Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte II: recensione in anteprima
È la resa dei conti. Per Panem, per Katniss e per tutti coloro che hanno combattuto a fianco della Ghiandaia Imitatrice nel corso di questi anni. Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte II è il degno epilogo di un progetto in parte compromesso da quest’ultima, forzata divisione, ma che, nonostante tutto, chiude con dignità l’intera saga
Ci siamo. L’avventura di Katniss giunge al termine. Avrà finalmente Panem la giustizia che merita ed il periodo di pace tanto agognato? Capitol City resta l’obiettivo principale, sebbene per la nostra eroina la Capitale significa anzitutto lui, Snow. Ed è proprio a questa seconda metà de Il canto della rivolta che tocca chiudere il cerchio, mettendoci a parte dell’epilogo di una delle saghe più fortunate degli ultimi anni, sia in ambito letterario che cinematografico.
Peeta è reduce da una sorta di salvataggio in extremis, perciò ancora inaffidabile: dice di voler uccidere la sua Katniss, colto da una sorta di lucida follia per cui sembra sapere cose che altri, tra i ribelli, non sanno. Hunger Games: Il canto della rivolta soffre inevitabilmente della cesura in due parti, che è poi la ragione, ora possiamo affermarlo con cognizione di causa, per cui la prima parte appare così debole. Un inutile allungamento di brodo su cui non è nemmeno il caso di dilungarsi più di tanto, visto che tanto è già stato scritto anche in relazione ad altri progetti che hanno subito uno split così nefasto per esigenze commerciali.
Tuttavia, ora che l’intero ultimo capitolo è a nostra disposizione, si può immaginarlo come un unico monolite, ed allora tirare le somme. E la Parte 2 possiede proprio ciò che mancava a quella precedente, ovvero una conclusione, non soltanto intesa come epilogo bensì degna dell’intera saga, a prescindere da quale sia l’idea che ciascuno coltivi a riguardo. L’ultimo tassello de Il canto della rivolta ritorna perciò lì da dove tutto ha avuto inizio, e bisogna ammettere che l’accostamento tra le origini e la fine ha un suo perché. Il senso è che gli Hunger Games non sono mai finiti e che in quel mondo lì, a Panem, da certe logiche non si scappa.
L’avventura è infatti strutturata a mo’ di prove di resistenza dalle quali solo i più temprati possono ancora una volta uscire indenni. Non a caso è il meglio degli ultimi giochi che qui è chiamato a portare a termine una missione che Katniss conduce praticamente in solitaria, sebbene sostenuta quasi ciecamente dal suo gruppo. Se la prima parte è stata per lo più quella di Alma Coin (Julianne Moore), infatti, qui si ripropone il classico schema che porta la nostra piccola protagonista a riappropriarsi della scena ed emanciparsi. Un post-moderno romanzo di formazione insomma, con tutti i pregi e difetti della categoria.
Con un senso, a suo modo, anche cinematografico; oltremodo derivativo, certo, ma che per lo meno stimola nei giusti modi laddove il sonnacchioso prequel (Parte 1) aveva maldestramente tentato di rendere credibile i prodromi della rivoluzione. Qui è tutto azione e avventura, dosate con criterio, capace addirittura di offrire alcune sequenze al cardiopalmo. L’inseguimento nei sotterranei, per esempio, passaggio in cui la vicenda assume tinte vagamente horror e, tra cunicoli e corridoi, sembra di assistere ad una riproposizione di vecchi classici del genere a cavallo tra questo e la fantascienza (a chi scrive è venuto in mente Alien, non il primo ma il Resurrection).
