The Eichmann Show: il trailer italiano
Al cinema per ricordare la diretta del “processo del secolo” al feroce criminale nazista Adolf Eichmann e l’orrore dei campi di sterminio raccontato per la prima volta dalle vittime.
Al cinema per ricordare la diretta del “processo del secolo” al feroce criminale nazista Adolf Eichmann e l’orrore dei campi di sterminio raccontato per la prima volta dalle vittime
Il prossimo 27 gennaio il mondo intero torna a celebrare un nuovo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, simbolo universale del lager della Germania nazista da più di 70 anni, con tanto di forni, fosse, documenti e superstiti di uno Shoah che qualcuno ancora riesce a definire una truffa.
Nel 2016, con il ‘Mein Kampf’ di Hitler libero dai diritti d’autore, online e in libreria con la versione integrale del ‘Diario di Anna Frank’ (nonostante la controversia sul copyright più spinosa) e i resoconti dei genocidi perpetrati fino ad oggi il nome della religione e delle differenze etniche, dal cuore dell’Africa al Medio Oriente, il giorno della memoria serve ancora a ricordare che cose così orribili continuano ad accadere.
A questo proposito il cinema che ricorda si prepara a riportare in sala frammenti di storia da non dimenticare, dall’infermo crematorio di Auschwitz-Birkenau con Il figlio di Saul di László Nemes, al processo di Francoforte e la prospettiva tedesca sulla presa di coscienza della barbarie naziste protagonisti de Il Labirinto del Silenzio di Giulio Ricciarelli, mentre THE EICHMANN SHOW di Paul Andrew Williams, torna a filmare al messa in onda del “processo del secolo”.
Il processo al feroce criminale nazista visceralmente anti-semita Adolf Eichmann e l’orrore dei campi di sterminio raccontato per la prima volta dalle vittime, in una diretta televisiva trasmessa in 37 Paesi.
Un lavoro di dimensioni epocali per il team di produzione, chiamato a filmare il processo che il film riprende tornando nella Gerusalemme 1961, con il geniale produttore televisivo Milton Fruchtman (Martin Freeman) che assume il regista Leo Hurwitz (Anthony LaPaglia), finito nella ‘lista nera’ di McCarthy, per occuparsi delle riprese TV del processo di uno dei più noti e feroci criminali nazisti.
Il racconto delle riprese e dei numerosi ostacoli affrontati dal team per effettuarle, arrivando a costruire speciali nicchie per le macchine da presa, allo scopo di riprendere ogni cosa del processo restando di fatto fuori dall’aula, riuscendo a trasmetterlo anche fuori della Germania e cominciando a parlare apertamente dell’Olocausto, dopo 16 anni dalla fine della guerra
The Eichmann Show, scritto da Simon Block, diretto da Paul Andrew Williams e prodotto da Laurence Bower e Ken Marshall per Feelgood Fiction, arriva al cinema per soli tre giorni, distribuito nelle sale da Lucky Red il 25, 26, 27 gennaio 2016.
THE EICHMANN SHOW: cast
Martin Freeman – Milton Fruchtman
Anthony LaPaglia – Leo Hurwitz
Rebecca Front – Signora Landau
Zora Bishop – Eva Fruchtman
Andy Nyman – David Landor
Nicholas Woodeson – Yaakov Jonilowicz
Ben Lloyd-Hughes – Alan Rosenthal
Ben Addis – Ron Huntsmann
Dylan Edwards – Roy Sedwell
Justin Salinger – David Arad
Solomon Mousley – Perry Roded
Caroline Bartleet – Judy Gold
Ed Birch – Millek Knebel
Anna-Louise Plowman – Jane Dudley
Nathaniel Gleed – Tommy Hurwitz
Zora Bishop – Eva Fruchtman
Vaidotas Martinaitis – Adolf Eichmann
Ian Porter – Corrispondente del New York Times
Nell Mooney – Moglie del giornalista del New York Times
Intervista a Paul Andrew Williams
Come sei stato coinvolto nel progetto?
Mi hanno spedito la sceneggiatura, che mi è arrivata il giorno prima che partissi per le vacanze e immediatamente ho capito di voler far parte del progetto. E’ un tema che mi interessa sotto ogni punto di vista, ed è stato fantastico che me l’abbiano proposto. I due protagonisti mi sembravano molto interessanti, con le loro opinioni contrastanti su alcune questioni, ma entrambi decisi a far conoscere al mondo questa storia.
Come hai usato i filmati d’archivio? Che tipo di valore aggiunto pensi diano al film?
