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Sole Alto: recensione in anteprima

Tre tormentate relazioni, ciascuna declinata diversamente e a distanza di dieci anni l’una dall’altra, nella ex-Jugoslavia. Dalibor Matanic scolpisce l’immobilità di un territorio ed il suo influsso su coloro che lo abitano da vent’anni a questa parte

pubblicato 19 Aprile 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 12:24

Due giovani ridono e scherzano sulla riva di un lago. Spensierati, giocano come se niente fosse. Di lì a poco scopriamo che i due si stanno vedendo di nascosto; lui è croato, lei è serba, e siamo nel 1991. La guerra dei Balcani è di lì a venire, ma se ne respira già l’aria, se ne avvertono i tremori. È per questo che i due innamorati sono in procinto di andare in città, nella speranza di non essere coinvolti dall’onda oramai inevitabile.

Dalibor Matanic con Sole Alto propone la sua versione di questa pagina che ha segnato profondamente quel territorio, senza entrare nel merito dei discorsi politici, preferendo piuttosto seguire da vicino chi tale pagina l’ha subita. Né questi due giovani sono espressione della totalità, saggia intuizione da parte del regista croato, che dal particolare di questa storia d’amore passa al generale di una guerra che, pur rimanendo sempre al di là dell’inquadratura, resta presente, pressoché in primo piano.

Ma Sole Alto non è nemmeno un film sugli effetti immediati. Ciò che Matanic intende trasmettere è l’immobilità, che non è semplicemente “mancato progresso”. Come se il tempo da quelle parti si fosse letteralmente fermato, e per oltre vent’anni. Ecco spiegato il perché di quella struttura narrativa ciclica: il film è infatti composto da tre episodi, ciascuno ambientato a dieci anni di distanza dall’altro. Ma non è solo questo. L’effetto straniante vero e proprio lo generano i protagonisti, sei in totale, interpretati da due persone, ovvero quei giovani di cui sopra. Non invecchiati, perciò, perché ciascuno di loro rappresenta un’epoca.

Le tre ragazze, così come i tre ragazzi, appartengono a tempi diversi, generazioni diverse, senza che nemmeno si somiglino caratterialmente; rimane però il contesto, che li accomuna al di là di qualunque diversità. Le loro storie risentono radicalmente della Storia, dei malumori mai del tutto sopiti. E non c’è modo di sfuggire a tutto ciò, se non per l’appunto andandosene. Un tema, quello dell’abbandono, evocato sia nel secondo che nel terzo episodio, e sulla cui opportunità Matanic si sofferma non senza una certa tristezza, evitando sentenze alle quali in certi casi è facile cadere anche involontariamente.

Alla luce di quanto sinora evidenziato, risulta comprensibile come mai fosse essenziale trovare gli attori giusti. In tal senso Goran Markovic e Tihana Lazovi rappresentano il vero valore aggiunto di questo progetto. Dalibor è bravo a calibrare i profili dei sei personaggi sui due interpreti, che variano il giusto. A onor del vero, più credibile la Lazovi, che riesce a differenziarsi meglio rispetto a Markovic. Tuttavia, essendo costantemente al centro della vicenda, quale che sia, non è facile tenere desta l’attenzione e permettere allo spettatore di “superare” la loro ciclica presenza ma sotto vesti diverse.

Dove Matanic non è altrettanto incisivo è sul fronte dei cosiddetti temi universali, che in certe situazioni vengono da sé, certo, ma che restano comunque una chimera. Rispetto a quanto assistiamo, infatti, non emerge chissà quale vicinanza, proprio perché queste tre vicende sono saldamente ancorate ad un’area specifica, con la propria storia, i propri trascorsi, che difficilmente possono essere colti nella loro interezza dall’esterno.

Consapevole di tutto ciò, Matanic opta per un approccio che volutamente evita svariate questioni, ed il cui limite consiste perciò nel dare per scontato un po’ troppo; unica ragione, ci sembra, per cui questo seppur interessante, tenero ma disperato ritratto non coglie a pieno il suo potenziale. Un potenziale che, malgrado quanto appena rilevato, emerge comunque e più che dignitosamente.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]

Sole Alto (Zvizdan, Croazia/Serbia/Slovenia, 2015) di Dalibor Matanic. Con Tihana Lazovic, Goran Markovic, Nives Ivankovic, Mira Banjac, Slavko Sobin, Dado Cosic, Trpimir Jurkic, Lukrecija Tudor, Stipe Radoja, Tara Rosandic e Ksenija Marinkovic. Nelle nostre sale da giovedì 28 aprile.

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