Dio esiste e vive a Bruxelles: recensione del film in Quinzaine des Réalisateurs
Jaco Van Dormael a ruota libera per questa sua interpretazione in chiave grottesca e postmoderna del Nuovo Testamento. Troppe idee per una sola portata, The Brand New Testament risulta strabordante
Ea non sopporta più suo padre. È ancora una bambina ma ha già in mente di scappare di casa, causa un padre despota, strafottente ed una madre taciturna, che passa tutto il giorno a pulire e spolverare. Non avendo ancora le idee chiare su quale sgarbo infliggere a papà, Ea decide di entrare nella sua stanza di lavoro e combinare una marachella. Il punto è che il padre di Ea è Dio ed in quella stanza si decide il destino dell’universo.
A causa dell’intervento della piccola, tutti gli abitanti di Bruxelles ricevono un sms riportante quanto tempo resta a ciascuno di vita. Una notizia tremenda, dalle conseguenze prevedibili: quelli che hanno meno tempo decidono di fare ciò che hanno sempre voluto ma non hanno mai avuto il coraggio di fare. Altri, tra i più longevi, decidono semplicemente di sfidare la morte, inibita per ordine del “quartier generale”.
The Brand New Testament è un Van Dormael totalmente a briglia sciolta; e non che di solito tenti seriamente di arginarsi. Come in Mr. Nobody, la sua preoccupazione è ancora una volta il tempo, come ci relazioniamo ad esso, o semplicemente fino a che punto valga la pena “soffrirne” il trascorrere. A differenza di Mr. Nobody, però, il registro è un altro, opposto: stavolta si tratta di una commedia. Contorta, sopra le righe, ma questo è.
Ancora di più, The Brand New Testament è un pretesto per mettere insieme una serie di situazioni surreali con dei trucchi visivi in alcuni casi notevoli. Nulla di più. Si ride come si può ridere della messa in scena di barzellette tra le più quotate su Dio e dintorni; questo è innegabile. Ma il ricorso al Nuovo Testamento, più che una provocazione è proprio una furbata. La missione di Ea a Bruxelles diventa quella di raccogliere i sei apostoli mancanti e completare la seconda parte della Bibbia. Abbiamo perciò un aspirante serial killer, una facoltosa donna di mezz’età annoiata, un frequentatore di nightclub vergine ed un bambino che vuole diventare donna. Sembra o no una barzelletta? Una di quelle “postmoderne” magari.
Ma più l’insensata corsa procede, più viene meno il grado d’attenzione, messo a dura prova da uno sviluppo della vicenda che è mero collage, episodi collezionati per poi venirci sbattuti in faccia senza star troppo a preoccuparsi di come funzioni il loro avvicendarsi. E dire che il traguardo tecnico è notevole, così come quello stilistico; il che lascia ancora di più l’amaro in bocca, poiché chissà cosa potrebbe uscirne fuori da un lavoro in cui l’incontenibile verve di Van Dormael venisse efficacemente incanalata mediante una sceneggiatura più strutturata, verrebbe da dire “classica”.
Il regista belga opta invece per questi scenari estremi, stravaganti nell’accezione più ampia del termine. Il risultato è un prodotto troppo denso, per lo più senza motivo. È più facile immaginare questo sfoggio di tecnica come brevi spezzoni su YouTube, dove lo sfrenato nonsense non guasterebbe affatto. Per un solo film tutte le idee che vengono gettate sul tavolo da The Brand New Testament sono troppe. E di queste, non tutte si salvano purtroppo.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”3″ layout=”left”]
Dio esiste e vive a Bruxelles (Le Tout Nouveau Testament, Lussemburgo-Francia-Belgio, 2015) di Jaco Van Dormael. Con Catherine Deneuve, Benoît Poelvoorde, Yolande Moreau, Pili Groyne, Emylie Buxin e Cyril Perrin.