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Venezia 2016, Safari di Ulrich Seidl: Recensione in Anteprima

Il bracconaggio al centro dell’ultima fatica documentaristica di Ulrich Seidl. Safari.

pubblicato 3 Settembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 06:12

Archiviato Im Keller (In the Basement), titolo che nel 2014 lo riportò al Lido 13 anni dopo il Gran Premio della Giuria per Canigola, l’austriaco Ulrich Seidl è ripiombato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con Safari, sua ultima provocatoria fatica documentaristica.

Presentato fuori Concorso, lo sconvolgente titolo di Seidl prende vita in Africa, dove ordate di turisti tedeschi ed austriaci si ritrovano per cacciare antilopi, impala, zebre, gnu, elefanti, giraffe, leoni e decine di altre creture della savana per puro divertimento. Si appostano, braccano, guidano nel bus, mirano e soprattutto sparano all’ambita preda, per poi scoppiare in lacrime dalla gioia, singhiozzare per l’eccitazione, abbracciarci, riempirsi di complimenti e infine mettersi in posa per la rituale ed orrenda foto ricordo con l’animale morto ammazzato al loro fianco. Vacanze tutt’altro che economiche il cui obiettivo principale è quello di uccidere.

Un film sulla natura umana, ha definito Seidl questo Safari, in alcune scene talmente cruento dall’aver visto non pochi giornalisti abbandonare la proiezione stampa veneziana. Perché dopo aver limitato la grottesca ironia che da sempre lo contraddistingue, il regista austriaco si è concentrato sulla mattanza quotidiana che avviene in Africa ai danni di animali ‘indifesi’. C’è un prezzario, ovviamente, per poter cacciare e abbattere creature persino protette e in molti casi in via d’estinzione. Seidl osserva, da molto vicino, questo tour della morte che ha come protagonisti i cacciatori ‘comuni’, e non sceicchi, oligarchi o milionari russi, dando loro parola ed osservando quella che per loro è una vera e propria ossessione. La caccia.

Giovani, anziani, uomini e donne. Un fenomeno che non fa distinzioni di sesso o di età, per un piacere, quello di uccidere, che fa emotivamente esplodere questi soggetti, eccitati nel vedere un animale da loro abbattuto. Ridondante nel mostrare l’orrore della morte omicida, Safari vede in sequenza cadere uno gnu e un bufalo, per poi cedere spazio ad una zebra e ad una giraffa. E’ con questi ultimi due meravigliosi animali che Seidl esagera, soffermandosi persino sulla fase dello scuoiamento e dello squartamento. Con la maestosa giraffa, poi, la situazione precipita perché il colpo sparato dai due cacciatori di turno l’ha ferita ma non mortalmente, obbligando lo spettatore ad assistere all’agonizzante decesso dell’animale.

Una scelta provocatoria e d’impatto, quella portata avanti dal regista, che così facendo ha voluto mostrare un’agghiacciante realtà che vede la caccia estrema sempre più all’ordine del giorno, in Africa e non solo, con ‘tarifarri’ della morte e bossoli da far sparire una volta sparato il colpo fatale. Concessa ai diretti interessati la possibilià di motivare il perché di una simile passione, e il più delle volte con risultati drammaticamente esilaranti, Seidl vira nel finale ad un discorso ancor più ampio legato all’animalesca natura stessa dell’uomo, da far estinguere per riuscire a salvare il mondo dalla sua implosione. Controverso ma di forte impatto, Safari non lascia indifferenti. Da qualunque parte la si voglia vedere.

[rating title=”Voto di Federico” value=”6″ layout=”left”]

Safari (Doc, 2016) di Ulrich Seidl – sezione fuori Concorso.

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