No Escape – Colpo di Stato: recensione in anteprima
Tentando di ribaltare la retorica dell’eroe a tutti i costi, No Escape – Colpo di Stato si perde maldestramente in un contesto surreale e stantio
Di No Escape – Colpo di Stato si sente parlare in svariati modi. Di solito evitiamo di scomodare le opinioni altrui prima di vederlo un film, un po’ per non farsi influenzare, un po’ per il gusto della sorpresa, ché non si sa mai. Anche stavolta abbiamo tenuto fede al proposito, ma dopo qualcosa la si è letta. Dito puntato sugli autori anzitutto per quello che viene definito un chiaro «spirito xenofobo» che giace al cuore del film dei fratelli Dwodle. Basta? Beh, a parere di chi scrive il vero “peccato” di No Escape sta nell’essere semplicemente un brutto film.
Non capita spesso di dover essere così drastici, nemmeno in quei non rari casi in cui si trova di fronte prodotti alquanto modesti, se non addirittura scadenti. Ma questo è uno di quei conclamati casi di opera manipolatoria, familista nell’accezione più becera del termine, nonché pure fuori tempo massimo. Storie così avevano un senso, per così dire, una quarantina d’anni fa; non bastasse questo, i Dowdle costruiscono una sceneggiatura a mo’ di ricamo, dove alle trovate più irritanti si cerca di compensare in una maniera talmente goffa da acuire ulteriormente certe non edificanti sensazioni.
Irritante. Un altro termine in cui potreste incappare facile quando leggete o discutete su No Escape. Proprio perché laddove il film non funziona, non va proprio, lì c’è la mano pesantissima dei Dowdle, i quali non si accontentano di dare vita ad uno scenario quantomeno sopra le righe; no, sulle ali di non si capisce quale entusiasmo, eccedono. La trama si concentra sulla famiglia Dwyer; Jack (Owen Wilson), ingegnere americano, viene spedito nel sud est asiatico da una multinazionale americana. Con lui la sua famiglia, moglie e due figlie, che lo seguono perché è qui che dovranno costruirsi una nuova vita. Da notare che non viene lasciato spazio ad alcun malinteso: il film si apre con l’uccisione del primo ministro dello Stato in cui i Dwyer sono appena approdati da parte di un gruppo di ribelli, che di lì a poco metteranno a soqquadro mezzo mondo.
I Dwyer, appena atterrati dunque, non hanno praticamente neanche il tempo di ambientarsi nel nuovo appartamento; passaggio chiave, in cui si discute circa la necessità di portare un “cucina-riso” dal Texas proprio lì, in quell’area del globo (l’avete capita, no?). Ma non importa, perché a breve ai coniugi Dwyer toccherà fronteggiare l’insurrezione: orde di asiatici che saccheggiano un po’ dovunque, facendo irruzione pure nel lussuoso albergo che doveva fungere da oasi felice in mezzo a tutta quella miseria. Nulla da fare, stronzi ricchi… i poveretti stanno arrivando. E sono parecchio incazzati!
È qui che realizzi di che cosa tratti No Escape, che a conti fatti è uno zombie movie senza zombie ma con gli asiatici al loro posto. In un contesto per lo più da 28 giorni dopo, assistiamo a questa tutt’altro che elaborata «furia gialla», da cui, come recita il titolo, non c’è scampo. D’ora in avanti il delirio: bimbe che vengono infingardamente lasciate correre da un palazzo all’altro, asiatici con la bandana alla testa, cattivissimi, che sparano all’impazzata gridando cose che per potrebbero benissimo non aver alcun senso in alcuna lingua. Questi ce l’hanno con gli americani, tutti, indistintamente. Il perché lo si capirà più avanti. Intanto la fuga prosegue.
All’attivo si hanno: una cinquantina di musi gialli inviperiti, un salto fuori parametro da un grattacielo ad un altro, due attacchi scampati rispettivamente da un elicottero ed un carrarmato. Manco a dirlo, tutti morti fuorché i Dwyer. Per chi è familiare col settore videoludico, pur rischiando la “bestemmia”, per un po’ le dinamiche ricordano quelle di ICO: Ico è un ragazzino dotato di corna che deve riuscire a condurre fuori da un castello l’altrettanto giovane Yorda. Quest’ultima è per lo più un peso, sebbene la cosa venga meravigliosamente sublimata da tanta di quella poesia che la metà basta. Torniamo a bomba su No Escape. Le Yorda della situazione sono le figlie di Jack che 1. non fanno altro che urlare, 2. sono un peso e nient’altro, 3. urlano. Ma non sarebbe la stessa cosa se per tutto il film padre e madre ripetessero loro sempre la stessa cosa: «nascondetevi qui e non muovetevi finché non ve lo dico io. Andrà tutto bene». Sul resto delle conversazioni genitori-figli «fia cosa laudabile il tacere».
Giunti stremati alla fine di questa giostra che non diverte, né emoziona, né niente, ecco la chiusa «riparatoria», quella che azzoppa ancora di più i già cospicui 100 e passa minuti di durata. Non siamo particolarmente adusi all’idea di svelare elementi anche solo vagamente rilevanti della trama di un qualunque film, ma questa dovete proprio leggerla, perché fin qui (mea culpa) potreste ancora avere qualche dubbio su come passare quest’ora e mezza. Hammond (Pierce Brosnan), pittoresco personaggio incontrato sull’aereo d’andata, si scopre essere in qualche modo il responsabile di questa rivolta. Ed è allora, solo allora, in quel preciso istante, ben oliati da tutto quanto avvenuto prima, che il buon Hammond se ne esce all’incirca così: «sai che c’è? Sono incazzati, sì. Sono violenti, sì. Ma c’hanno pure ragione! (segue blando discorso di geopolitica applicata)… Noi siamo venuti a rubare in casa loro e loro non ci stanno. Stanno difendendo i loro figli. Proprio come te!».
Ci si domanda perché non restare nell’alveo del mero intrattenimento, che non è peccato e che già ha mostrato crepe notevoli di suo. Ma ho anche provato a chiedermi a che punto, nel corso della stesura della sceneggiatura, i fratelli Dowdle abbiano seriamente creduto che questa gente, che fino a quel momento ci viene descritta né più né meno come indemoniata totalmente priva di alcun raziocinio, potesse magicamente diventare umana a fronte di una rivelazione di questo tipo. Stona oltremodo se confrontata con la bestialità mediante cui ci vengono restituiti, filtrati da una retorica da guerra in Vietnam, dove i nemici non sono altro che animali senza cervello, men che meno personalità, programmate solo ed esclusivamente per infastidire lo zio Sam – niente di più, ci mancherebbe: in Vietnam si è vinto!
A ciascuno va riconosciuto il sacrosanto diritto di evocare temi i più scottanti, anche a costo di mettere a dura prova il politicamente corretto imperante. Se dunque l’impronta xenofoba, o chi per lei, servisse per veicolare una fetta di realtà, scomoda o meno che sia, ben venga. Il punto è che in No Escape – Colpo di Stato oltre a questo il nulla. In nessun caso viene “giustificata” una scrittura così raffazzonata, vecchia, quasi sempre insincera. E si lasci pure perdere l’alibi del b-movie, ché qui c’entra poco.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”2″ layout=”left”]
No Escape – Colpo di Stato (No Escape, USA, 2015) di John ed Erick Dowdle. Con Owen Wilson, Pierce Brosnan, Lake Bell, Spencer Garrett, Sterling Jerins, Claire Geare, Karen Gemma Dodgson, Sahajak Boonthanakit e Jim Lau. Nelle nostre sale da domani, giovedì 10 settembre.