E’ stata sempre una nostra scelta quella di usare media diversi e inserire filmati d’archivio nella storia girata, per cercare di far sentire la gente pienamente immersa nell’epoca in cui si svolge il film. Dovrebbe essere un modo per coinvolgere di più e, auspicabilmente, per risvegliare l’interesse per un tema al quale nessuno presta attenzione da un po’ di tempo, o in coloro che ne sanno poco e niente. Attraverso la drammatizzazione abbiamo la possibilità di catturare l’attenzione delle persone. Così come le riprese del processo, abbiamo usato anche altro materiale d’archivio dell’epoca e vecchi notiziari, per dare a ciascuno la giusta sensazione di dove ci trovassimo e in quali anni. La mia intenzione è sempre quella di rendere le cose più cinematografiche possibile, e siamo molto soddisfatti del risultato.
Com’è stato girare a Vilnius, in Lituania?
E’ stato fantastico, mi è piaciuto molto. La gente è molto simpatica, le agevolazioni e le strutture disponibili sono eccellenti per girare con tempi e budget ristretti e la troupe è stata meravigliosa.
Una delle ragioni principali per cui abbiamo girato lì è il teatro che abbiamo usato per ricreare il tribunale. Era già molto simile all’originale, e il team della produzione è riuscito a renderlo identico in ogni particolare.
C’è stata qualche particolare difficoltà durante le riprese?
Quando giri con moltissime comparse, specialmente comparse che non parlano la stessa lingua, è spesso molto difficile, ma siamo stati fortunati perché avevamo una troupe fantastica.
Com’è stato scegliere i componenti del cast del film e lavorare con loro?
Il cast è stato messo insieme in modo eccellente – Martin, Anthony e tutti gli altri. Quando ho incontrato Martin è stato subito chiaro che avrebbe dato un contributo straordinario, e l’interesse di Anthony per il tema del film e il suo stile di recitazione sono esattamente quello che cercavo. E’ stato come un bel sogno lavorare con loro, dei veri professionisti, e in futuro spero di poter lavorare di nuovo con entrambi.
Intervista a Martin Freeman ( Milton Fruchtman)
Di cosa tratta The Eichmann Show?
Tratta della messa in onda televisiva del processo ad Adolf Eichmann – cosa venne trasmesso, quanto fu difficile riuscire a trasmetterlo e poi il grande successo della trasmissione – e io interpreto la parte del produttore che riuscì nell’impresa.
Quanto ne sapevi prima?
Sapevo abbastanza del processo Eichmann, ma non sapevo niente di tutto quello che riguarda la realizzazione della sua trasmissione. Penso che sia normale. Assisti a grandi eventi storici in tv o alla radio e mentre stai guardando non ti chiedi: ‘Chi lo starà trasmettendo?’. Durante la coppa del mondo non pensi a chi la stia trasmettendo e quando assisti ai funerali di Diana non ti chiedi chi stia decidendo le inquadrature, per cui non sapevo niente della storia di questo film, no.
Qual è stata la tua reazione quando hai letto la sceneggiatura?
Ho pensato che fosse un’ottima sceneggiatura e che mi piaceva, così ho accettato la parte. Mi è sembrata scritta molto bene. Credo che la lotta di potere tra le emittenti, la gente con i soldi, e il mio personaggio Milton Fruchtman, convinto dell’importanza di trasmettere quell’evento, sia appassionante; e anche reale, perché lavoro in televisione e al cinema e so quanto sia difficile realizzare qualcosa. Inoltre in questo caso si trattava anche di un progetto senza precedenti: era la prima volta che dei sopravvissuti all’Olocausto venivano ascoltati in diretta da tantissime persone, e tutto questo mi è sembrato davvero interessante.
Parlaci del tuo personaggio.
Milton Fruchtman è stato un produttore cinematografico e televisivo americano. Quando
Eichmann venne portato in Israele, Milton si recò da Ben-Gurion, il primo ministro israeliano di allora, per chiedere il permesso di riprendere il processo. Le trattative furono molto lunghe, ma nel corso di quelle trattative ebbe sempre il sostegno di Ben-Gurion, che si fidava di lui.
Com’è stato lavorare con il regista e con il resto del cast?
E’ stato fantastico. Paul Andrew Williams è un ragazzo di grande talento e lo tenevo d’occhio dai tempi di London to Brighton; ed è anche una persona fantastica, di grande umanità. Non ha paura di mostrarsi vulnerabile, è molto divertente, vuole fare le cose per bene ad ogni costo, e ha sempre cercato di fare la cosa giusta. L’ho adorato, come pure il resto del cast. Lavorare con Anthony LaPaglia è stato fantastico e c’erano alcuni attori inglesi che conoscevo già, per cui mi trovavo davvero in un gruppo di prima categoria.
Come ti sei sentito a lavorare in un film che tratta un tema così delicato? Ci sono state scene particolarmente difficili da girare?
