente l’intervista che mi aveva fatto un giovane e brillante cronista del World di New York. Essendo venuto a sapere che stavo per recarmi a Detroit, mi aveva parlato delle catene di montaggio adottate dalle fabbriche locali: la storia angosciosa dei robusti giovanotti strappati alle fattorie con la prospettiva di più lauti guadagni, che dopo quattro o cinque anni di lavoro alle catene di montaggio diventavano rottami umani col sistema nervoso rovinato. Fu quella conversazione a darmi lo spunto di Tempi moderni.
Mi servii della macchina per mangiare come di un dispositivo per risparmiare tempo, in modo che gli operai potessero continuare a lavorare anche durante l’intervallo per il pranzo. La sequenza della fabbrica si risolveva con l’esaurimento nervoso del Vagabondo. La trama seguiva poi il corso naturale degli eventi. Dopo la cura il Vagabondo viene arrestato e incontra una gamine, arrestata ella pure per aver rubato del pane. S’incontrano in un cellulare, gremito di delinquenti. Da allora in poi il film è la storia di due persone qualsiasi che cercano di tirare avanti in questi tempi moderni tra crisi, scioperi, dimostrazioni e disoccupazione.
Paulette era la Monella vestita di stracci. Mancò poco che piangesse, quando le tinsi la faccia per farla sembrare sporca. “Quelle macchie sono nèi che ti rendono molto più bella” le dissi per consolarla. È facile vestire un’attrice con abiti alla moda e renderla attraente, ma vestire una fioraia e renderla attraente, come nelle Luci della città, fu assai difficile. Il costume della ragazza nella Febbre dell’oro non costituì un grosso problema. Ma l’abbigliamento di Paulette in Tempi moderni richiese la stessa cura e le stesse attenzioni di una creazione di Dior. Se un costume da gamine non è studiato con la necessaria accuratezza, le toppe hanno un’aria artificiosa e poco convincente. Nel vestire un’attrice da monella o da fioraia io miro sempre a creare un effetto poetico e non a sminuire la personalità.
Prima della proiezione di Tempi moderni alcuni giornalisti scrissero di aver sentito dire che il film era comunista. Immagino dipendesse dal riassunto della trama già apparso sulla stampa. Tuttavia, i critici più aperti scrissero che non era né pro né contro il comunismo, e che metaforicamente io mi ero seduto sullo steccato. Non c’è nulla di più esasperante che ricevere bollettini dai quali apprendi che il pubblico della prima settimana ha battuto tutti i record e che invece la seconda settimana di proiezioni ha fatto registrare una lieve flessione. Perciò, dopo le “prime” di New York e Los Angeles, il mio unico desiderio era di allontanarmi il più possibile da ogni notizia relativa al film. Perciò decisi di andare a Honolulu, portando con me Paulette e sua madre e dando istruzioni allo studio di non inoltrarmi alcun messaggio.
Charles Chaplin. La mia autobiografia (Mattioli 1885, 2011)
Per le foto © Roy Export Company S.A.S.
Colonna Sonora
La colonna sonora di Tempi moderni prende forma tra le mura degli studi di registrazione della Fox, affittati per l’occasione dalla United Artists, con un’orchestra sinfonica di 64 elementi, sotto la supervisione del suo compositore, Charles Chaplin.
Tre le figure chiave che assistettero Chaplin nella scrittura della monumentale partitura per Tempi moderni: il direttore d’orchestra e compositore Alfred Newman, l’arrangiatore Edward Powell e l’allora ventitreenne David Raksin. Quest’ultimo era stato assunto da poco dalla Broadway’s Harms/Chappell su raccomandazione di George Gershwin, ed era stato invitato da Chaplin a recarsi a Hollywood come suo assistente personale.
Come di consueto, durante le riprese di Tempi moderni Chaplin ricevette molte celebrità in visita ai suoi studi.
Titina (Je Cherche apres Titine)
Music by Leo Daniderff. Nonsense lyrics by Chaplin
Se Bella ciu satore, je notre so cafore
Je notre si cavore, je la tu, la ti, la tua
La spinach o la busho, cigaretto porta bello
Ce rakish spagaletto, si la tu, la ti, la tua
Senora Pilasina, voulez vous le taximeter,
Le zionta sous la sita, tu la tu, la tu, la wa
Se muntya si la moora, la sontya so gravora
La zontya (kiss) comme sora, (slap) Je la poose a ti la tua
Je notre so la mina, je notre so cosina
Je le se tro savita, je la tuss a vi la tua
Se motra so la sonta, chi vossa la travonta
Les zosha si katonta, (kiss) tra la la la, la la la
Les de, le ce, pawnbroka, Lee de ce peu how mucha
Lee ze contess e kroke, punka wa la, punka wa
Gallery Poster
Curiosità
Tempi Moderni è il quinto film prodotto da Chaplin per la United Artists e il primo sonoro, o quasi.
Per la prima volta, Chaplin non interpreta il solito ruolo del Vagabondo, ma quello di un operaio, un cambiamento così importante da menzionarlo durante il procedimento legale intentatogli per plagio.
Tempi Moderni fu proiettato la prima volta il 5 febbraio 1936. Un trionfo in Francia e Inghilterra, accolto con freddezza negli Stati Uniti, dalla censura per comunismo nella Germania nazista.
Nell’ideazione del film Chaplin attinse indubbiamente al ricordo della visita compiuta nel 1923 agli stabilimenti industriali della Ford di Highland Park, e grazie alla quale fece ricostruire la catena di montaggio di Tempi moderni basandosi sulla sua esperienza diretta.
Il film è stato in produzione per il periodo Ottobre 1934 – Novembre 1935; le riprese si sono svolte dal 11 Ottobre 1934 al 30 Agosto 1935 in USA.
Tra le location:
– Hollywood Boulevard & Vine Street, Hollywood, Los Angeles, California, USA
– Los Angeles Harbor, San Pedro, Los Angeles, California, USA
– Massachusetts Ave. at Sawtelle Blvd., Brentwood, Los Angeles, California, USA
– Riverton Ave. & Bluffside Drive, Studio City, Los Angeles, California, USA
– San Pedro Harbor, Long Beach, California, USA
– Santa Clarita, California, USA
– Sierra Hwy. & Penman Rd., Santa Clarita, California, USA
Tra le scene eliminate c’è una lunga sequenza slapstick in cui Charlot trova lavoro come operatore di spalatrici meccaniche, con risultati catastrofici.
Nel 1936 è stato indicato tra i migliori dieci film dell’anno dal National Board of Review of Motion Pictures.
Nel 1989 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
È stato inserito dall’American Film Institute nell’AFI’s 100 Years… 100 Movies (risultando 81° nel 1998 e 78° nel 2007) e nell’AFI’s 100 Years… 100 Laughs del 2000 (33º posto).
Via | Cineteca di Bologna – Il Cinema Ritrovato – Kinopoisk