The Startup – Accendi il tuo futuro: recensione in anteprima
Siamo tutti figli dell’algoritmo, verrebbe da dire. Anche se grazie al cielo The Startup non s’intitola così, nondimeno il discorso è da quelle parti lì, lanciando il sasso su meritocrazia e dintorni salvo poi tirare indietro la mano
Arriva a Milano con maglione e giubbotto, lui romano, sebbene si sia ancora all’inizio dell’anno accademico; di lì a poco Matteo Achilli dismette i vestiti da migrante al Nord per indossare quelli, più leggeri e più comodi, del giovane rampante, milanese acquisito. The Startup è la storia di un giovane liceale prossimo alla Maturità, nonché discreto nuotatore; Matteo per l’appunto. Quando scopre che non gareggerà ai campionati italiani di nuoto perché scavalcato dal figlio di colui che sponsorizza la squadra, il ragazzo scopre improvvisamente come va il mondo: di lì a poco, finiti gli esami allo Scientifico, apprende pure che il padre ha perso il lavoro. Unito al fatto che la famiglia di Matteo vive in una zona periferica di Roma, questo basta per sentirsi un outcast («in centro ci vanno solo quelli belli»).
Con The Startup – Accendi il tuo futuro, D’Alatri gira un film vecchio, e non averlo compreso in tempo – o peggio, averne consapevolezza ma aver proceduto ugualmente – è forse la prima delle scelte che mostrano il fianco a critiche fondate. Tratto da una storia vera, quella di Egomnia, un sito che funge da classifica in vista di assunzioni presso aziende le più svariate, ponendosi perciò quale mediatore tra chi cerca lavoro e chi lavoratori. Alla base il nebbioso concetto di meritocrazia, tanto evocato negli ultimi dieci/vent’anni, tra idealismo e frustrazione; un progetto che nasce per forza di cose come startup, esplosa subito salvo poi rischiare di fallire per inesperienza e dunque cattiva gestione. Se oggi se ne trae un film, tuttavia, è anche perché alla fine Egomnia, dicono, ce l’ha fatta, con sede finanche a New York e sito in otto lingue.Può essere però questo il motivo per cui The Startup arriva fuori tempo massimo? Non direi. I limiti del discorso approntato nel film stanno nel “come” più che nel “cosa”, manifestando un ritardo che non di rado nell’ambito delle nostre produzioni è dettato da ritrosia nell’accostarsi ad un determinato fenomeno: qui c’è tutto un argomentare sull’ambizione e ciò che davvero conta nella vita, su quale insomma sia il segreto per il vero successo, quello duraturo, di cui la vita e le sorti di Egomnia diventano un po’ metafora. I limiti della cosiddetta meritocrazia per nulla sviscerati, giusto evocati, ma come farebbe ciascuno di noi trovandosi a discutere del più e del meno: cose del tipo che vanno avanti i più furbi, che in Italia conta solo chi conosci, che non si muove foglia che la Politica non voglia e via discorrendo.
Pochino per un film che dipinge una parabola da cui invece potremmo e dovremmo trarre non dico una lezione ma quantomeno qualche coordinata per leggere meglio il contesto all’interno del quale ci troviamo, che si sia interessati al mondo delle startup o meno. In fondo anche di questo si discute, ossia del processo che porta all’ideazione e successiva creazione di queste realtà eteree che, quando vanno, generano tanti di quei soldi che non ci si crede: Matteo ha quest’idea e ne viene totalmente assorbito, a tal punto che la sua ragazza, Emma, gli rinfaccia più e più volte di pensare solo a sé stesso. E si resta un po’ interdetti, visto che in realtà Matteo sembra davvero un bravo ragazzo, che dopo qualche pugno ben assestato cerca solo di costruirsi un futuro. No, siccome preferisce chiudersi insieme ad un ingegnere dentro a un buco per lavorare sul sito di Egomnia, ecco allora che diventa il più stronzo ed egoista del mondo.
Eppure la fidanzatina avrebbe dovuto capire l’antifona quando il giovane le comunicò il nome del progetto: ego (io) omnia (tutti), ossia il singolo che si relaziona col mondo. Non un “noi”… ma forse a diciott’anni non si è in ogni caso ancora abbastanza elastici per cogliere certe sfumature. Meno comprensibile è che gli autori del film non riescano a tratteggiare questa parabola di egocentrismo tutto giovanile senza fare a meno di attingere a frasi ad effetto del tipo «i siti sono come le donne: conta la prima impressione», che forse è davvero qualcosa che un ragazzo direbbe ma tant’è, oppure ricostruendo un contesto senza mezze misure, in cui le valutazioni su ciascuna fattispecie sono lì, alla portata di tutti, suggerite con un’insistenza che tronca sul nascere qualsivoglia tentativo di ragionare su ciò a cui stiamo assistendo.
Non è poco ma non è nemmeno solo questo. L’uso eccessivamente disinvolto dei brani musicali, troppi e soverchianti, c’informano circa come una colonna sonora non vada applicata ad un film, qualsiasi film; lo sponsor gratuito alla Bocconi, rigurgito di un conservatorismo nient’affatto sano, che culmina col poco sopportabile discorsetto del professore il quale ricorda a Matteo che se la rinomata Università è oggi una delle più accreditate al mondo, se ha superato il Fascismo, gli anni della Contestazione etc… ok, roba da Open Day insomma. E dire che alla fine del film ci viene chiarito che Matteo non si è ancora laureato. Come si vede, il film di Fincher non c’entra alcunché. Magari si optasse per certe emulazioni anziché rivolgersi a certi argomenti stantii al fine di sondare una contemporaneità che sì ci appartiene ma che continua inesorabilmente a sfuggirci; con la scusa della seppur valida universalità alla base di certe situazioni, che è appunto una scusa per non applicarne i principi con più considerazione.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]
The Startup – Accendi il tuo futuro (Italia, 2017) di Alessandro D’Alatri. Con Andrea Arcangeli, Paola Calliari, Matilde Gioli, Luca Di Giovanni, Matteo Leoni, Matteo Vignati, Guglielmo Poggi, Lidia Vitale, Thomas Peyretti, Federigo Ceci, Loris Loddi e Massimiliano Gallo. Nelle nostre sale da giovedì 6 aprile 2017.