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Venezia 2012 – Paradise: Faith: recensione in anteprima del film di Ulrich Seidl

Dopo Paradise: Love, visto a Cannes, Seidl presenta il secondo capitolo della sua trilogia: e parla di religione, facendo discutere. Leggi la recensione.

pubblicato 31 Agosto 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 22:45

Dove eravamo rimasti? Al Festival di Cannes in concorso c’era il sottovalutato Paradise: Love, primo episodio della trilogia che l’austriaco Ulrich Seidl ha voluto dedicare a tre diverse “forme d’amore”. Paradise: Love vedeva Teresa arrivare da sola in Kenya: una sugar mama che andava in terra africana per una vacanza con il fine di pagare e divertirsi coi baldi giovani locali, svelando tutta la sua volgarità. Prima di partire pranzava un’ultima volta assieme alla figlia Melanie, spedita a forza in campeggio, e alla sorella Anna Maria.

Paradise: Faith, il secondo capitolo della trilogia, narra proprio la vicenda di Anna Maria. Tecnico radiologo, la donna è convinta che il Paradiso si trovi in Gesù, e dedica le sue vacanze a opere missionarie, perché l’Austria possa essere ricondotta sulla retta via. Durante il suo pellegrinaggio quotidiano attraverso Vienna, la donna va di casa in casa, portando con sé una statua di trenta centimetri raffigurante la Madonna.

La donna vive davvero solo per Gesù: davanti al crocifisso si punisce autoflagellandosi, bacia un ritratto di Cristo che è sempre sopra il suo comodino, ed ha varie croci e statue disseminate per la casa (pure una piccola acquasantiera!). Ha anche una serie di quadri con delle scritte simil-comandamenti su una parete. “La Madonna è venuta a trovarla!”, è la frase con cui si presenta alle persone che abitano le case a cui va a bussare. Spesso, ovviamente, si ritrova a discutere con gente atea e a dover “difendere” Dio.


Un giorno però, dopo anni di assenza, il marito di Anna Maria, Nabil, ritorna: è un musulmano egiziano relegato su una sedia a rotelle. L’equilibrio che la donna aveva a suo modo trovato, “grazie” alla fede, viene messo in discussione, anche se all’inizio il marito tenta di reinserirsi nella vita familiare gradualmente. Ma ci sarà spazio, da un certo punto in poi, per una vera e propria guerra combattuta a suon di ligiti, acqua santa e crocifissi rotti.

Ulrich Seidl con Paradise: Faith mette decisamente a fuoco le intenzioni della sua trilogia, e non solo conferma tutto ciò che di buono aveva fatto con Paradise: Love, ma va anche oltre. Perché se, dopotutto, con il capitolo precedente in qualche modo “giocava facile”, con un tema che si predispone subito ad essere preso di mira con lucida cattiveria e disgusto, questo secondo episodio gioca con un argomento delicatissimo e che poteva portare il regista su una strada sbagliata. Invece Seidl centra decisamente l’obiettivo, e gira forse il suo miglior film.

Si dice spesso che quello di Seidl è un cinema di corpi: corpi brutti, pesanti, per nulla aggraziati, a volte ammalati e decrepiti; si vedano delle scene dell’allucinante Import/Export, o soltanto le prime scene di questo film, ambientate in ospedale. Essendo cinema di corpi, si tratta anche di cinema “di sesso”, da riprendere senza troppe inibizioni. Tra le tante scene della pellicola che faranno discutere c’è senz’altro quella dell’orgia a cui Anna Maria, attonita e quasi spaventata, assiste nel parco, e in cui gli attori sembrano fare sesso per davvero.

In Paradise: Faith la questione sessuale ha un ruolo primario, visto che la protagonista va in giro a predicare l’importanza fondamentale dei Dieci Comandamenti, ed in particolare del sesto (“Non commettere atti impuri”). Nabil vorrebbe ricominciare ad avere un rapporto serio con Anna Maria, il che presuppone anche l’intimità sessuale: ma lei ovviamente non ci pensa nemmeno. Figurarsi: secondo Anna Maria il marito non dovrebbe neanche guardare la tv, visto che portano peccati in casa…

Lo stile di Seidl è sempre quello: camera perennemente fissa e un uso massiccio del pianosequenza. L’atmosfera è sempre raggelata, freddissima, ma all’interno delle perfette inquadrature costruite dal regista succede di tutto e di più, dalle autopunizioni di Anna Maria ai vari litigi, durante i quali si arriva anche alle mani. Al solito poi, con Seidl, si ride di gusto con scelte e situazioni crudeli, che non vale la pena svelare per non rovinare il sadico gusto della risata. E se in Paradise: Love una delle scene più divertenti vedeva come protagonista una scimmia, qui abbiamo una scena da sbellicarsi che coinvolge un gatto!

Paradise: Faith prenota già un premio qui alla Mostra, sempre che la giuria sia interessata a premiarlo, e se, soprattutto, avrà coraggio. Seidl, toccata la sua vetta con un argomento del genere, se lo meriterebbe davvero. Il film è bello e pronto per scatenare polemiche, anche in patria, visto che gli austriaci non ci fanno in generale una gran figura. Ovviamente le scene che coinvolgono la religione saranno quelle che scateneranno un dibattito acceso, e fra queste l’inquadratura finale sarà sicuramente al centro di discussioni. Ora aspettiamo trepidanti Paradise: Hope, in cui si narrerà la storia di Melanie, alle prese con l’amore adolescenziale in campeggio: non vediamo l’ora.

Voto di Gabriele: 8.5
Voto di Antonio: 7.5

Paradise: Faith (Paradies: Glaube, Austria / Francia / Germania, 2012, drammatico); Ulrich Seidl; con Maria Hofstätter, Nabil Saleh. Distribuito prossimamente da Archibald.