Venezia 2015, L’hermine – La corte: recensione in anteprima del film di Christian Vincent
Un travolgente Fabrice Luchini protagonista de L’hermine, delizioso affresco rivolto essenzialmente ai suoi personaggi, di cui segue le vicende con amabile distacco
Il tribunale della corte d’Assise di Saint-Omer è un ecosistema alquanto affollato. Di settimana in settimana si alternano cause che segnano le esistenze di almeno altrettante persone, specie quando si tratta del giudice Xavier Racine (Fabrice Luchini), uno di quelli dalla condanna a non meno di due cifre. A breve si troverà a seguire il caso di una bambina uccisa a colpi di anfibio; un omicidio efferato, per cui s’immagina che L’hermine si attesti su quei toni lì. Niente di più sbagliato.
In realtà il film di Christian Vincent è un delizioso courtroom romantico, che mescola più cose, con un impianto da commedia. Ma soprattutto con uno spassoso Fabrice Luchini, mattatore in questa storia che anche in questo senso si pone inizialmente in un modo per poi procedere in un altro; perciò no, malgrado l’accumulo di personaggi, non si tratta di un film corale. D’altronde nelle prime battute seguiamo un influenzato giudice Racine che torna in albergo tutto indolenzito. Solo che l’indomani ha un processo e non può mancare. E ci mette poco a far sua la scena.
In questa sede si giudica il caso di cui sopra: l’imputato è il padre della bimba. L’hermine si comporta in maniera inaspettata, almeno fino a un certo punto; senza volutamente tenere conto delle varie tonalità, riesce ad esprimere serietà e comicità nel giro di pochi secondi, sempre per quella così lì che i generi cinematografici rappresenteranno pure degli ottimi ed intramontabili codici; ma se è la vita che si vuole scimmiottare, allora va corso il rischio di spiazzare, di non limitarsi ad assecondare minuziosamente le pieghe di una situazione piuttosto che di un’altra.
Il giudice osserva in modo strano una delle donne chiamate a far parte della giuria popolare. È come se fosse rimasto interdetto non solo dal suo nome, ma ancor più dalla sua presenza. In verità trattasi di un medico che l’ha avuto in cura per circa sette settimane; e tanto è bastato a Xavier per innamorarsene. L’hermine è un segmento di questa storia, che ci mette a parte di quanto basta relativamente agli eventi che precedono quelli del film, ma che vive proprio di quelle piccole, ordinarie cose che avvengono sotto i nostri occhi.
All’interno di un contesto che sa molto di teatro, dove infatti a fare la differenza è la prova di un attore, ossia Luchini. Un personaggio adorabile il suo giudice, anche (soprattutto) quando fa lo stronzo. A Luchini basta uno cenno del corpo, un’espressione, una risposta laconica per farci sorridere, o in ogni caso per colpirci. In nessun caso passa inosservato, ed il ruolo che è chiamato ad interpretare gli calza a pennello, dato che, come il giudice in un processo, anche lui sul palcoscenico detta i tempi. Talmente integrato in quelle vesti da sembrare le proprie.
Ne L’hermine si avverte un alito vitale difficile da riportare a parole. Vincent sceglie le scene giuste, non per forza le migliori, perché l’intenzione non è quella di sistemare minuziosamente un arco narrativo, quanto quella di aprire un sipario sulle vite dei suoi personaggi. Che appaiano per poco o per molto, importa relativamente. La trama è asservita a loro e non viceversa; diversamente l’entra ed esci emotivo di certi passaggi o non sarebbe stato possibile oppure avrebbe penalizzato oltremodo la scorrevolezza della storia, che, al contrario, si segue tranquillamente.
Un film che peraltro, en passant, si attarda sulle seconde possibilità, senza essere superficiale. Anche qui interviene quell’elemento imprevisto, “fuori dal personaggio”, nel senso di avulso da ciò che ci aspetteremmo che facesse. Nel caso di Xavier è l’avvicinare questa semi-sconosciuta e dichiararsi, senza stare lì a preoccuparsi più di tanto della sua posizione o di come potrebbe reagire la donna a cui rivolge siffatte attenzioni. L’hermine è un film delizioso, che non impone nulla agli occhi dello spettatore, limitandosi a seguire l’incontrarsi e lo scontrasi dei suoi personaggi. Ecco perché alla fine basta un semplice scambio d’occhiate ed un sorriso per sentirsi un po’ più riscaldati. Semplice ma sorprendentemente caloroso com’è quest’ultimo lavoro di Vincent. Ed infatti alla fine gli si perdonano anche quelle cose per cui normalmente altri film si sarebbero irrimediabilmente perduti.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]
L’hermine – La corte (Francia, 2015) di Christian Vincent. Con Fabrice Luchini, Sidse Babett Knudsen, Miss Ming, Berenice Sand, Claire Assali e Floriane Potiez.