C’erano delle scene in cui noi, come i nostri personaggi, dovevamo guardare filmati d’archivio dei campi di concentramento, che è una cosa sempre molto difficile. Erano molti, e alcuni non li avevo mai visti prima – nonostante ne avessi già visti tanti in passato – ed è stato emotivamente faticoso. Per il resto, l’unica difficoltà per me è stata di ordine tecnico, e cioè usare per tutto il tempo un accento che non è il mio, quello della Costa orientale. Questo è stato abbastanza complicato.
Secondo te perché il tuo personaggio voleva trasmettere il processo ad Adolf Eichmann?
Dal punto di vista della carriera sapeva che sarebbe stata una di quelle occasioni che capitano una volta sola nella vita e voleva afferrarla, ed era anche consapevole di quanto fosse importante che questa storia venisse raccontata. Il processo venne seguito da moltissima gente in tutto il mondo, e per la prima volta l’Olocausto apparve per come lo conosciamo oggi. Per la prima volta una grande massa di persone ascoltò le testimonianze dirette dei sopravvissuti. Ovviamente la gente sapeva che qualcosa di davvero terribile era accaduto sotto il nazismo ma, forse per la prima volta, l’entità e la portata di quanto era accaduto assumevano un volto, quello dei sopravvissuti. E poi era interessante capire chi fosse Eichmann, una persona dall’aspetto assolutamente insignificante, che non aveva affatto l’aria di un mostro malvagio, bensì di un tipo normale, ordinario. Penso che tutto
ciò fosse importante per Milton. Importante dal punto di vista del produttore televisivo, ma anche come essere umano. Tutto era accaduto 15 o 16 anni prima – e comunque nel corso della loro vita. Dovevano capire meglio, e credo che alla fine del processo tutti capirono un po’ di più. Perché la gente arriva ad un punto in cui possono accadere queste cose? Nonostante il processo non abbia certamente dato una risposta a tutte le domande, ad alcune di esse forse sì. Credo che ci abbia insegnato che le persone responsabili di questi crimini orribili non sono mostri e non hanno due teste. Parlano, si muovono e spesso pensano anche in modo simile a noi. E’ questo l’aspetto più spaventoso di tutti.
Perché pensi dovremmo celebrare il 70° anniversario della liberazione dei campi di concentramento?
Sono cresciuto con questa consapevolezza, l’ho sempre saputo e, da un punto di vista storico e umano, per me è un momento fondamentale. Nel mondo esiste il pregiudizio, ci sono sempre delle cose orrende latenti, pronte a saltar fuori e, se ci scordiamo a cosa possono portare, finiamo col distruggere noi stessi. Uomini che fanno del male ad altri uomini ci sono sempre e ovunque ma, in termini di sterminio di massa, di pianificazione scientifica per eliminare un intero gruppo di persone, questo è un esempio terribile, e credo che sia importante ricordarlo. Ci insegna molto su come le cose possono degenerare, e sul rispetto per i vivi e per i morti.
Come è stato girare in Lituania e a Malta?
E’ stato bello ma faceva molto freddo! Eravamo a Vilnius, la capitale, ed è stato fantastico, ma non una sostituzione ideale per il Medio Oriente in quanto a temperature! Malta, dove abbiamo girato gli esterni, ci si avvicinava di più in termini di temperature. Mi è piaciuto molto. Tra l’altro si è trattato di un impegno abbastanza breve per i miei standard, appena un mese, quindi davvero piacevole.
Intervista ad Anthony LaPaglia (Leo Hurwitz)
Di cosa tratta The Eichmann Show?
Si svolge nel 1961 ed è sul processo ad Adolf Eichmann. Il Mossad aveva scoperto che si
nascondeva in Argentina, lo aveva prelevato senza un accordo di estradizione e lo aveva portato a Gerusalemme per processarlo e una delle decisioni che vennero discusse fu se il processo avrebbe dovuto essere trasmesso in televisione oppure no. Inizialmente i giudici israeliani erano contrari pensando che le macchine da presa fossero troppo grandi e ingombranti e che avrebbero disturbato le udienze, così Leo Hurwitz e Milton Fruchtman idearono un modo per risolvere il problema, e cioè la costruzione di speciali nicchie al di là dei muri grazie alle quali le macchine da presa sarebbero rimaste fuori dall’aula, pur potendo riprendere ogni cosa.
Quanto ne sapevi prima?
Sono un appassionato di storia, quindi sapevo di Eichmann, della sua estradizione e del processo, e avevo perfino visto il processo, ma non avevo mai riflettuto su come fosse stato ripreso. Siamo così circondati dai media che qualche volta dimentichiamo cosa effettivamente è richiesto per filmare qualcosa, specialmente un evento universale e importante come questo, che doveva essere girato nel modo giusto.
