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Torino 2017, L’ora più buia: recensione in anteprima

Partendo idealmente da dove finisce Dunkirk, Wright fa leva sul potere della parola così come Nola su quello delle immagini, con un Gary Oldman sopra le righe

pubblicato 1 Dicembre 2017 aggiornato 27 Agosto 2020 23:12

L’ora più buia è un film che pare venuto da un altro tempo, rivolto ad ogni tempo fuorché al nostro. I personaggi che si muovono al proprio interno, a partire dal mordace Winston Churchill (più che degnamente interpretato da Gary Oldman), giù giù fino all’ultima delle comparse. Lo è più quanto al contenuto che alla forma, perché ciò a cui allude sembra esserci lontano anni luce, i sentimenti che evoca, gli ideali che richiama. Guardiamo a quelle persone con cui il primo ministro britannico condivide il suo primo giro in metropolitana, e non ci pare quasi vero che possa trattarsi di circa settant’anni fa: sembrano trascorsi secoli.

Ora, come diceva il compianto Roger Ebert, la Storia s’impara sui libri, non attraverso i film. Corretto. Questo però non significa che il Cinema non possa accostarsi ad una disciplina così essenziale eppure così bistrattata, negletta in quest’epoca che, come ogni altra ma un po’ di più, ne ha un disperato bisogno. Ed allora ben venga un Joe Wright che ricostruisce il tutto sommato ristretto arco di tempo intercorso tra la nomina a primo ministro di Churchill e la decisione di entrare in guerra contro Hitler.

In più di un’occasione l’inquadratura a volo d’uccello, dapprima posta immediatamente sopra le teste di certi personaggi, s’allarga sempre più, allontanandosi, finché non vediamo un’intera area, quasi come se la stessimo osservando da un satellite, come se fosse una cartina. Il punto è che in quel momento il territorio è una scacchiera e le persone, di qualunque ceto e appartenenza, mere pedine; c’è quella che conta di più e quella che conta meno, ma tutti sono nelle mani di un giocatore invisibile che pare decidere quali mosse fare a prescindere dalla loro volontà. È il massimo che Wright si concede nell’ambito di una regia e una scrittura alquanto convenzionali, il che non fa necessariamente rima con piatte una volta tanto.

Ci sono forzature, è vero, come l’interminabile, a tratti stucchevole viaggio in carrozza sotto le strade di Londra, che dura troppo per averci messo una sola fermata; oppure come il rimarcato passaggio della scatola di fiammiferi, metafora di un uomo che ritrova sé stesso dopo un momento di smarrimento. Ma sono peccatucci veniali, per certi versi accettabili rispetto a un’operazione “da cassetta”, come si diceva una volta; è come se L’ora più buia ripartisse là da dove Dunkirk qualche mese fa aveva concluso, su quel discorso che galvanizzò una nazione, «mobilitando la lingua inglese per mandarla in guerra», secondo la non testuale citazione di Halifax.

Dato il personaggio, non era assurdo immaginare una sua parodia, per quanto involontaria, mentre il Churchill di Oldman (mai nome di un attore fu più azzeccato) fa sorridere quando intende farlo, non suo malgrado. Non si tratterà di una copia senza difetti, nondimeno il modo in cui il poliedrico attore inglese ne riproduce pose e movenze prima ancora che accenti e inflessioni è rispettoso e al tempo stesso credibile. Era chiaro che tutto o quasi stesse o cadesse sul protagonista di questa storia, ed infatti Wright se la gioca bene, tratteggiando certe note peculiarità di Churchill, senza eccedere o approntare agiografie.

Eppure era inevitabile che nel mondo anglofono affiorassero certe critiche, anche laddove il responso si è rivelato positivo, come Peter Debruge, che non del tutto a torto dà a L’ora più buia del «intrattenimento populista», mentre in altri casi c’è chi proprio non ha gradito il sottotesto velatamente celebrativo di un momento storico in cui l’Inghilterra scelse di stare dalla «parte giusta della Storia», come A. O. Scott. Tutte cose vere, che peraltro non è fuori luogo pensare che cadano a fagiolo, il cui tempismo insomma sia tutto fuorché fortuito. Aleggia la sensazione che rimanda ad un altro bivio, un altro momento decisivo, che improvvisamente potrebbe costringere chi è al comando oggi a prendere delle decisioni non semplici nel più breve tempo possibile. Senza scomodare alcun vento di guerra, basti pensare alla Brexit e tutto ciò che ha già comportato, restituendo alla Gran Bretagna la propria dimensione di isola come mai accaduto dopo quello storico «We shall fight on the beaches».

Ed è oltremodo apprezzabile come Wright non indori la pillola, affatto, anche a costo di prestare il fianco a considerazioni non per forza lusinghiere come quelle sopra ed altre ancora che se ne potrebbero fare. La sua versione di quei giorni in alcuni frangenti si rivela addirittura esaltante, tra toni accessi, urla, macchinazioni e botta e risposta sagaci mentre in ballo c’era il futuro di quello che fino alla sera prima si percepiva come un Impero incontrastato. Merito di tutti, certo, non solo di Oldman ma anche degli altri componenti del cast, dalla sempre elegante Kristin Scott Thomas a Ben Mendelsohn, passando per Stephen Dillane. Ma il valore aggiunto de L’ora più buia sta anche nell’aver saputo convogliare le maestranze, tutte, indistintamente, sebbene, nota forse campanilistica ma non per questo meno veritiera, il contributo della colonna sonora di Dario Marianelli si riveli più di una volta decisivo.

Abbiamo menzionato il Dunkirk di Nolan qualche capoverso sopra, e non per niente. I sentimenti su cui fanno leva i due film, le tematiche che quasi resuscitano da una morte che anziché apparente sembrava assolutamente definitiva, sono gli stessi: la Patria quale destino comune, con responsabilità condivise, quella molla nel darsi a gesta grandiose insieme, dal più piccolo al più grande, tutte cose che con lo sbiadirsi delle foto di quell’infausta pagina sembravano oramai superflue, per alcuni addirittura deleterie; ebbene, due cineasti contemporanei, entrambi inglesi, le rispolverano per costruirci sopra due storie diverse ma neanche tanto. Solo che ciò che Nolan fa a partire dal potere delle immagini, Wright lo consegue, quantunque con intensità minore, attraverso la forza della parola, non per niente affidandosi ad uno dei migliori oratori della propria generazione.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]

L’ora più buia (Darkest Hour, Regno Unito, 2017) di Joe Wright. Con Gary Oldman, Lily James, Ben Mendelsohn, Kristin Scott Thomas, Richard Lumsden, Philip Martin Brown, Brian Pettifer, Jordan Waller, Stephen Dillane, Charley Palmer Rothwell, Ronald Pickup, Nicholas Jones, Hannah Steele e Jeremy Child. Nelle nostre sale da giovedì 18 gennaio 2018.

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