Non abbiamo bisogno di voi, dicono dal Festival di Cannes
La notizia del mancato invito di film italiani al concorso di Cannes non deve scandalizzare, a Cannes fanno giustamente quel che credo, tuttavia, meglio pensare e non prendere alla leggera l’esclusione
Qualcosa di sciocco compare in noi, tra noi, quando arriva la notizia che il nostro cinema non è stato invitato a Cannes o ad un’altra manifestazione internazionale. Siamo abituati a vincere e forse questa abitudine ci sta colpendo sotto la cintura come si dice nella boxe, nelle parti sensili e fragili.
Ci sta colpendo anche perché spesso non capiamo bene il motivo per cui non ci abbiano premiato o invitato, così come non capiamo perché ci abbiamo premiato. Leggendo le opinioni del laconico direttore di Cannes- “…non c’è un motivo, per gli italiani sarà per un altro anno”. Niente da dire. Le ragioni dobbiamo cercarle fra noi, noi stessi che siamo sempre all’erta sulla questione e l’attesa dei premi perché, in assenza di un nostro mercato funzionante davvero (Checco Zalone non fa primavere e vince, complimenti, da solo), non abbiamo risposte, o ne abbiamo pochissime, aleatorie, ripetitive. Ma non le hanno soprattutto i potenti del nostro cinema (i soliti noti, che sopravvivono fra sovvenzioni statali e tv), distratti o angosciati dal dovere di portare a casa il “pollo”, termine gergale, per giovarsi delle risorse disponibili. Vivono i potenti, e noi volontari o involontari addetti alle briciole nell’orgoglio nazionale, nel sogno di una piccola primavera che possa arrivare di tanto in tanto per addolcire la cicuta del no premi, cacchio.
Il fatto è che, a ben guardare, non esistono strategie ormai da decenni. I produttori e gli autori- che dovrebbero essere i “motori” della situation che sul piano internazionale si va complicando ogni anno di più- fanno quel che possono, cercano idee e denaro. Un po’ a casaccio. Come viene viene. I generi si sono prosciugati. I comici nuovi non fanno ridere nessuno, salvo il gran Checco del pollaio. Gli autori di film, come chiamarli?, “seri”, “impegnati”, “di qualità”, “cittadini del mondo”, non trovano libri che ispirino soggetti decenti, non accettano di condividere scelte e stesure di sceneggiature, sono talmente immersi nella cosiddetta “politique des auteurs”, di marca francese, paghi di antichi coppe e medaglie, che camminano nel vuoto di sonnambuli nel lungo viale del tramonto senza Billy Wilder.
Insomma, abbiamo una creatività bloccata. Esce poco o nulla da produzioni e strutture che vanno macilente a caccia di galline dalle uova dei Leoni o Palme d’oro. Esce poco o nulla, anzi meno di nulla dalle tv frastornate da fiction fuori di testa più che fuori mercato; e esce ancora meno dalle poche situazioni alternative (?) a cura di produzioni o iniziative a carico di istituzioni pubbliche (che aria tira nelle film commission? chiedete, scusate, a chi?). La creatività è bloccata anche nelle categorie professionali, a rimorchio dell’andazzo un po’ pazzo del bastone e della carota, promesse e confetti per i premiucci.
La creatività è bloccata perché esiste un’unica scelta per i giovani: bocciarli subito e toglierseli dai piedi. Del resto, chi sono o dovrebbero essere i creativi- promotor capaci di scegliere e far crescere talenti?
Posso solo rispondere come Moravia quando si trovava di fronte a intrecci italiani: boh e mah. E i critici? Boh e mah. Le suole di cinema e relativi doccenti (due cc, docce scozzesi tra fumosità e bassa fantasia): boh e mah. Perché non ci sono italiani a Cannes? Boh e mah.