Gli ultimi saranno ultimi: recensione in anteprima
Uno spicchio di ordinarietà entro il quale però ci s’incammina senza bussola. All’ambizione non corrisponde il risultato e Gli ultimi saranno ultimi denuncia, ancora una volta, l’incapacità del nostro cinema, salvo eccezioni, nel trasmettere verosimilmente storie così saldamente ancorate all’attualità
Luciana (Paola Cortellesi) lavora da dieci anni in una fabbrica nel laziale. Il marito Stefano (Alessandro Gassmann) è invece tendenzialmente avulso da questo mondo, preferendo piuttosto inseguire presunti affari che si rivelano sistematicamente delle pessime iniziative condotte addirittura peggio. Gente ordinaria, che vive con poco, in affitto e con un gruppo di amici coetanei, tra cui una coppia con ben quattro figli. I figli. Luciana e Stefano ci provano da tempo senza però che accada alcunché. Finché la lieta notizia arriva: lei è incinta.
È questo uno dei passaggi chiave, quanto alla narrazione per lo meno, di questa storia popolata da outcast. Il titolo dice tutto: Gli ultimi saranno ultimi. Ribaltando l’ammonizione evangelica, Massimiliano Bruno si getta anima e corpo sul sociale, disciplina di cui il suo ultimo lavoro è intriso fino al midollo. Le premesse ci sono, perché quando si cerca di raccontare la realtà, tanto più se declinata in attualità, l’interesse dovrebbe imporsi da sé.
Eppure l’incipit non basta. Gli ultimi saranno gli ultimi gioca sui generi, cominciando a tinte thriller, ossia partendo ad un passo dall’epilogo, per poi illustrare gli eventi che hanno condotto a quel punto; commedia, specie in relazione a certi dialoghi, siparietti in romanesco che descrivono alcuni momenti di quotidianità; ma soprattutto dramma. D’altronde se ci si vuole soffermare sulla storia di una donna lasciata a casa dal proprio datore di lavoro per via del suo stato interessante, girala come vuoi, quello drammatico è più di mero sottotesto.Ciò che però lascia alquanto perplessi è la sproporzione tra l’ambizione del film e la sua esecuzione. A più riprese emerge uno scollamento dalla realtà che in alcuni casi appare addirittura frustrante; quel far leva in maniera così calcata sui sentimenti, servendosene a mo’ di detonatore all’indirizzo di un audience comandata a bacchetta riguardo a dove dirigere ora il suo sdegno ora la sua compassione. Repentini cambi di registro su cui naufragherebbe qualsivoglia buona intenzione: netti, estemporanei per l’appunto, come se però si trattasse di un collage di film diversi messi insieme senza apparente continuità. Comprendiamo l’ambizione, che è quella di raccontare la vita senza troppi filtri, quella che, come più volte abbiamo scritto su queste pagine, non è una commedia, un dramma, un giallo etc. bensì tutte queste cose insieme e molto altro ancora.
Per farci un’idea relativamente all’entità del fenomeno, basti citare un film di recente uscita, francese, ovvero La legge del mercato: buon film, passato da Cannes nel corso dell’ultima edizione. Tematica analoga, sebbene quello di Stéphane Brizé concentri la propria attenzione su altro, ovvero il mondo del lavoro ai nostri giorni e come una persona ci si relazioni. Anche lì, generi che si mescolano, estrema attenzione alla verosimiglianza della vicenda a partire dalle dinamiche più banali; eppure, colpisca o meno, quella storia è credibile, attenta e rispettosa di una realtà complessa, oltre che dei suoi personaggi, a partire dal protagonista. Asciutta, durissima, può non essere pane per qualunque tipologia di denti, ma va riconosciuta quantomeno la capacità di leggere certi meccanismi e saperli proporre. Poi vabbè, c’è anche un ammirevole Vincent Lyndon.
Niente, ma proprio niente di tutto questo in Gli ultimi saranno gli ultimi, dove tutto è costruito in maniera posticcia, dalla ragazzina delatrice che soffia il posto di lavoro a chi l’ha aiutata al poliziotto di paese bigotto ma con scrupoli di coscienza; dal trans che si esibisce nell’implicito sponsor verso i propri diritti né più né meno a livello di pubblicità progresso, al marito fedifrago, fannullone, irresponsabile ma con un cuore. Non bastassero i generi, la commistione che danneggia ancor più questo film è quella inerente ai toni, che mutano con sin troppa disinvoltura dal cinico al misericordioso mediante un’ambivalenza tutt’altro che virtuosa; al contrario, si ha in realtà l’impressione che non si voglia o semplicemente non si riesca a prendere posizione.
C’è un velato anelito alla commedia all’italiana di fortunata memoria? Sembra proprio di sì, solo che oramai dovremmo aver capito che la stagione dei vari Risi, Monicelli, De Sica, Loi, Comencini, Germi, Scola e chi per loro è irrimediabilmente andata, e che gli ultimi sussulti, un pelo più recenti, risalgono comunque a circa trent’anni fa, coi Verdone e Troisi su tutti. Non è mera apologia del passato, ché da queste parti certe cose non c’infiammano per niente. Si ha l’idea che oggi manchi la stessa “praticità” con gli ambienti, i contesti e le storie che s’intendono filtrare, oltre che una pressoché totale mancanza di capacità nel rappresentare efficacemente su schermo tutto ciò. Salvo le solite, grazie al cielo inevitabili eccezioni, è chiaro.
Ora, di questi vizi non è affatto esente un film come Gli ultimi saranno gli ultimi, che, così per com’è, denuncia solo tale difficoltà, sempre più profonda e radicata, nel raccontarci, nel sondare l’ambiente entro il quale siamo immersi. Non diremmo mai che per questo non valga la pena provarci e, come già implicitamente riconosciuto, l’ambizione rappresenta l’unico aspetto in qualche modo incoraggiante. Ma al tempo stesso un’arma a doppio taglio, perché tanto più in alto si tenta di andare, quanto più dolorosa è la caduta qualora non si riesca a restare in aria. E non sarà a forza di facili cinismi e rappresentazioni alla lettera (quanto ai meccanismi) ma romanzate (quanto alla costruzione) che si riuscirà a trovare il bandolo della matassa.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”3″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”6″ layout=”left”]
Gli ultimi saranno ultimi (Italia, 2015) di Massimiliano Bruno. Con Paola Cortellesi, Alessandro Gassman, Fabrizio Bentivoglio, Stefano Fresi, Ilaria Spada, Irma Carolina di Monte, Silvia Salvatori, Giorgio Caputo, Emanuela Fanelli, Marco Giuliani, Maria Di Biase, Augusto Fornari, Diego Ribon, Francesco Acquaroli, Marco Falaguasta ed Alessandra Costanzo. Nelle nostre sale da giovedì 12 novembre.