Doctor Strange: recensione in anteprima
Cumberbatch e Derrickson ci consegnano uno dei personaggi Marvel più carismatici tra quelli approdati sul grande schermo. Doctor Strange è peraltro il miglior capitolo introduttivo sfornato fino ad ora
Stephen Strange (Benedict Cumberbatch) è un neurochirurgo tra i migliori in circolazione. Geniale, sregolato, vive la sua professione come la vivono le rockstar, non a caso è anche un’enciclopedia vivente quanto a dischi musicali. Finché la sua Lamborghini blu notte non fa un bel capitombolo lungo un dirupo, da cui il dottore ne esce con le mani frantumate. Inutile rivolgersi alla medicina, per cui il caso di Strange è praticamente irrisolvibile: dovrà dire addio alla sua professione, la qual cosa per lui equivale a morire. Un tizio però, a sua volta dato per spacciato dalla medicina, consiglia a Strange di fare una capatina in quel di Kathmandu, lì dove verrà a conoscenza di arti più raffinate e precluse ai più. Arti che fanno capo alla magia.
Con Doctor Strange la Marvel inaugura un nuovo periodo, quasi che questo ennesimo tassello portasse una nuova primavera. La novità è implicita nel personaggio, dichiarata a mezzo voce da uno dei maestri, che spiega senza mezzi termini come stanno le cose: laddove gli Avengers difendono la Terra dalle minacce fisiche, gli adepti dell’Antico (Tilda Swinton) lo preservano da quelle mistiche. Tre santuari sparsi per il mondo, New York, Londra e Hong Kong, che fungono da scudo alle incursioni di Dormammu, divinità malvagia che colleziona pianeti nell’universo. Kaecilius (Mads Mikkelsen), ex-allievo dell’Antico, vuole consegnare il suo di pianeta a questa sorta di signore del male, e per farlo deve mettere fuori gioco i tre santuari.Lo sfondo orientaleggiante dell’opera non confonda, perché Doctor Strange è uno dei capitoli più equilibrati dell’intero universo Marvel lato cinema. L’opposizione tra metafisica e scienza, di primo acchito centrale, è argomento che viene aggirato entro poche sequenze, portando il film su una tipologia di fantasy del tutto inedita. Il contesto dà infatti adito ad una forma di spettacolarizzazione che finora non avevamo ancora visto, per certi versi à la Inception, senza però rinunciare a certe peculiarità che lo calano in toto nella dimensione alla quale appartiene questa tessera del sempre più complesso mosaico Marvel. L’espediente visivo è fascinoso, comprensibile, d’effetto, tanto che una volta tanto si può addirittura arrivare a dichiarare che il 3D può fare la differenza (in positivo).
Ma perché così tanto clamore? Spiego subito. C’è una magia che permette di isolare un perimetro rispetto al mondo fisico che ci circonda: qui le regole “ordinarie” vengono stravolte ed entro i limiti di tale perimetro superfici e spazio vengono possono essere trasformati in veri e propri congegni geometrici di morte. Questo è fin dove si può arrivare con la scrittura in termini descrittivi; non a caso il film si apre proprio su questa magia, visivamente centrale per tutto il film e che dà adito ad una scena madre che addirittura supera lo scontro finale per bellezza e suggestività. Certo, a conti fatti il vero fulcro sta nella manipolazione del tempo, ma una mela che marcisce e torna matura, per quanto notevole, in tal senso non può né vuole essere ammaliante uguale. Diverso il discorso sul(lo) (spazio-)tempo, su cui, come per altri elementi, non si specula oltremodo, evocandolo quanto basta per consentire a noi di ragionarci sopra, magari a posteriori.
Ad ogni modo, le virtù di questo capitolo introduttivo del personaggio di Strange stanno a priori, nella scelta del cast per esempio. Cumberbatch è pressoché impeccabile, arrogante il giusto, brillante e unico nella misura in cui lo è il suo Sherlock. Capace di adattarsi anche ai toni comici di cui questo film è in parte intriso – si vedano le prime scene col mantello levitante, roba tratta di peso dagli albori del cinema. Altra prova, questa, dell’equilibrio raggiunto in ambito Marvel, laddove in altre occasioni è capitato che si pendesse troppo o troppo poco verso un senso a scapito di un altro. Qui l’impronta da commedia è misurata, così come lo sono tutte le altre, senza eccessi di sorta; ed è un risultato difficile da raggiungere, il quale, una volta conseguito, porta opere di questo genere su un altro livello, quello che maggiormente appartiene loro.
Doctor Strange costituisce perciò un banco di prova non da poco, che c’informa anzitutto sul fatto che no, i supereroi al cinema sono lungi dall’essere morti, e che sì, i film a tema rappresentano qualcosa di più di un semplice genere. Si tratta oramai di una macrocategoria al cui interno ci può praticamente stare di tutto, dalla commedia all’action, passando per il thriller, la spy-story, il dramma. Che si tratti del Batman di Nolan o delle oramai numerose incursioni di Marvel, l’inizio del ventunesimo secolo resterà segnato dalla comparsa di questo filone, concepibile solo nell’ambito di un’industria come quella hollywoodiana; il che fa specie se si pensa a quante volte negli ultimi quindici anni Hollywood è stata data per morta e sepolta.
Doctor Strange contempla quel fascino immaginifico che solo l’industria dorata riesce a generare, raggiungendo quasi a tutti, in maniera trasversale. Anziché la via della specialità, il film di Derickson reitera il concetto del vasto pubblico, che non sempre deve far rima con mediocrità, come ad alcuni piace così tanto credere. Il superpotere di Stephen non sta infatti nella sua magia bensì nella sua ambizione, la sua arroganza, la sua paura matta di fallire; il suo stare dalla parte dei “buoni” è frutto di un ragionamento logico più che un moto dell’anima, al quale perviene a seguito dell’ennesima sfida con sé stesso che abbraccia con la medesima spavalderia di sempre.
E come sovente accade con i migliori supereroi, i suoi dubbi, i suoi fantasmi, hanno da essere i nostri. Capire quale sia il nostro posto in questa minuscola fetta di universo, mettere in discussione le certezze acquisite non per il semplice gusto di farlo o perché qualcuno ci dice che è bene così, bensì perché gli eventi ci costringono a farlo. Toccare certi tasti mediante l’attualizzazione e relativa trasposizione di un personaggio dei fumetti non proprio recente è opera che merita di per sé un plauso. Riuscire a non annoiare, senza però ubriacarci di immagini al viagra, è processo complementare al quale vanno riconosciuti meriti analoghi. Senza contare che ad oggi il solo personaggio Marvel in grado di tener testa al dottore, quanto a carisma, è Tony Stark.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7.5″ layout=”left”]
Doctor Strange (USA, 2016) di Scott Derrickson. Con Benedict Cumberbatch, Chiwetel Ejiofor, Mads Mikkelsen, Rachel McAdams, Tilda Swinton, Michael Stuhlbarg, Scott Adkins, Amy Landecker, Tony Paul West e Pezhmaan Alicia. Nelle nostre sale da mercoledì 26 ottobre.