11 donne a Parigi: recensione in anteprima
L’universo femminile raccontato dal di dentro, in maniera scanzonata e sopra le righe. Peccato che 11 donne a Parigi di Audrey Dana parta subito per la tangente ed il resto sia per lo più un’escalation di esuberanza purtroppo fine a sé stessa
La romantica Parigi. Classico luogo comune che, come tutti i luoghi comuni, si fonda su una verità innegabile; al tempo stesso però un cliché ad uso e consumo di tutti noi non parigini. 11 donne a Parigi prova anzitutto a demitizzare questa fama, non per forza a negarla. È una Parigi al passo coi tempi, che non si prende affatto sul serio e che osa quella di Audrey Dana, qui in veste di attrice, regista e sceneggiatrice.
Il punto tuttavia non è quanto osa ma come. Apprendiamo che Dana aveva intenzione di ribaltare una certa, caricaturale visione che l’uomo cova nei riguardi della donna, solo che, guardando il film, ci pare che, al contrario, uno sciagurato che avesse in così bassa considerazione «l’altra metà del cielo» (cit.) non potrebbe che uscirne rinvigorito nelle sue convinzioni. Queste undici donne che vagano per la capitale francese con le loro storie, uniche, diverse, divertenti o tristi, incarnano, mediante una metafora accessibilissima, altrettante tipologie di donna. Operazione analoga ma diversa rispetto al recente fenomeno editoriale di Caroline de Maigret, Come essere una parigina. Ovunque tu sia. Per lo meno rispetto alle ambizioni, in qualche modo volte, in entrambi i casi, a reiterare talune peculiarità, non per forza edificanti, ma con fierezza ed ostentazione. Sebbene la netta impressione sia che l’operazione, molto riuscita limitatamente al libro della de Maigret, lasci il tempo che trova in relazione al film della Dana.
C’è la madre di quattro figli che deve ancora compiere 27 ma avverte tale evento come una catastrofe; quella che non riesce a raggiungere l’orgasmo e ne soffre maledettamente, per quanto in silenzio; un’altra, più in là con gli anni, dura ad accettare che sua figlia sia oramai in età da copula; quella remissiva, che chiede scusa anche quando gli altri le pestano i piedi; la femme fatale rovina-famiglie; la lesbica rovina-famiglie e via discorrendo. Dei tipi… a voi il piacere di conoscerli tutti. Catalogazioni che non scandalizzano né esaltano.
È come Dana porta avanti il discorso che non convince su tutte le ruote. Il livello è quello di una bellissima ma impacciata Laetitia Casta che, ogni qualvolta si emoziona, comincia a scoreggiare. Non c’inventiamo nulla eh. Questa è una delle undici, giovane avvocato in cerca del principe azzurro, sebbene frenata nella ricerca, tra le altre cose, da questi suoi exploit intestinali. In generale, storia di corna, ribellione, emancipazione e chi più ne ha più ne metta, tutto declinato al femminile. Un femminile però che implicitamente ammette di avere pudore per certe situazioni, perciò opta per un registro del tutto votato alla comicità. Una comicità che, a propria volta, più che essere volgare, è fine a sé stessa, ed in realtà nemmeno così comica.
Avanspettacolo puro, 11 donne a Parigi dissimula il malcelato desiderio di soffermarsi sulla donna di oggi, o per lo meno su alcune delle sue maschere, assecondando un tono cialtronesco ed inutilmente sopra le righe. Lasciando perdere le varie diramazioni, gli incontri e scontri di questa storia in cui è inevitabile descrivere vicende esasperate, è proprio questo registro al confine tra il surreale ed il buffonesco a risultare completamente decentrato. Più che altro perché mal gestito. Un gruppo di donne, giovani e meno giovani, potranno anche sorridere, se non addirittura ridere di certe derive: la moglie tradita che inserisce un “troia” ogni tre parole quando parla dell’amante del marito; quest’ultimo che viene trattato da zerbino ingrifato; la più figa della scuola, ora in carriera, che si sottopone ad una non del tutto gratuita seduta d’insulti e resoconti, da parte di un ex-compagna, sui metodi di tortura che volevano infliggerle a suo tempo certe sue coetanee; fino all’immancabile festa di sole donne, ciascuna delle quali vomita di tutto e di più – non alludo all’alcol.
Si capisce l’intento di voler, per così dire, esorcizzare certe leggende sull’universo femminile, lasciando intendere che magari, come i luoghi comuni su Parigi, un fondo di verità ce l’abbiano eccome, anche se non sempre è come sembra (altro cliché!). Si può persino arrivare ad apprezzare tale capacità di prendersi così poco sul serio. Nondimeno il film è lì, e quel che lo compone sono una serie di sketch grotteschi messi insieme in modo ancor più stravagante, soprattutto restando in ambito di commedia. Audrey Dana, invece, dà l’impressione di aver perso le redini sin da subito, sicché questa complessa storia corale tra il (poco) serio e (tanto) faceto si dimena per tutto il tempo non concedendo allo spettatore nemmeno di capire di cosa si tratti.
A conferma, ancora una volta, che le idee, per quanto interessanti, non sono sufficienti. Perché su carta avremmo senz’altro sorriso leggendo di questa donna che di lavoro fa la conducente di bus, come il marito, distrutta da una routine che anche su schermo effettivamente fa sorridere, salvo poi, come ogni singolo aspetto di questo film, partire per la tangente senza alcun discernimento. Film scomposto, perciò, 11 donne a Parigi, che per formula e realizzazione non si discosta poi molto dai nostri, ben più familiari, cinepanettoni. Con la sola differenza che qui non si celebrano esclusivamente natali o matrimoni.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”2″ layout=”left”]
11 donne a Parigi (Sous les jupes des filles, Francia, 2015) di Audrey Dana. Con Isabelle Adjani, Alice Belaïdi, Laetitia Casta, Audrey Dana, Julie Ferrier, Audrey Fleurot, Marina Hands, Géraldine Nakache, Vanessa Paradis, Alice Taglioni, Pascal Elbé e Sylvie Testud. Nelle nostre sale da giovedì 3 dicembre.