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Sleuth – Gli insospettabili: recensione in anteprima

Sleuth – Gli insospettabili (Sleuth, Gran Bretagna / USA, 2007) di Kenneth Branagh; con Michael Caine, Jude Law.Nel 1972 Joseph L. Mankiewicz chiudeva la sua carriera registica con un singolare giallo da camera, in cui metteva a confronto due generazioni di attori, e di conseguenza due diverse capacità di approccio alla recitazione: da una parte

7 Novembre 2007 01:34

Sleuth – Gli insospettabili (Sleuth, Gran Bretagna / USA, 2007) di Kenneth Branagh; con Michael Caine, Jude Law.

Nel 1972 Joseph L. Mankiewicz chiudeva la sua carriera registica con un singolare giallo da camera, in cui metteva a confronto due generazioni di attori, e di conseguenza due diverse capacità di approccio alla recitazione: da una parte avevamo Laurence Olivier e dall’altra Michael Caine, in un incontro/scontro che teneva incollati allo schermo per quasi due ore e mezza. Nel 2007, Kenneth Branagh decide assieme a Jude Law di riportare sullo schermo Gli insospettabili.

Scelta del regista: chi meglio di Branagh, il “regista del Bardo”, per portare al cinema una storia dall’impianto fortemente teatrale? Scelta del secondo attore: perché non richiamare Michael Caine, però questa volta nel ruolo che fu di Olivier nell’originale? Così, Jude Law si trova, dopo Alfie, a dover “risfidare” Caine, in un ruolo che in gioventù gli era appartenuto.
A Venezia avremmo scommesso su di lui per quanto riguarda l’Osella alla migliore sceneggiatura. Non ha vinto Harold Pinter, ma Paul Laverty: siamo felici ugualmente. C’è da dire che Pinter sfiora, per quanto riguarda i dialoghi, la perfezione: tra frecciatine a noi italiani (che non amiamo la cultura: tutto il Lido, con grosse risate e fortissimi applausi, approva), frasi ammiccanti e battute incalzanti, c’è da stare più che felici.

Tra l’altro, questa nuova versione di Sleuth dura quasi la metà dell’originale: sembrerà una scelta azzardata, e invece è questo che rende il film di Branagh un film godibilissimo e probabilmente uno dei suoi film migliori. I tempi si fanno più brevi, il che non significa che c’è meno cura per i personaggi e meno cura per le situazioni, tutt’altro: Sleuth parte da Gli insospettabili, di cui rispetta i primi due terzi, per andare altrove, per osare e per differenziarsi.

Cos’è quindi Sleuth? E’ un remake, una rivisitazione, è teatro al cinema? Forse sì, forse no, forse un po’ tutte le risposte. E’ soprattutto un raffinatissimo gioco, che come tutti i giochi al cinema può risultare pericolosissimo. E invece la pellicola vince alla grande la sua sfida e risulta trascinante sotto ogni punto di vista. Vince l’ambientazione, con una casa iper-tecnologica che fa sia da sfondo allo sviluppo della trama (di cui, per non rovinare la sorpresa di chi non ha visto neanche l’originale, non vi racconteremo) che da vero e proprio terzo protagonista. Vince la fotografia, che qualcuno definirà troppo laccata e chic, e che invece è ricercatissima, dominata da rosa, blu e verdi accesissimi. E vince soprattutto l’atmosfera del film, che si allontana dalle inquietudini hitchcockiane e vagamente macabre dell’originale (spariscono giustamente tutti i riferimenti a Poe) per approdare ad un lavoro che sappia ben saltare dal registro brillante a quello thriller, viaggiando anche per vie sensuali e psicologiche.

E chi vince la sfida tra Caine e Law? Una scelta sarebbe ingiusta, forse ovvia. Basta sapere che il primo è il primo, e che il secondo probabilmente regala la sua miglior prova ed è sexy da morire. In questo, soprattutto, Sleuth si dimostra rispettoso verso il suo capostipite: sotto il raffinatissimo occhio di Branagh, che regala una piccola e deliziosa lezione di perfezione registica, due attori di diverse generazioni si sfidano. E lo spettatore non può che godere dell’immensa bravura di entrambi. Peccato che il doppiaggio annullerà tutto.

Voto Gabriele: 8

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