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Venezia 2012 – Enzo Avitabile Music Life: recensione in anteprima del documentario di Jonathan Demme

Come per la trilogia su Neil Young, a Demme non interessa fare la cronistoria di Enzo Avitabile, ma il suo mondo. Leggi la recensione di Cineblog da Venezia.

pubblicato 29 Agosto 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 22:46

Il film su Enzo Avitabile, sulla sua musica e su Napoli, nasce dalla stima reciproca dei due artisti e sulla lunga conoscenza che Jonathan Demme ha del musicista, una figura nota nel panorama musicale mondiale che si distingue per la sua passione per la ricerca e la sperimentazione. Il film è un’occasione unica, quindi, poiché l’occhio di uno dei maggiori registi racconta non solo della musica di un artista “singolare” come Avitabile, ma anche la storia di una città, Napoli, che racchiude tesori e contraddizioni.

Cinque anni fa, Jonathan Demme stava guidando a New York sul George Washington Bridge ed ascoltava alla radio un programma di musica napoletana: così si ritrovò ad ascoltare “Salvamm ‘o munno”, e di conseguenza si interessò alla musica di Enzo Avitabile. In occasione di un invito al Napoli Film Festival, il regista ha l’occasione, due anni dopo, di incontrare il musicista: nasce così l’idea di un documentario diretto da Demme su Avitabile e sulla sua musica, girato poi l’anno scorso nell’arco di una settimana.

Come sempre, quando gira i suoi documentari musicali, a Demme non interessa affatto raccontare la cronistoria del personaggio di cui vuole fare il ritratto: semmai gli interessa registrare un fremito, un ricordo rivissuto in diretta dal musicista. Così, come quando Neil Young in Neil Young Journeys ricordava la sua vita mentre guidava in macchina, Enzo si ricorda del suo apprendistato tornando direttamente nella sua prima casa e nel Conservatorio di Napoli San Pietro a Majella, dove ha studiato da ragazzo. Ma basterebbe solo il momento in cui, con il suo sassofono, Enzo canta per le strade della Marianella per capire le intenzioni di Demme.


Eppure anche con un ritratto “impressionista” come questo esce la figura a tutto tondo di Avitabile. Un personaggio appassionato ed appassionante, estremamente curioso rispetto alle persone, alla cultura, alla Storia e al mondo. Enzo si appassiona per un software che suona gli spartiti (“è come avere un’orchestra in casa!”) e lo racconta con entusiasmo, e cataloga tonalità e ritmi di tutto il mondo. In casa ha 300 spartiti inediti, ed ha all’attivo collaborazioni con i più grandi musicisti di tutto il mondo, dall’Iran alla Spagna, passando per la Palestina.

Attraverso le sue esibizioni dal vivo, riprese come sempre dal regista per intero (cosa che può dar fastidio a certi “puristi” dei documentari che seguono certe regole canoniche), noi spettatori impariamo anche qualcosa in più: magari che le launeddas sono antichissimi strumenti tradizionali della Sardegna. Jonathan Demme si è innamorato di Avitabile pur non capendo una parola del testo delle sue canzoni: e sta forse qui il punto del documentario. Perché per amare Avitabile, e di conseguenza anche il film, basterebbero i ritmi, le melodie e l’atmosfera che le sue canzoni riescono a regalare, al di là dei (bei) testi.

Va da sé che è il personaggio il fulcro del film, e si tratta di una persona dalla filosofia lucidissima. “Io chi sono?”, si chiede ad un certo punto Avitabile, alludendo alla sua natura di musicista: una domanda che ogni persona che ha a che fare con musica, spartiti e strumenti dovrebbe farsi. Perché il proprio percorso è pieno di riferimenti e “maestri”. Avitabile è convinto di essere “più musicisti” assieme, visto che la sua musica è passata anche per diverse fasi: la sua formazione è poliedrieca, e passa da James Brown a Charlie Parker, da John Coltrane a Miles Davis. Sintomo di una cultura che fa togliere il cappello, ma segno anche di una vita vissuta al massimo.

Avitabile è di origini cattoliche, ed è sempre stato educato così. Poi a San Francisco viene in contatto con il buddhismo di Sri Chinmoy e si converte. Dopo la morte della moglie Maria, torna ad essere cattolico: “ma a modo mio”. Forse la parte più debole di Enzo Avitabile Music Life sta nel suo “ritratto familiare”: non tanto nella storia dei figli e nel momento in cui viene citata la moglie, ci mancherebbe, ma è proprio il momento in cui Demme decide di lasciare la parola ai figli, come in un’intervista diretta, che viene meno l’atmosfera intima che al solito il regista riesce a creare, per abbracciare metodologie documentaristiche più canoniche.

Ma sono dettagli in un’opera gentilissima e a suo modo anche unica nella filmografia di Demme: e il fatto che il regista si veda inquadrato più di una volta, mentre nella trilogia su Neil Young non si vede mai, la dice lunga. Sarà forse perché si tratta comunque di un progetto “straniero”: e da buon straniero, Demme non può che restare affascinato anche da Lei: da Napoli. Il film, negli esterni, è pieno di inquadrature dal basso verso l’alto, verso il cielo, ed è pieno di balconi, di dettagli, di strade, di persone.

Dopo aver visto Enzo Avitabile Music Life – sperando seriamente che arrivi in qualche sala: il ritmo della musica è spesso trascinante, per chi è abbastanza curioso da voler entrare nel mondo di questo straordinario artista – forse vorrete andare anche a comprare qualche cd di Avitabile, come l’ultimo Black Tarantella. Ma gli album da lui pubblicati sono finora 18: c’è l’imbarazzo della scelta. Diversi sono i momenti emozionanti, come il brano “Mane e Mane” cantato con Daby Tourè, ma uno in particolare procura brividi lungo la schiena: l’esecuzione di “Canta Palestina” assieme ad Amal Murkus, brano dedicato all’attivista italiano Vittorio Arrigoni, morto a Gaza nell’aprile 2011.

Voto di Gabriele: 7.5
Voto di Antonio: 7.5

Enzo Avitabile Music Life (id., Italia / USA, 2012, documentario) di Jonathan Demme; con Enzo Avitabile. Distribuito prossimamente da Rai Cinema.

Ecco di seguito Salvamm ‘o munno, la canzone che ha fatto conoscere Avitabile a Demme.