Intercettando peraltro i potenziali gusti di un pubblico non per forza esclusivamente giovane, malgrado oramai si sia alla fine. Il cuore di Katniss è infatti ancora diviso tra Gale e Peeta, una sottotrama che Lawrence e soci portano avanti con discrezione, senza eccedere nei toni e relegandola a quei momenti in cui si tira fiato. Poco sopra abbiamo sostenuto che la Parte 1 fosse per lo più quella del capo dei ribelli, Alma Coin, mentre a ‘sto giro Katniss è protagonista indiscussa. Lo ribadiamo. Vero è che che la prima parte consacra Katniss a Ghiandaia Imitatrice, simbolo incarnato di una rivoluzione che, agli occhi del popolo, ha sempre bisogno di certi escamotage. Ma si tratta di un processo che la giovane per lo più subisce, al quale si presta malvolentieri, sentendosi peraltro in colpa riguardo a tale strumentalizzazione. Ed infatti tutto ciò che avviene nella Parte 1 altro non è che espressione del piano della Coin, meticolosa ed estremamente efficace nel cavalcare l’immagine dell’eroina di Capitol City, ribaltandone la figura completamente.
Qui emerge la gratuità della divisione in due tranche, perché la parabola di Katniss ha un senso se inserita in un contesto specifico, in cui prima è, di nuovo, vittima, salvo poi uscirne da eroe. Ma l’eroe necessita indissolubilmente di un conflitto, che gli è essenziale per poter consolidare la propria posizione; ecco, qui ci si accosta alle prove, ovvero a ciò da cui tale eroe deve passare per compiere quel fondamentale step che lo porta dalle tenebre alla luce. E dato che dal rimando al mito Hunger Games trae gli spunti più felici, comprometterne le implicazioni a seguito di una simile cesura appare mossa assai discutibile, più che in altre occasioni.
Ciò detto, si tratta di valutare il lavoro a cose fatte, e va riconosciuto agli autori una certa perizia nella gestione di quest’atteso epilogo. Superfluo commentare una tenuta visiva che a conti fatti è stata sempre di ottimo livello e che in questo caso non è da meno. Più interessante è semmai notare come l’epica non abbia preso il sopravvento e chi di dovere sia riuscito a mantenere una mano ferma specie in relazione alle battute conclusive, così ovvie che era giusto lavorare di più sulle fasi che la precedono. Confermandosi ancora una volta fenomeno trasversale, al contrario di quanto fosse lecito aspettarsi da principio.
Ricordo ancora le accuse sulla natura prettamente commerciale, derivativa e del tutto priva di verve mosse già alla Collins e, di conseguenza al film. Ma tocca pur riconoscere che, sebbene nell’ambito del mainstream più spinto e spudorato, è stato proprio Hunger Games a riportare in auge, in sala, certi scenari orwelliani presso il grande pubblico, sotto forma di saga; e che dai vari maestri del distopico – come Orwell, appunto, Huxley, Welles, Benson, Dick ed altri ancora (troppi ce ne sono) – attinge per lo più ciò che le serve, così da costruirci sopra qualcosa di ben diverso, oltre che meno significativo.
Eppure quando Snow si rivolge a Capitol City incalzando i suoi abitanti con queste parole: «Ciò che i ribelli odiano è il nostro stile di vita, ed è proprio quello che intendono colpire», beh… sembra di assistere ad uno dei tanti proclami che in questi giorni di confusione ed incertezza vanno rincorrendosi con martellante nonché sospetta assiduità. Un tempo la distopia alludeva ad un’epoca ancora lontana; oggi che la distopia la leggono in pochi e la capiscono addirittura in meno, semplificare i termini della questione e rendere certi argomenti più alla portata non è un’operazione che merita necessariamente anatema.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”6″ layout=”left”]
Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte II (The Hunger Games: Mockingjay – Part 2, USA, 2015) di Francis Lawrence. Con Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Julianne Moore, Wes Chatham, Elden Henson, Robert Knepper, Gwendoline Christie, Michelle Forbes, Eugenie Bondurant, Natalie Dormer, Elizabeth Banks, Sam Claflin, Liam Hemsworth, Jena Malone, Willow Shields, Philip Seymour Hoffman, Mahershala Ali, Stanley Tucci, Woody Harrelson, Donald Sutherland, Stef Dawson, Evan Ross e Jeffrey Wright. Nelle nostre sale da giovedì 19 novembre.