Cannes 2016, Rester Vertical: recensione del film di Alain Guiraudie in Concorso
Festival di Cannes 2016: Alain Guiraudie va per la tangente, raccontando la “scandalosa” parabola di Léo secondo i canoni del mito ma in chiave decisamente contemporanea
Quella delle metafore al cinema è argomento ancora dibattuto, su cui alla fine ciascuno prende la posizione che più gli/le aggrada. Ma come regolarsi quando un cineasta come Alain Guiraudie se ne frega di tutti questi discorsi e getta nella mischia un prodotto così sopra le righe?
Certo, Rester Vertical verrà ricordato per il parto di un bambino che viene al mondo tra liquido amniotico ed escrementi, oppure per l’eutanasia procurata mediante sodomia a sfondo gerontofilo, malgrado in questo caso mi pare che le dinamiche siano altre rispetto alla mera ossessione o agli orientamenti. Così come in Lo sconosciuto del lago, Guiraudie vuole destabilizzare; anzitutto quello.
In un’epoca in cui la soglia del visibile si è praticamente dissolta, l’oltre tende ad evocare un concetto di non facile connotazione. Cosa è troppo? E fin dove ci si può o deve spingere nel mostrare? Tutti quesiti che al regista francese non interessano, perché il suo è un cinema che invoca strenuamente la propria libertà; libertà di far vedere ciò che vuole, ma ancora di più libertà da vincoli anche solo cinematografici.
Diciamocela tutta, Rester Vertical è confusionario, spregiudicato, finanche altezzoso; e tutte queste cose le esercita con fierezza, sprezzante verso chi alla fine può pure dire che non si è capito dove il film volesse andare a parare. Un non problema, quest’ultimo, perché l’opera di Guiraudie semmai soffre dell’opposto: tanta, troppa carne al fuoco.
E si torna all’argomento di cui in apertura. In Rester Vertical tutto è metafora, tutto sta in luogo di qualcos’altro, rappresentato sotto forme diverse. La rivendicazione di chi non ci sta all’idea di maschio e femmina come elementi fondanti la famiglia, la schiavitù del lavoro, la paranoia del nemico che incombe. Questioni calde, bollenti, che Guiraudie prende di sbieco ed infatti, pur riuscendo a scorgerle, non denotano particolare cura nel proporcele.
La differenza con Lo sconosciuto nel lago, volendo inoltrarci in questo paragone, sta nel fatto che quel film appariva più compiuto, merito probabilmente della scelta di restare nel genere in maniera alquanto aderente, osando su altri fronti. Qui si procede attingendo al mito, che è anch’esso un genere, ma il tutto è più scollato, volutamente aleatorio. Il primo si snoda in un crescendo, costruito in maniera sensata dall’inizio alla fine; in Rester Vertical non ci si preoccupa affatto della consistenza, perché tutto, ogni singolo passaggio, è di volta in volta funzionale a discorsi diversi.
Insomma, è nella natura di un prodotto di questo tipo non lasciare indifferenti, in un senso o nell’altro. Le peripezie di Léo, che perde la casa, ingravida la figlia di un pastore mentre insegue il visino perfetto di quel giovane che non può avere, si tiene stretto il proprio figlio e tenta di scappare da colui che gli ha commissionato una sceneggiatura a cui non crede, si risolvono in una vicenda che fa a meno di alcuna risoluzione, perché mira ad altro.
Il che non è male di per sé, non fosse per ciò che si perde strada facendo: non tanto credibilità ma efficacia. Al netto di quei temi cari al regista, che qui ritornano, perché in Rester Vertical si gioca a un gioco pericoloso, poiché curiosità e certi impulsi, che siano sessuali o tesi alla sopravvivenza, comportano rischi che molte volte si concretizzano in danni a cui non sempre si può riparare. E malgrado a tratti Guiraudie riesca ad inserirci pure un pizzico di commedia nera, Rester Vertical resta comunque ingolfato da una congerie di simboli e pretese.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”8″ layout=”left”]
Rester Vertical (Francia, 2016) di Alain Guiraudie. Con Laure Calamy, Damien Bonnard, India Hair, Christian Bouillette e Raphaël Thierry.