Venezia 2012 – Qualcosa nell’aria: Recensione in Anteprima
La settimana qui a Venezia si apre con un film di quelli che potrebbero anche dir poco al grande pubblico, ma che tra certi cinefili duri e puri rappresenta un appuntamento imperdibile. Stiamo parlando di Aprés mai, ultima pellicola di Olivier Assayas.
Un film che ha i contorni da romanzo di formazione, quello del regista francese. Di certo ci parla della gioventù, di tutta la gioventù, rivolgendosi soprattutto a loro. Ne esce un ritratto apparentemente incerto, ma che nella sua mancata univocità si dimostra comunque autentico, sincero.
Non la solita manfrina su ciò che avvenne prima, dopo o durante il celeberrimo ’68. Non un proclama ideologico, né tantomeno l’aulica celebrazione di un periodo riguardo a cui tanti, troppi sono i pareri contrastanti; più per via di volgari rigurgiti pseudo-dottrinali che altro. Sia chiaro, la politica centra. Ma come una sconfinata sfilza di autori hanno già evidenziato, non fu certo quello il momento decisivo. Anzi.
Aprés mai (letteralmente, Dopo Maggio) tratteggia la storia di Gilles, giovane parigino che all’epoca della svolta, sul finire degli anni ’60, attraversa anche la fase più delicata della sua vita; quella che lo segnerà per sempre. Un’epoca di moti, interni ed esterni, manifestatisi con un’intensità ed una frequenza che non ha eguali nel secolo scorso.
Insieme a lui, altri amici, oltre a due ragazze tra le quali dividerà un amore acerbo, inconstante, esattamente quello in cui è in grado di profondersi un ragazzo di quell’età. Aprés mai ci parla di lotte: contro chi ci sta sopra, chi ci sta sotto, chi ci sta accanto e addirittura chi ci sta dentro. Una percorso radicale, segnato da una rabbiosa e spesso inspiegabile resistenza. Perché in quel periodo, loro malgrado, i giovani che si davano anima e corpo alla politica non volevano semplicemente stravolgere sé stessi. Qualcuno instillò in quella generazione il desiderio di cambiare il mondo, facendole credere di poterci riuscire con certe formule, a dire il vero alquanto limitate.
Assayas raffigura in maniera anche piuttosto divertente alcuni di questi figuri, vittime a loro volta di un meccanismo subito. Un meccanismo verso il cui sviluppo non avevano alcuna presa, perché essenzialmente recepito in maniera passiva. Gilles, il protagonista, si capisce da subito che non è tagliato per questi ambienti. La sua personale rivolta parte altrove, ben lontano dalle assemblee dove tutti discutono di tutto, senza però approdare in alcun posto.
La sua sofferenza, fisiologica per un ragazzo di nemmeno vent’anni, viene sublimata da altro. L’arte, tanto per cominciare, attraverso cui veicola sé stesso e quindi le tappe della propria maturazione. A livello concettuale, lo vediamo passare da un forte astrattismo, informe come lo è la sua personalità, ad uno spirito opposto. E più il giovane cresce, più riesce ad appropriarsi delle forme. Forme di cui può avere cognizione solo ed esclusivamente nel momento in cui smette di vivere la propria vita da semplice osservatore, prendendo le redini della sua strada.
Ma non è il solo a dover compiere questo passo. Assayas si affida ad un contesto in cui era l’ardore politico a gestire ed in qualche modo formare gli spiriti nascenti. Ma la questione che pone non si limita ad un dato periodo storico. Ogni epoca ha dovuto fare i contri con i propri état d’esprit, e sistematicamente il dovere dell’uomo è stato quello di rivoltarli, valutandone nella maniera migliore l’entità, se non la genuinità.
Qui subentrano i veri interlocutori, cioè coloro a cui Assayas intende probabilmente rivolgersi, ossia i giovani d’oggi. Quel che sembra dire il regista francese è che quel periodo, per quanto complesso e per certi aspetti pure deleterio per i danni che ne sono seguiti, rappresenta comunque uno slancio. I giovani di allora (evidentemente non tutti, è chiaro) erano mossi da intenti grossomodo nobili; il passaggio in cui rischiarono seriamente di perdersi fu nella risposta a quella indispensabile domanda.
Oggi? Lo scrive l’autore stesso: “I giovani d’oggi sono amorfi“. Esatto, nel senso che è su questo amorfismo che si deve intervenire e da lì partire per trovare una soluzione a così tanta indolenza. Meglio commettere errori a oltranza, sembra esortarci tra i denti Aprés mai, che vivere in superficie, sopravvivendo a sé stessi. Senza il coraggio di prendere una scelta, unica ed inequivocabile, per quanto dolorosa. Perché, è bene dirlo, non esistono scelte che non siano dolorose.
Pensiamo agli amici di Gilles. Ognuno di loro risponde a proprio modo, fedeli ad un’indole che, lungi dal possedere in maniera connaturata, hanno dovuto costuire con non poca fatica. Jean-Pierre, Alain e Christine, i suoi compagni di viaggio sin dalle prime battute, tentano disperatamente di appropriarsi della loro dimensione, ognuno a proprio modo. E’ davvero encomiabile il lavoro di Assayas in relazione allo sviluppo di questi personaggi, o meglio, delle loro storie. Storie che s’intrecciano, compenentrandosi o sovrapponendosi all’inizio, per poi divergere in maniera sempre più evidente man mano che il tempo passa.
Aprés mai fa leva sul distacco, quello estremo, profondo, del singolo dal gruppo. Un singolo che deve a tutti i costi guadagnarsi l’uscita dal branco, cavandosela con le sole forze che gli appartengono, senza delegare ad altri il confronto con le sfide che gli si pongono dinanzi.
Lento in taluni frangenti, Assayas ci induce a metabolizzare certi passaggi del film, intervallandoli con una colonna sonora appropriata, il cui tenore oscilla tra la “musica di protesta” ed il free jazz, veri leitmotiv di quegli anni. Il tutto amalgamato da una notevole sensibilità cinematografica, che gioca con la macchina da presa, conferendo un certo dinamismo alle riprese di talune scene (in avvio, per esempio, veniamo scaraventati nel cuore di una manifestazione di protesta, sfociata, manco a dirlo, in lacrimogeni e manganellate).
Ed è per certi aspetti rincuorante notare come i vari protagonisti più si allontanano fisicamente più incrementano il loro grado di affinità. Nell’intraprendenza, chi più chi meno, dei loro viaggi, brevi o lunghi, c’è tutta la freschezza di una ricerca seria. Talvolta condizionata, talvolta macchiata da scelte poco sagge, ma pur sempre una ricerca. In quello che fino ad ora è il “film da Festival” più da Festival che abbiamo visto, Assayas getta le fondamenta per quella che potrebbe rivelarsi un’annata davvero fortunata. Perché il suo Aprés mai è un’opera concreta, appasionata, che affronta una tematica che in poche sedi è stata trattata in maniera così intellettualmente onesta.
Voto di Antonio: 8
Voto di Gabriele: 8
Something in the Air (Aprés mai, Francia, 2012), di Olivier Assayas. Con Clement Metayer, Felix Armand, Lola Creton, Dolores Chaplin, Nathanjohn Carter, India Menuez, Victoria Ley, Carole Combes e Mathias Renou. Il film arriverà in Italia il 17 gennaio 2013 con il titolo Qualcosa nell’aria.