The Florida Project: recensione in anteprima del film di Sean Baker
Imprevedibile Sean Baker: questo ‘Piccola Peste’ è il suo film con budget più alto, ma segna anche il suo ritorno alla pellicola a due anni di distanza dal primato di Tangerine, girato interamente con l’iPhone. The Florida Project ribadisce lo sguardo del regista americano più orgogliosamente indie in circolazione, capace di fare film non disperati sull’America più disperata. Film di chiusura del 35. Torino Film Festival.
La cosa più prevedibile del cinema di Sean Baker è che sai già che non puoi ben sapere cosa aspettarti dal suo film successivo. L’inizio della sua carriera è costellata da piccoli indie sempre più ‘grandi’ – si fa per dire -. Poi il regista decide di raccontare la vita di una giovane pornoattrice a Los Angeles: con un film da più di 200mila dollari (ancora poco o niente, ma più dei budget do it yourself dei precedenti), con un’attrice pronta a salire alla ribalta (Dree Hemingway, ‘pronipote di’), ecc.
Poi arriva Tangerine, finanziato con manco la metà del budget di Starlet. Un film su un paio di amiche prostitute transgender e la loro vigilia di Natale, girato con l’iPhone. Il tutto in una Los Angeles torrida, lontana da Hollywood, in tutti i sensi. La differenza di budget tra Starlet e Tangerine conta fino a un certo punto, anche perché i due progetti sono di base molto differenti l’uno dall’altro. Però dopo Tangerine, appunto, ci si aspettava un’ennesima virata sorprendente da parte di uno dei registi americani più fieramente indie.
La risposta è il film più costoso della sua carriera, con budget da 2 milioni: un record qualche anno fa impensabile per un regista perfettamente a suo agio con progetti di altra portata. Sono soldi che il regista si merita a prescindere. E infatti la cosa più curiosa del progetto non sta nella sua ‘portata’, bensì nel suo ritorno alla pellicola. The Florida Project è infatti il secondo film della carriera di Baker ad essere girato in 35mm, e non il primo come molti riportano: anche il purtroppo dimenticato esordio, Four Letter Words, era girato in pellicola. E curiosamente con un budget assai più sostanziale dei successivi Take Out e Prince of Broadway.
Così, dopo aver esplorato i lati oscuri di NYC e LA, quelli meno rappresentati al cinema, Baker se ne va in Florida, un po’ fuori Orlando. Nella periferia vicino a Disney World c’è ovviamente una schiera di motel dai nomi strampalati e finto-ludici acchiappa-clienti. In quei motel ci vivono soprattutto famiglie. Moonee e Scooty vivono con le rispettive madri nel The Magic Kingdom. Quando le rispettive madri hanno uno screzio e non si parlano più, Moonee è costretta a trovarsi un altro ‘complice’ per le sue marachelle di giornata.
Così la bambina si avvicina sempre più a Jancey, che vive con la madre e la sorellina a Futureworld, altro conglomerato di motel vicino a quello di Moonee e della madre Halley. E proprio mentre la madre, stoner e tatuatissima, sbarca il lunario e si inventa modi per portare a casa i soldi per l’affitto, Moonee vive alla giornata prima assieme a Scooty e poi a Jancey, rischiando però di essere una cattiva influenza su entrambi…
In un anno pieno di film ‘coloratissimi’ (da Blade Runner 2049 fino all’ultimo discutibile Woody Allen), Baker punta molto sui colori di The Florida Project, sin dal viola del Magic Kingdom. C’è persino un arcobaleno, per dire. Baker colora un mondo ad altezza bambini: ma si tratta di bambini che ne combinano di tutti i colori, manco il film fosse la sua versione di Piccola Peste. Si seguono le loro avventure e disavventure con sorriso, complice la solita energia che Baker sa creare con le sue storie.
In mezzo a tutto il trambusto, c’è un Willem Defoe che regala una delle sue interpretazioni più belle e limpide della sua carriera. Guardiano del Magic Kingdom, il suo Bobby è il paziente ma severo protettore di un mondo che senza controllo rischierebbe di crollare. Il film lo dice in modo molto sottile, ma senza i Bobby di turno quei castelli crollerebbero in pochi minuti. Baker non forza mai la mano sul contesto sociale ed economico, anche perché è presente da sé e tanto basta.
All’ultimo Festival di Cannes, la A24 ha fiutato l’affare immediatamente e non si è lasciata scappare l’occasione di aggiungere il talento di Baker all’ormai grande famiglia che ha creato. E non solo perché alla A24 sanno che Baker è tra i registi del momento. Visto il catalogo che la compagnia ha anche quest’anno (da A Ghost Story fino a Lean on Pete), alla A24 hanno capito la qualità del cinema di Sean Baker: che fa film non disperati sull’America più disperata. Ci vuole un regista come lui a trasformare un film con due prostitute in un perfetto film di Natale, e a farci vedere Disneyland con occhi diversi a quelli con cui siamo abituati.
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”8″ layout=”left”]
The Florida Project (USA 115′, commedia / drammatico 2017) di Sean Baker; con Willem Dafoe, Brooklynn Prince, Valeria Cotto, Bria Vinaite, Christopher Rivera. Sconosciuta la data d’uscita italiana.