Venezia 2018, Van Gogh – At Eternity’s Gate: Recensione del film di Julian Schnabel
Willem Dafoe è uno straordinario Vincent van Gogh nel biopic diretto da Julian Schnabel.
22 anni dopo l’esordio alla regia con Basquiat, e ben 8 dopo la sua ultima fatica (Miral), Julian Schnabel è tornato in Concorso alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con At Eternity’s Gate, nuovo biopic dedicato ad una leggenda della pittura: l’olandese Vincent van Gogh, magistralmente interpretato da un Willem Dafoe clamorosamente somigliante.
Schnabel, non solo regista e sceneggiatore ma anche, se non soprattutto, pittore, ha ripercorso gli ultimi tormentati anni di Van Gogh, suicidatosi (o ucciso?) all’età di appena 37 anni. In poco meno di un decennio Vincent, incompreso e deriso per le sue opere, realizzò quasi 1000 dipinti e oltre 1000 disegni, lavorando incessantemente alla sua arte, che solo dopo la sua morte contribuì a rivoluzionare in modo deciso la pittura del XIX° secolo.
Non un biopic nel senso classico del termine, quello realizzato da Schnabel, che ha attinto da fatti comunemente accettati come realmente accaduti, leggende metropolitane, eventi totalmente inventati e da alcuni dei più celebri dipinti realizzati dal tormentato pittore olandese, che rivive dalla prima all’ultima scena sui lineamenti marcati di colui che fu Gesù Cristo per Martin Scorsese e Pasolini per Abel Ferrara.
Il regista de Lo scafandro e la farfalla e di Prima che sia Notte si sofferma sul concetto di ‘artista’, mostrandoci il mondo attraverso gli occhi appannati di Van Gogh, i suoi pensieri ricorrenti, il suo smisurato amore per la Natura, da contemplare, respirare e riprodurre su tela per immobilizzarla nel tempo. Il complicato e burrascoso rapporto con Paul Gauguin (interpretato da un poco incisivo Oscar Isaac), esploso nel 1988, trascinò definitivamente il pittore olandese verso la follia, tanto da tagliarsi via un orecchio per spedirglielo come ricordo della loro amicizia, incrinata dai due incompatibili caratteri e dall’incompresa arte di Van Gogh, letta con scetticismo e criticata persino dall’amico.
Illuminata a giorno dal giallo, la fotografia di Benoît Delhomme pennella con eleganza paesaggi di conturbante bellezza, mentre le raffinate musiche di Tatiana Lisovskaya accompagnano Dafoe tra campi di grano e girasoli, prati in fiore e donne da ritrarre.
Il suo Van Gogh, solitario e poverissimo, mantenuto dal fratello mercante d’arte e di fatto reietto, cede con facilità a ripetuti scatti d’ira, cominciando ad entrare e ad uscire dagli ospedali psichiatrici. Sono gli anni in cui Vincent, depresso e desideroso di morte, realizza centinaia di opere, dipingendo a getto continuo, completando dipinti in poche ore del giorno. Macchina a mano Schnabel segue da vicino il suo Van Gogh, i suoi occhi tristi, il volto scavato, le mani sporche di pittura che generano meraviglia, soffermandosi sui pochi rapporti d’amicizia e famigliari tenuti dal pittore, chiaramente nato in un’epoca a lui ostile, perché ancora incapace di capirlo, apprezzarlo, celebrarlo.
Rapporti come quello con l’amato fratello, interpretato da Rupert Friend, e con la gentile donna della locanda che ha i lineamenti di Emmanuelle Seigner, senza dimenticare l’affetto provato nei confronti di Gauguin (Isaac, come detto) e un confronto serrato di tipo artistico, psicologico e religioso con Mads Mikkelsen, prete chiamato a decidere su un suo eventuale ritorno a casa dopo il ricovero ospedaliero.
L’insofferenza fisica e psichica del pittore trova credibilità grazie ad un Dafoe semplicemente impeccabile, mentre Schnabel firma la sua lettera d’amore nei confronti dell’arte pittorica, da leggere come strumento per raggiungere e rappresentare il divino, l’ineguagliabile meraviglia della natura, l’assoluta unicità dell’essere umano e del suo univoco sguardo. Seminato incompresi e inizialmente derisi capolavori nel corso della propria breve esistenza, Van Gogh ha resistito al tempo e alla sua misteriosa morte (omicidio o suicidio, Schnabel prende posizione), iniziando a raccoglierne i frutti solo nei 128 anni successivi al suo decesso, profondamente segnati dal suo rivoluzionario sguardo d’autore.
[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]
Van Gogh – At Eternity’s Gate (Usa, Francia, biopic, 2018) di Julian Schnabel; con Willem Dafoe, Rupert Friend, Oscar Isaac, Mads Mikkelsen, Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Niels Arestrup – nei cinema d’Italia dal 3 gennaio 2019.