Hereditary – L’eredità del male: Recensione in Anteprima
Esordio folgorante per Ari Aster, sceneggiatore e regista di un horror che non potrà mai lasciare indifferenti.
Due anni dopo, l’esordiente Ari Aster si è ritrovato tra le mani 10 milioni di dollari, due divi di prim’ordine e una totale libertà creativa nella realizzazione di un horror spiritico dai contorni più che classici ma che nulla ha di convenzionale, maledettamente straniante e provocatorio. Hereditary – L’eredità del male, osannato dalla critica statunitense e a detta di molti ‘caso’ di genere di stagione come fu Get Out lo scorso anno, tanto da poter persino puntare all’Academy del 2019 grazie soprattutto ad una mastodontica Toni Collette.
Apparentemente semplice il soggetto: un’anziana signora muore, con la figlia e i nipoti che piangono la sua dipartita. Con il passare dei giorni, però, una serie di oscuri segreti legati alla defunta Ellen si fanno strada all’interno della famiglia, e della loro sinistra casa, obbligandoli ad affrontare il tragico destino che sembrerebbero aver ereditato.
Pronti, via e con una lenta carrellata, cifra stilistica dell’intero film, Aster ci porta all’interno di un mondo in miniatura, in cui tutti i protagonisti non sono altro che statuette incapaci di reagire, pupazzetti manovrati da forze maligne a noi (e soprattutto a loro) oscure. Un dramma famigliare, quello scritto dal regista, che si fa profondamente inquietante con il passare dei minuti, scivolando lentamente nell’horror soprannaturale. Genere abusato negli ultimi 15 anni, eppure mai trattato in modo tanto inusuale, spaventosamente realistico, lontano dai soliti ‘trucchi’ utilizzati per spaventare lo spettatore. Il regista si prende tutto il suo tempo (quasi 130 minuti) per far precipitare i suoi protagonisti in un incubo ad occhi aperti, vissuto all’interno di un set ricostruito seguendo contorni e proporzioni di una casa delle bambole. Impossibile non pensare a pietre miliari come L’Esorcista e Rosemary’s Baby, nell’ammirare Hereditary, titolo che ha il coraggio di ribaltare i soliti canoni di genere, sfidando la pazienza dello spettatore nello scioglimento di una trama che pacatamente prende forma, tra sensi di colpa, illusioni e colpi di scena. Uno di questi, completamente inatteso, stravolge la narrazione dopo un’ora di film, come avvenne ai tempi di Psycho con la morte di Janet Leigh.
Accompagnato dalla minacciosa colonna sonora del sassofonista Colin Stetson, Hereditary porta in scena la genesi del terrore, raccontata dal suo regista attraverso lenti, eleganti e lunghi dolly, impauriti sguardi, un placido montaggio e un’attenzione straordinaria, per non dire maniacale, al sound e alle scenografie. La paura costruita da Aster non è mai improvvisa, ma controllata, alimentata sottilmente, in modo quasi viscerale. Ad incarnarla in modo spaventoso è la miglior Toni Collette di sempre. Attrice grandiosa, e a lungo purtroppo sottovalutata, 20 anni fa candidata agli Oscar grazie ad un altro horror dai toni spiritici: Il Sesto Senso. Maturata, vinti un Golden Globe e un Emmy, interpreta in questo caso un’artista, una figlia rancorosa, una moglie amorevole, una mamma schiacciata dal risentimento la cui esistenza scivola lentamente verso la (apparente) follia. L’attrice australiana è monumentale, nel trasformarsi scena dopo scena in una marionetta demoniaca, incapace di reagire perchè perfettamente pilotata da forze esterne. Seguendo quanto già fatto da film come “Babadook”, “It Follows”, “A Quiet Place” e “It Comes at Night”, “Hereditary” non ostenta il proprio orrore, le proprie paure, inquietando lo spettatore attraverso quanto fatto percepire, immaginare, solo prevedere.
Al fianco della Collette un ritrovato Gabriel Byrne, nei panni di uno psicologo apparentemente glaciale nonché padre e marito premuroso, la 62enne Ann Dowd, da due anni eccezionale Zia Lydia nella serie Hulu The Handmaid’s Tale, il 20enne Alex Wolff e l’inquietante Milly Shapiro, a 10 anni appena vincitrice di un Tony grazie al musical Matilda. La sua Charlie Graham, con quegli occhioni azzurri e la fronte importante, è già icona della new generation horror americana di questi ultimi anni.
Aster, che guarda con maestria al genere degli anni ’60 e ’70, vola altissimo attraverso una regia a tratti visionaria, studiata e costruita inquadratura dopo inquadratura, pregna di simbolismi e talmente ambiziosa da risultare chiaramente imperfetta, perché frenata da passaggi inaspettatamente più leggeri che rischiano di interrompere quel flusso costante di angoscia che nei minuti finali si fa terremoto emotivo. Un tour de force visivo, uditivo e narrativo mai ammiccante o provocatorio, nei confronti di un pubblico horror da decenni cresciuto a pane e ‘jump scare’, che pochi produttori ad Hollywood avrebbero avuto il coraggio di finanziare e sostenere, andando inevitabilmente incontro a quella fastidiosa discrepanza tra critica e pubblico negli ultimi tempi più volte venuta a galla dinanzi ad alcuni ‘atipici’ film dell’orrore. Ma Hereditary – L’eredità del male ha indicato, segnato e asfaltato una precisa strada. E da ora in poi nulla, tra case infestate e sedute spiritiche cinematografiche, sarà più come prima.
[rating title=”Voto di Federico” value=”8.5″ layout=”left”]
Hereditary – L’eredità del male (Usa, 2018, horror) di Ari Aster; con Toni Collette, Gabriel Byrne, Alex Wolff, Milly Shapiro, Ann Dowd, Marilyn Miller, Mallory Bechtel, Rachelle Hardy, Shane Morrisun – uscita mercoledì 25 luglio 2018.