Cannes 2017: Les Fantômes d’Ismaël – recensione del film di Arnaud Desplechin
Festival di Cannes 2017: Arnaud Depleschin apre questa edizione con un’opera decisamente personale, ma alla quale riesce a conferire spessore malgrado rifugga una struttura narrativa convenzionale
«Il presente è merda». Ismael (Mathieu Amalric) risponde così a chi gli dice che bisogna viverci, nel presente. Tuttavia per Arnaud Desplechin il presente non è che uno dei piani temporali possibili, se non altro perché da solo fatica a reggere. In Les Fantômes d’Ismaël il regista francese reitera questo mescolamento, sconfinando addirittura in una dimensione ulteriore, quella a cavallo tra presunta realtà e presunta fantasia. La storia di questo suo ultimo lavoro è così, sfuggente, per certi versi giocosa; e se non lo è la vicenda in sé, di certo lo è l’approccio di Desplechin, che non perde occasione per smorzare i toni attingendo alla commedia quando serve.
Ma al solito il regista di My Golden Days, film precedente la cui esclusione dal Concorso a Cannes suscitò non poche polemiche, lavora molto bene sui dialoghi, riuscendo quasi sorprendentemente a non perderci, malgrado quanto detto sopra. Les Fantômes d’Ismaël comincia infatti con una serie di personaggi politici e diplomatici in generale che tessono le lodi di un certo Ivan Dedalus (Louis Garrel). E tutti a domandarsi chi sia davvero Ivan, una dei migliori diplomatici francesi di sempre, capacissimo a dileguarsi senza lasciare traccia; è uno dei fantasmi di Ismael, sebbene ci si giochi fino alla fine con questo personaggio, che è anche il protagonista del film che per l’appunto Ismael sta girando. Quest’ultimo fa il regista ed ha perso la moglie Carlotta (Marion Cotillard) da vent’anni, sebbene non abbia mai saputo che fine abbia fatto davvero. Nel bel mezzo delle riprese del film con Ivan come protagonista, inspiegabilmente, Carlotta ricompare; a parte il comprensibile shock, il vero problema è che Ismael ora sta con Sylvia (Charlotte Gainsbourg), la quale non può che accogliere questa improvvisa apparizione come una minaccia.
Si tenderà a tacciare Desplechin di troppa autoindulgenza, sebbene il confine tra tale definizione e quella di un film invece profondamente personale non è sempre così netto. Ed effettivamente il film parte decisamente meglio di come finisce, conducendoci nei meandri di quelli che sono evidentemente suoi ricordi o quantomeno sue sensazioni: rispetto all’elaborazione del lutto, che in fondo potrebbe non doversi intendere in maniera letterale bensì come perdita di una persona cara, scomparsa dalla nostra vita ma non perché deceduta, si punta ad un discorso dalle implicazioni più ampie. Ed allora s’ha da fare i conti non tanto con chi è venuto meno ma con sé stessi, con la propria capacità di passare alla fase successiva, «reinventarsi per l’ennesima volta» dice letteralmente Ismael, e via discorrendo.
Argomenti su cui ci si è attardati in più occasioni e con approcci differenti. Eppure quello di Desplechin è, oseremmo dire, quasi non comune, a tratti divertente, scritto con acume e libertà, ma soprattutto intriso di un’idea di cinema molto chiara, fatta di scene talvolta brevissime, con dialoghi spezzati, stacchi surreali. Tutto ciò, va detto, contempla in sé il rovescio della medaglia, ossia una certa fumosità quanto ad alcune sottotrame, su tutte quella di Ivan, di cui alla fine quasi non c’interessa granché, tanto è stato trascurato da un certo punto in avanti. Eppure anche questo accantonamento ci dice qualcosa, ossia che è inutile intavolare alcuna finzione, a dire di Desplechin, se ci si blocca sul fronte che più conta, quello della quotidianità, dalla quale guardacaso Ismael attinge, un po’ come se girasse il suo 8½ (sì, ancora).
Un percorso che al nostro serve forse per sublimare certi accadimenti, certe svolte di cui però non veniamo messi al corrente. Per dirne una, Ivan è anche il nome del fratello di Ismael, che non si vede mai: e se il nostro lo avesse immaginato proprio nei panni del protagonista del suo film, dunque fosse proprio lui? Nulla viene mai chiarito, o quasi; il fatto che Sylvia per Ismael sia un punto di riferimento, beh, su questo c’è poco da avere dubbi. D’altra parte una delle conclusioni che si potrebbe trarre a fronte di questo indisciplinato racconto è che a forza di rincorrere i propri fantasmi, tali perché per lo più immaginati, si rischia di perdere irrimediabilmente colui o colei che solo/a può salvarti ad un certo punto della tua esistenza. Molto romantico, cosa che di fatto Les Fantômes d’Ismaël è, che è tutta un’altra cosa rispetto all’essere sentimentale. Purché si tenda ad essere comprensivi con l’innegabile tendenza, da parte di Despleschin, a rifuggire non una ma più chiuse, preferendo piuttosto metterci davanti questo personaggio, Ismael, in balia di eventi, persone e situazioni e del suo goffo tentativo di trovare pace ricostruendo quanto gli va accadendo.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
Les Fantômes d’Ismaël (Francia, 2017) di Arnaud Desplechin. Con Marion Cotillard, Charlotte Gainsbourg, Louis Garrel, Mathieu Amalric, Alba Rohrwacher, Samir Guesmi, Hippolyte Girardot e Laszló Szábó.