Arabian Nights: Blogo intervista il regista Miguel Gomes
Discutendo su Arabian Nights, Miguel Gomes finisce col parlare di cinema, intavolando una breve ma interessante lezione sulla Settima Arte
Che Arabian Nights sia uno dei progetti che più abbiamo apprezzato nel 2015 lo saprete alla fine di questo 2016. Perché? Ma perché, dopo il debutto italiano al Filmmaker (quello internazionale fu a Cannes, il maggio scorso, in Quinzaine des Réalisateurs), Milano Film Network si è impegnato a portare il film anche nelle nostre sale. Un’impresa notevole, considerata la mole del lavoro di Gomes, ossia tre film da all’incirca due ore l’uno. A questo indirizzo trovate tutti i dettagli dell’iniziativa, con relative informazioni sulla distribuzione.
La scorsa settimana, in concomitanza con la presentazione del film all’Anteo di Milano, il regista portoghese Miguel Gomes si è prestato, come si diceva una volta, alle nostre telecamere. Un’intervista ahinoi breve, sebbene si tratti di quasi venti minuti; solo che, come avrete voi stessi modo di vedere, Gomes non è tipo da lasciarsi tirare a forza un pensiero. La video-intervista la trovate in apertura.
Ed è stata un’occasione per discutere su aspetti come la burrascosa produzione del film, cantiere a cielo aperto in cui buona parte dei passaggi appaiono improvvisati, che un po’ il valore aggiunto di questo progetto. Un processo selvaggio che, non a caso, si avverte in ciascuno dei tre film, o volumi, secondo giusta dicitura. Arabian Nights ci parla del Portogallo di oggi, girato in lungo e in largo nel corso di un anno da Gomes e la sua troupe, che ha raccolto tanto di quel materiale che stiparlo in un solo film, per quanto lungo, non era nemmeno concepibile.
Inquieto, Desolato e Incantato, sono questi i titoli dei tre volumi, che prendono solo spunto dal celeberrimo Le Mille e Una Notte, qui rielaborato alla bisogna ed attualizzato con un piglio ed una libertà encomiabili. Realismo e fantasia si mescolano, dando vita ad un pezzo di cinema importante, viscerale, com’è l’esperienza di questi tre film imperfetti. Sì, selvaggi ma imperfetti, o imperfetti proprio perché selvaggi.
Abbiamo chiesto anche questo a Gomes, ovvero quale fosse, fra i tre, quello più fedele alle intenzioni. La sua risposta è stata che, come chiunque, anche lui ha una classifica personale circa l’ordine di preferenza. Per quanto ci riguarda, il secondo volume, Desolato, è una bomba; non per nulla qui troviamo una delle scene più interessanti, ovvero il processo all’aperto. Qui e lì si avvertono momenti di stanca, specie nel terzo volume, che ad alcuni passaggi meravigliosi ne alterna altri un po’ stirati, come la gara finale tra allevatori di pennuti.
Ma si tratta pur sempre di un rischio calcolato, non solo per la mole ma per l’eterogeneità di quest’opera, che può anche essere approcciata in diverso ordine, purché però l’esperienza consti di tutti e tre i film, requisito imprescindibile per farsi un’idea accettabile. E alla fine c’è pure spazio per alcuni dettagli sul suo prossimo film, gradito regalo di Gomes, il quale, al contempo e per ovvie ragioni, non si è potuto sbottonare più di tanto.