Venezia 2015, 11 Minutes: recensione in anteprima del film di Jerzy Skolimowski
A cinque anni da Essential Killing, Jerzy Skolimowski torna al Lido con un altro ambizioso progetto. Un thriller ad incastro però fine a sé stesso, 11 Minutes non va oltre la mera costruzione di una scatola accattivante ma vuota
Ubriacati dalla scatola che Jerzy Skolimowski costruisce in 11 Minutes, sfugge che questo film parla anche di tradimento. Anzi, tradimenti, al plurale. Ma, appunto, non è colpa dello spettatore. È che quello del regista polacco è tutto un gioco, più che un «esercizio di stile», come si è sentito dire alla fine della proiezione stampa. Perché l’obiettivo non è quello di affascinare con un gusto ricercato o che so io; Skolimowski struttura un marchingegno sul quale lui stesso, implicitamente, ammette di non avere alcun controllo. Ed infatti gli sfugge di mano.
Sia chiaro, non che il tentativo non sia apprezzabile o che l’impegno non vi sia. 11 Minutes rappresenta una sfida suggestiva, tutt’altro che inedita, ma pur sempre accattivante; non a caso sulla carta si trattava di uno dei film più interessanti del Concorso. E vorrei tanto poter dire che l’unico elemento a non avermi convinto sia il finale (che già sarebbe un problema), quando in realtà chi scrive non è affatto contrariato da quei cineasti che, bisogna dire coraggiosamente, ammettono di credere nel Deus ex machina. No, a ben pensarci è proprio il percorso ad essere debole, a non “divertire” (che brutta parola!) come dovrebbe.
Alla fine si ha quasi l’impressione di aver assistito ad una barzelletta, e credetemi quando vi dico che non c’è alcun sarcasmo in tale considerazione. Leggete. C’è un uomo che torna a casa con il sopracciglio tumefatto, da poco sposato con un’attrice, della quale è molto geloso; la donna si appresta a partecipare ad un provino privato presso la suite di un Hotel a cinque stelle appositamente affittata da un regista anglofono. Ce n’è un altro che di mestiere fa il lavavetri e, nello stesso albergo del provino di cui sopra, si è intrufolato in una stanza; arriva la fidanzata, un’attrice porno che lo costringe a guardare il suo ultimo film per poi convincerlo che con l’attore non c’è del tenero. C’è una ragazza che porta a spasso un cane, un ragazzino che si appresta a compiere una rapina, un anziano paesaggista ed un pedofilo in libertà vigilata che vende hot dog alle suore.
Che vi dicevo? Ce ne vuole di pelo sullo stomaco per proporre una storia di questo tipo, che ne raccoglie svariate per poi farle convergere nello stesso punto. Il limite sta tanto nel punto di convergenza, quanto nell’incredibile disinteresse che si ha nei riguardi di tutti questi personaggi. Tutto ciò che avviene in 11 Minutes, ma proprio tutto, esiste solo ed esclusivamente in funzione del rocambolesco culmine narrativo, fatalista e sopra le righe. Disseminando qua e là indizi, segni, non necessariamente collegati o anche solo razionalmente sensati. Ma ripetiamo, il film è attraversato da questo alone di misticismo, d’ineffabile, che esplode negli ultimi cinque minuti. E si tratta di una lunga forzatura per dirci che l’esistenza nostra, del mondo e delle cose, è capricciosamente regolata da forze che agiscono senza alcun nesso apparente.
Skolimowski non s’azzarda nemmeno a fornirci una spiegazione, e fa bene, onde evitare di ingabbiare certi argomenti tra le maglie di ragionamenti o, Dio non voglia, lezioni, che mal si prestano a descrivere certi interventi. Nondimeno, l’intervento c’è, ma ciò che lascia tiepidi non è la sua presenza, quanto ciò che l’ha preceduto. Tappezzare, come già accennato, il film d’incroci, circostanze che si ripetono, col solo intento di aiutarci nel collocare temporalmente ogni segmento rappresenta uno sforzo inutile, fine a sé stesso. Si vorrebbe tanto dire che ci si sia lasciati coinvolgere dal meccanismo; che, insomma, alla fine della “barzelletta”, si abbia avuto modo di ridere.
Purtroppo, però, ci si trova in quella spiacevole situazione di disagio, quando alla fine si resta impassibili, non sapendo se dissimulare la delusione per le aspettative disattese oppure ammettere, sempre per cortesia, che «non l’ho capita, ma forse è perché ero distratto». L’imbarazzo è maggiore se si pensa a quanta cura abbia riposto il narratore nel mettercene a parte, fino a un certo punto convincendoci che stessimo ascoltando qualcosa di cui ci saremmo ricordati. Invece, lasciando cadere la metafora, di 11 Minutes non resta granché. A prescindere dalla possibilità che scopo di Skolimowski fosse proprio quello di giocare col pubblico, stuzzicarlo per il solo gusto di confonderlo. Resta la freddezza di un arnese che non assolve, come vorrebbe il suo inventore, nemmeno a quella che ci pare essere la sua funzione principale, ossia intrattenere senza cedimenti. Fattispecie che si verifica fino a metà corsa più o meno. Per il resto non sarebbe bastata nemmeno tutta l’ingegnosità del mondo.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]
11 Minutes (11 minut, Polonia, 2015) di Jerzy Skolimowski. Con Richard Dormer, Agata Buzek, Dawid Ogrodnik, Andrzej Chyra, David Price, Beata Tyszkiewicz, Piotr Glowacki, Jan Nowicki, Wojciech Mecwaldowski, Paulina Chapko ed Anna Maria Buczek.