Quanto bell’Oriente c’è a Venezia?
L’altr’anno il cinema orientale si è difeso bene al Festival di Venezia, pur raccimolando un “voto complessivo” non più che discreto nell’insieme. C’era tanto Giappone, sia in concorso (Paprika di Kon, Mushishi di Ôtomo), sia fuori concorso (ad esempio Miyazaki jr. e K. Kurosawa) che in Orizzonti (come Oshii e Aoyama). Non sono mancati altri
L’altr’anno il cinema orientale si è difeso bene al Festival di Venezia, pur raccimolando un “voto complessivo” non più che discreto nell’insieme. C’era tanto Giappone, sia in concorso (Paprika di Kon, Mushishi di Ôtomo), sia fuori concorso (ad esempio Miyazaki jr. e K. Kurosawa) che in Orizzonti (come Oshii e Aoyama). Non sono mancati altri grandi nomi (Weerasethakul, Tsai Ming-liang, Johnny To) e qualche sorpresa (personalmente, il folgorante Jakpae del coreano Ryoo Seung-wan). Quest’anno l’Oriente potrebbe dare ancora prova di essere forse la cinematografia più viva e variegata, o almeno quella con più sorprese e assi nella manica.
Ad iniziare dalla competizione vera e propria, che vede nel suo bel programma due maestri: il cinese (per l’occasione tornato in patria come nelle prime commedie) Ang Lee, Leone d’Oro nel 2005 per Brokeback Mountain, e il giapponese Takashi Miike, per la prima volta in concorso. Il primo ambienta il suo thriller Lust, caution a Shanghai durante la Seconda Guerra Mondiale, con Tony Leung nella parte di un funzionario coinvolto suo malgrado in un omicidio e Joan Chen; il secondo conferma la sua vena anarchica e folle tirando fuori dal cappello il nippo-western Sukiyaki Western Django, girato in inglese e incentrato su due gang rivali, con Tarantino nella parte di un “mistery man” di nome Ringo.
E poi ci sono Jiang Wen, attore in The Missing Gun e I Guerrieri del cielo e della terra, alla sua terza regia con Taiyang zhaochang shenqi (The Sun Also Rises), un film corale ambientato in differenti luoghi e in tempi diversi (un villaggio Yunnan, un campus universitario, il deserto del Gobi…), e l’attore feticcio di Tsai Ming-liang, ossia Lee Kang-sheng, alla sua seconda opera. Il titolo è tutto un programma: Bangbang wo aishen (Help Me Eros).
Fuori concorso invece troviamo innanzitutto due maestri: Im Kwon-taek e Takeshi Kitano. Il primo, uno dei maestri della Corea del Sud, di cui in Italia si è visto nelle sale solo Ebbro di donne e di pittura (per cui venne premiato come miglior regista a Cannes nel 2002, assieme al Paul Thomas Anderson di Ubriaco d’amore), era in concorso nel 2004 con Haryu insaeng (Low Life); il secondo vinse un sacrosanto Leone d’Oro per Hana-Bi nel ’97, fu nominato per Dolls (2002) e Zatoichi (2003), e nel 2005 Takeshi’s fu il film sorpresa di quell’edizione, dividendo critica e pubblico. Con Kantoku banzai! (Glory to the Filmmaker!) sembra essere tornato al suo primo amore, il genere comico con cui è nato; la storia è quella di un regista che cerca il successo al box-office, cambiando ogni genere cinematografico, e floppando clamorosamente ogni volta.
Nella categoria Orizzonti ritorna Shinji Aoyama, dopo il discutibile Koorogi, con Sad Vacation, storia di un ragazzo che ritrova la madre, che l’aveva abbandonato da piccolo, la quale però si è rifatta una famiglia. In gara per questa sezione anche il cinese Lu Yue con Xiaoshuo (The Obscure); il regista è al suo quarto film, ma è soprattutto direttore della fotografia per numerosi registi, tra cui l’ultimo John Woo (Red Cliff).
Due invece i documentari, entrambi direttamente dalla Cina: il primo è San (Umbrella) di Du Haibin, e il secondo Wuyong (Useless) di Jia Zhangke, che ha vinto l’anno scorso il Leone d’Oro con il film sorpresa (e che sorpresa!) Still Life.
A chiudere la mostra troviamo l’esordiente Alexi Tan con Tiantang kou (Blood Brothers), una coproduzione tra Taiwan, Cina e Hong Kong: siamo nella Shanghai degli anni ’30, con attori orientali di prim’ordine, tra cui la splendida Shu Qi, Chang Chen (che si è fatto le ossa con Wong Kar-wai, Ang Lee e Kim Ki-duk) e l’intrigante Daniel Wu (visto l’anno scorso al Lido in The Banquet).
Come dire? Piatto ricco, mi ci ficco.