La grande scommessa: recensione in anteprima
Quanto manca in irriverenza La grande scommessa lo compensa almeno in parte mediante una commedia dai ritmi serrati, stile finto-documentario, che intercetta le peculiarità dei personaggi dal potenziale comico più interessante tra quelli che hanno preso parte attivamente al crollo finanziario del 2008
[quote layout=”big” cite=”Mark Baum]Guardali! La gente si comporta come se fosse in un video di Enya…[/quote]
La bolla dei subprime, l’impensabile disfatta di Lehman Brothers, i milioni di disoccupati e rimasti senza casa. Un biennio, quello 2007/08, che ha sconquassato equilibri oltremodo precari, che oggi sappiamo essersi retti sostanzialmente su nulla. «Eh ma è troppo complicato», ci hanno sempre detto ogni qualvolta venissero evocate dinamiche finanziarie e affini; finché qualcuno non ci ha spiegato che il gergo era complesso apposta, così da non permettere di capire fino a che punto si trattasse di una farsa. Una farsa criminale, s’intende, ma pur sempre una farsa.
Negli scorsi anni c’è già chi si è cimentato nell’ostica impresa di attardarsi su quel periodo; prima Inside Job di Charles Ferguson, che andò a vincere pure l’Oscar quale miglior documentario. Poi arrivò il debutto di J. C. Chandor, quel Margin Call che ad oggi resta il miglior film a tema. Adesso tocca ad Adam McKay, uno che da regista si è sempre occupato di commedie. Non a caso La grande scommessa questo è: una commedia nera. E tutto sommato ce n’è di motivi per non glissare a cuor leggero su un film che invece adotta un approccio differente.
The Big Short (questo il titolo originale, tratto peraltro dal libro omonimo), si concentra sul periodo che ha preceduto il tracollo, a partire dal 2005 per l’esattezza. All’epoca c’è chi comprese il trucco, terribile, scommettendo contro un mercato allora considerato fra i più solidi di tutti, se non il più solido, ovvero quello immobiliare. Primo fra tutti Michael Burry (oh, a noi questo Christian Bale piace e pure parecchio), che andò a farsi il giro delle banche come nel Medioevo lo si faceva per le chiese, facendosi creare uno strumento ad hoc che gli permettesse di trarre profitto in caso di crollo. Oltre a lui, seguono Jared Vannet (Ryan Gosling), trader della Deutsche Bank che ci mette poco a fiutare il perverso affare, e Mark Baum (Steve Carrell), responsabile di un fondo speculativo.Inevitabile addentrarsi nel tecnico, dato il contesto. Tuttavia McKay solleva questo strato, per così dire, esoterico, e ci consegna maschere, personaggi in carne ed ossa. La grande scommessa si regge su di loro, non sulla vicenda in sé, che resta sempre sullo sfondo. Di Burry, per esempio, non vi abbiamo detto che è un ex-neurologo, il quale ha perso un occhio da piccolo e soffre di sindrome d’Asperger, per questo lo vediamo per tutto il film rintanato nel suo ufficio ad ascoltare rock e metal a volume sparato, avulso da tutto ciò che lo circonda. Eppure è lui, così pare, ad aver scovato l’inghippo per primo, deriso e compatito fino all’ultimo, mentre la società che aveva fondato, la Scion Capital, continuava a regalare soldi in premi a causa di questa mossa sconsiderata proprio da parte di Burry.
Così come vanno tenuti d’occhio tutti gli altri, coi loro tic, le loro peculiarità. Come il personaggio di Carell, Mark Baum, tendenzialmente sclerotico, costantemente incazzato, in grado di fare cose come interrompere un discorso in una conferenza, lasciar intendere che quelle che stava sentendo fossero tutte stronzate, per poi rispondere al cellulare e andarsene. McKay è fortemente attratto da questi profili, tutti borderline, chi più chi meno. E alla fine questa si rivela la carta vincente. Il film si regge infatti su di loro, su certi loro siparietti, su un ritmo incalzante e un taglio documentaristico che riesce a conciliare la necessità di chiarire che si tratta di una storia per lo più realmente accaduta da un lato; dall’altro di esasperarne i contorni, che è in fondo l’operazione che consente a noi spettatori di non avvertire il tedio di certi processi finanziari e goderci piuttosto il divertimento.
Tirando però le somme, quindi, davvero sono le performance attoriali a far pendere l’ago della bilancia nel verso favorevole. Perché per il resto ad Hollywood si continua a non voler entrare troppo nel merito della questione, sottoponendo al pubblico quanto basta per catalizzare il proprio sdegno, finanche a ‘sto giro infarcendo di moralità uno scenario in cui sì, non ci sono eroi, ma a quanto pare resistenti, loro malgrado. La tirata d’orecchie del misterioso Rickert (Brad Pitt) ai danni di due ragazzi, festanti poiché diventati improvvisamente milionari, è il solito espediente di troppo che vuole per forza di cose indicare da che parte sta il bene: «smettetela di ballare! Voi da oggi siete ricchi sfondati, mentre milioni di persone stanno per ridursi per strada, senza casa e lavoro. Smettetela di ballare!». Come a dire, abbiamo scherzato, ci abbiamo riso sù, ma il discorso e serio. Lo sappiamo anche noi.
Probabilmente però i tempi non sono semplicemente maturi per affrontare di petto la questione, fare nomi, mettere in discussione i meccanismi che davvero hanno condotto a tale sfacelo. In tal senso La grande scommessa si concede, a dire il vero, un pizzico di maligno cinismo, quando alla fine ci segnala che nel corso del 2015 sono stati promossi strumenti finanziari che sono pressoché identici, ma con denominazione cambiata, rispetto a quelli che hanno affossato l’economia mondiale anni addietro. La risposta di McKay è di farci una risata sopra, o per schizofrenia o per attirare l’attenzione, di per sé bassa, di chi ancora non vuole capire. Fedele alla vocazione principe, che è l’intrattenimento, The Big Short da questo punto di vista mantiene ciò che promette; anche se con questo suo approccio, molto probabilmente, non si aspetta più di tanto che «una risata li seppellirà».
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”6″ layout=”left”]
La grande scommessa (The Big Short, USA, 2015) di Adam McKay. Con Brad Pitt, Christian Bale, Ryan Gosling, Steve Carell, Marisa Tomei, Melissa Leo, Tracy Letts, Hamish Linklater, John Magaro, Byron Mann, Rafe Spall, Jeremy Strong, Finn Wittrock, Max Greenfield, Karen Gillan, Selena Gomez, Billy Magnussen ed Al Sapienza. Nelle nostre sale da giovedì 7 gennaio 2016.