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Venezia 2016, La Región Salvaje: recensione del film di Amat Escalante

Festival di Venezia 2016: Amat Escalante si getta a capofitto sul porno metafisico a tinte horror. Il suo La Región Salvaje non è affatto avaro di accattivanti intuizioni, tutte maldestramente disattese in corso d’opera

pubblicato 5 Settembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 06:07

In una regione del Messico si schianta un meteorite che porta con sé una forma di vita aliena. Il meteorite è la prima cosa che ci viene mostrata, proprio in apertura; dello schianto si avrà modo di evincerlo più avanti. Nella sequenza successiva troviamo una ragazza semi-distesa, nuda e gemente, mentre quello che ha tutta l’aria di essere un tentacolo si ritrae dietro l’inquadratura.

Doveva essere il film scandalo della Mostra, ed invece La Región Salvaje cerca con più convinzione lo scandalo anziché il film. E dire che le premesse non erano e non sono affatto malvagie, specie in relazione all’uso che in un primo momento ne fa Amat Escalante; un mix di generi, dall’horror alla fantascienza con un tocco di soft-porn. Il punto è che oltre a questa commistione non c’è pressoché nient’altro e non perché non ci si sia riusciti ma perché La Región Salvaje è così concepito.

L’irrompere nell’ecosistema terrestre di questo alieno stravolge gli equilibri: anche questa un’idea interessante, che non viene a ragion veduta mai chiarita. Quel che si apprende è che animali e persone sperimentano un repentino incremento del desiderio sessuale; quest’ultime addirittura si ritrovano a copulare con la medesima strana creatura, venendo risucchiati in una spirale di piacere dalla quale non intendono sottrarsi, ammesso che ciò sia possibile.

Ad Escalante non dispiace peraltro entrare nel merito del cosiddetto sociale, trattando en passant questioni attualissime come omosessualità, disparità economica ed in generale una certa alienazione esistenziale nel contesto messicano. Tutte cose a cui però fa cenno, senza mai affondare. Seguendo in qualche modo il tenore del suo collega messicano Carlos Reygadas, Escalante scommette tutto sul mood e l’atmosfera di quello che a conti fatti è un horror, solamente più atipico.

Straniante, certo, ma che si serve del mistero in maniera maldestra, se non furba, per compensare il non avere un’idea precisa verso cui convogliare i tanti elementi. Come accennato in apertura, si tratta per lo più di un esercizio che rivendica spasmodicamente attenzione; insicuro però sulla possibilità che tale attenzione possa venirgli accordata, ne La Región Salvaje si opta per la “controversia”, la creatura tentacolare tarata per soddisfare chiunque meglio di come possa fare qualunque essere umano. Con la complicità proprio dell’uomo, dato che è una coppia a nascondere l’alieno dentro a un capanno, dove vengono condotte le sue vittime o le sue amanti a seconda.

Un potpourri per lo più insapore, le cui fascinose intuizioni vengono diluite fino a scomparire dalla volontà di fare anche troppa leva su un presunto spostamento dell’asticella. Ma quell’asticella oramai è già piuttosto alta e la soglia del visibile perciò è sempre più difficile scorgerla. Alla luce di ciò appare ancora più modesto dunque il contributo di Escalante, che vorrebbe farci vedere qualcosa a cui non siamo abituati rinunciando quasi completamente al racconto, senza nemmeno raggiungere il grado di esperienza filmica al quale senz’altro aspirava; su cui, non a caso, sta o cade un progetto così pretenzioso e purtroppo sgangherato.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”3″ layout=”left”]

La Región Salvaje (Messico, 2016) di Amat Escalante. Con Ruth Ramos, Simone Bucio, Jesús Meza e Edén Villavicencio. Concorso