Sully: recensione in anteprima del film di Clint Eastwood
Ancora una questiona americana per Clint Eastwood dopo il discusso American Sniper. Raccontando l’eroe dietro al “miracolo dell’Hudson”, il regista firma con Sully uno dei suoi film più concisi. E forse anche il suo risultato più ‘popolare’ per il pubblico americano.
Una questione americana, un po’ come quella di American Sniper. L’uomo dietro l’eroe, l’uomo dietro la notizia, l’uomo dietro l’inchiesta. Ma, come quella di Chris Kyle, quella del Capitano “Sully” Sullenberger è una faccenda che riguarda innanzitutto una Nazione.
Sully si inserisce nel filone del cinema di Clint Eastwood in cui l’autore di Invictus e J. Edgar guarda alla Storia passata o più o meno recente per raccontare la morale di un paese. Patriottico, a modo suo, Eastwood lo è sempre stato. E anche se le sue posizioni politiche sono chiare, Eastwood spesso le ha quasi del tutto sovvertite e anche rese commoventi sul grande schermo (in questo Gran Torino è un manifesto e un punto di non ritorno).
Sully, come American Sniper, è il ritratto di un eroe i cui problemi a conti fatti nascono proprio dal rapporto interno con la sua Nazione. Però al contrario di American Sniper (per chi scrive deplorevole), quella di Sully è una vicenda che sin da subito fa evitare Eastwood di bruciarsi col fuoco o esporsi troppo.
Certo, il finale gronda retorica e i dialoghi tra Sully e la moglie (Laura Linney, perennemente al telefono) sanno di cliché. Però appunto il problema sta nel manico, ovvero nell’ennesimo ritratto d’eroe a rischio patriottismo. Come American Sniper, Sully rischia davvero di essere il film più crowd-pleasing per il pubblico americano della sua carriera, e basta vedere il risultato al box office.
Gli ingredienti stanno tutti lì, dalla decisione di casting del sempreverde Tom Hanks (ottimo, senza dubbio), fino ai titoli di coda che sono fatti con lo stesso stampino di quelli del film precedente. Quello però che convince di più in Sully è il modo in cui alla fine Eastwood trova davvero il “fattore umano” (come il titolo di lavorazione di Invictus, tra l’altro).
Con una costruzione per niente classica, ma fatta di giochi cronologici, ripetizioni, salti temporali e costruzione dell’attesa, il regista regala l’ennesima lezione di cinema della sua carriera. Perché anche se gioca con l’ordine degli eventi e con il tempo, Eastwood non forza mai il suo stile e anzi lo sfrutta per raccontare Sully e il “miracolo dell’Hudson”, un incidente (e salvataggio) durato solo tra i 3 e 4 minuti.
Sully, che agendo d’istinto salvò tutti i 155 passeggeri che il suo aereo stava trasportando, rappresenta l’uomo retto, giusto, che anche agendo d’istinto sa che la manovra assurda che sta per fare è quella che va fatta. E nonostante questo la National Transportation Safety Board lo mette a dura prova e vuole fare chiarezza nel caso: perché non è tornato a LaGuardia anche se avrebbe potuto? Qui entra in gioco, appunto, il fattore umano…
In poco più di 90 minuti, Eastwood firma il suo film più secco e conciso, addirittura il più ‘chiaro’ nelle intenzioni. Forse questa mancanza di sfumature non lo eleva a livelli di Million Dollar Baby o Mystic River. Ma resta una solida lezione di cinema, ferma e sicura: e tutte le scene che descrivono l’incidente da diversi punti di vista valgono da sole il prezzo del biglietto.
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”7″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
Sully (USA 2016, drammatico 96′) di Clint Eastwood; con Tom Hanks, Aaron Eckhart, Anna Gunn, Laura Linney, Autumn Reeser. Al cinema dal 1 dicembre 2016.