Qual è stata la tua reazione dopo aver letto la sceneggiatura?
Mi hanno mandato la sceneggiatura e l’ho letta e poi mi hanno chiesto se volessi interpretare Leo Hurwitz. Il tema del film era per me assolutamente inedito e mi è sembrato molto interessante, per cui ho deciso di accettare. Con Martin Freeman al mio fianco e Paul Andrew Williams alla regia, non è stata una decisione difficile da prendere, è stato un sì convinto!
Com’è il tuo personaggio?
Leo Hurwitz era un regista la cui carriera si interruppe per circa 10 anni, dopo il suo inserimento nella ‘lista nera’ di McCarthy per presunte ‘attività anti-americane’. Come molti altri artisti della ‘lista’, in quel periodo svolse qualsiasi lavoro gli venisse offerto usando degli pseudonimi e cercando così di andare avanti. Perciò, quando venne ingaggiato per girare il processo ad Eichmann, aveva appena vissuto sulla propria pelle una particolare forma di fascismo e di discriminazione, e una delle cose a cui teneva di più era cercare di dimostrare che Adolf Eichmann non era un mostro tout court. Era convinto che ad un certo punto nel corso delle udienze avrebbe mostrato qualche forma di rimorso o di rammarico, o qualcosa che dimostrasse la sua umanità. E questo per Leo era importante: voleva che la gente capisse che alcune persone in determinate circostanze potrebbero finire col prendere quelle stesse decisioni. Ma Eichmann non cedette mai – neanche una volta – nel corso dell’intero processo, e credo che fosse totalmente irriducibile. In effetti, anche se non vi è mai stata una conferma ufficiale, pare che abbia fatto alcuni commenti in prigione riguardo al fatto che avrebbe fatto di nuovo tutto ciò di cui era accusato. Era visceralmente anti-semita e credeva di aver fatto la cosa giusta. Questo aspetto sconcertò molto Leo che era invece deciso ad offrire una prospettiva diversa perché pensava che fosse troppo facile liquidare qualcuno definendolo un mostro; ma qualche volta è proprio quello che sono, esistono persone sociopatiche e per quanto si provi a tirarne fuori il lato umano, non ci si riesce perché semplicemente non c’è.
Come ti sei preparato per questo ruolo?
Ho incontrato il figlio di Milton, Tom, e come faccio di solito per il mio lavoro, ho letto tutto il possibile – libri e manoscritti – poi ho visto tutto il possibile che avesse una certa attinenza con il tema del film per immergermi completamente in quell’epoca, e poi, una volta sul set, in un certo senso butto via tutto e il set, la sceneggiatura, gli attori, fanno il resto.
Come è stato lavorare con il regista e il resto del cast?
Il regista è stato eccezionale, l’ho adorato, è stato molto preciso e molto divertente. Abbiamo lavorato sotto pressione, con giornate molto lunghe e spesso con 13 o 14 ore di riprese al giorno. E’ stato estenuante, ma lui è riuscito a mantenere sempre il suo senso dell’umorismo. Mi piace lavorare con gli attori inglesi, è una gioia lavorare con loro, sono divertenti, buffi, super-preparati e mai nevrotici. E’ stato tutto molto piacevole.
Perché pensi che dovremmo celebrare il 70° anniversario della liberazione di Auschwitz?
Penso che dovremmo commemorare l’anniversario di tutte le atrocità commesse contro qualsiasi comunità nel mondo, ce ne sono state moltissime e continuano ad essercene e dovremmo mantenere sempre alto il livello di consapevolezza. Perché non si tratta solo dello sterminio di sei milioni di ebrei, ma del fatto che ancora oggi la gente venga massacrata e perseguitata su vasta scala, dal Rwanda alla Bosnia, dalla Somalia al Congo, e in tutto il Medio Oriente, continuano a perpetrarsi genocidi in nome della religione, delle differenze etniche, e si tratta di eventi anche molto recenti. Evidentemente non impariamo niente. Per imparare, dobbiamo educare, e per educare dobbiamo trovare un modo per arrivare al cuore delle persone. Distogliere la loro mente da Kim Kardashian per 10 minuti e dar loro qualcosa di importante su cui riflettere. Siamo ossessionati dalle celebrità, ma dovremmo essere invece ossessionati da quello che ci succede intorno e da quello che potremmo fare per migliorare un po’ le cose. Anche se qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di eventi accaduti molti anni fa, per cui chi se ne importa, celebrare il 70° anniversario della liberazione di Auschwitz, significa ricordare che quel genere di cose non è circoscritto nel tempo, semplicemente perché continua ad accadere.
Via | Lucky Red