Skyfall: Recensione in Anteprima
Dopo quattro anni d’assenza, finalmente ritorna 007. Ecco la nostra recensione in anteprima di Skyfall
Pensa ai tuoi peccati.
Cinquant’anni. Ventidue film. Sei agenti speciali 007. Bisogna proprio dare i numeri per convincere il mondo che le storie del più celebre agente segreto britannico di sempre possano ancora catturarci come e più di prima. Bond 23, peraltro, è stato probabilmente il capitolo più travagliato di questa rinomata saga. Lungi quindi dall’essere il numero fortunato, questa ventitreesima incarnazione ha rischiato più di tante altre.
Tuttavia esiste una legge, scritta nel cielo e alla portata solo di coloro che hanno occhi per vederla. Una legge dalla quale non vi è alcuno che può sottrarvisi; non se intende risorgere. Tale legge recita che nessuno potrà mai toccare le stelle se prima non sia stato scaraventato nelle viscere della terra. La caduta prima del più alto dei voli.
Dietro il titolo di questo nuovo capitolo di una delle saghe cinematografiche più longeve della storia, si cela un intero universo. Ed in fondo è tutto lì, in quell’unica ma complessa parola: Skyfall. Parecchie sono state le congetture esposte a seguito del suo annuncio. Tra queste, molte stravaganti; tra queste, alcune singolarmente e sorprendentemente veritiere.
Una cosa è certa: a prescindere dal significato assunto dal termine nato dall’unione di queste due parole (sky e fall), sia il cielo che la caduta sono radicalmente presenti, entrambi in egual modo, in quest’opera. Perché non vi è cielo senza terra e non si può comprendere quale sia la vetta da raggiungere se prima non si è rovinosamente caduti verso il basso.
L’incipit di Skyfall è tra i più classici nell’ambito delle opere di spionaggio. Qualcuno ha messo le mani sulla lista degli agenti militanti nell’MI6, esponendo comprensibilmente l’agenzia a pericoli inauditi. La missione di Bond sarà quindi quella di recuperare tale lista, cercando di capire chi c’è sotto e perché. Ma questa non è che la superficie.
Perché Skyfall non si limita a collocarsi tra le normali pellicole a tema. Attorno a sé orbitano questioni profonde, oseremmo dire ataviche. Dubbi e incertezze che scavano nel passato di Bond, e di tutto ciò che gli è più caro: l’agenzia, M, finanche il suo Paese. Pardon, Patria.
Oggi certi termini soffrono di un’eco quasi anacronistica; residui di un passato che sembra non esistere più, archiviato nello stesso scompartimento di qualsivoglia ideologia. Ma è proprio intorno a tale premessa che emerge una delle chiavi di lettura più evidenti di Skyfall. Il vecchio e il nuovo si incontrano e si scontrano in una sorta di immaginario duello al quale, oramai, nessuno dei due può più sottrarsi.
Bond 23, in tal senso, è un capitolo di transizione che si pone esattamente nel punto di intersezione tra ciò che è stato e ciò che sarà. Di mezzo c’è il presente, incerto e oscuro come forse mai prima d’ora. E’ questo il punto che mette tutto spietatamente in discussione. La domanda essenzialmente è: c’è ancora spazio per 007 nell’era in cui ci accingiamo ad entrare?
Lasciamo che sia la visione del film a darvi una risposta, e più ancora quanto voi, spettatore dopo spettatore, riuscirete a ricavare in merito. Per quanto attiene alla nostra trattazione, ci limitiamo ad altro. Uno dei paralleli più agevoli da sottoporre è quello con la trilogia del Batman di Nolan. Non ci soffermeremo oltremodo su questo punto, ma certi spunti sono talmente palesi da costringerci a non farne a meno. In Skyfall c’è parecchio della parabola ascendente e discendente di Bruce Wayne. Elementi tratti, consapevolmente o meno, da tutti e tre i film incentrati sul Cavaliere Oscuro. Il senso della vocazione, la pressante esigenza di giustizia, il superamento (e conseguente riscatto) del protagonista mediante la maschera che è tenuto ad indossare. Pensate, c’è pure una nemesi, Silva (Javier Bardem), che ricorda molto da vicino il leggendario Joker; castigo meno perfetto e personaggio meno complementare di quanto avvenga nel mondo di Gotham City. Ma altrettanto folle e imprevedibile, in ogni caso.
Eppure una chiave di lettura a nostro parere molto interessante, che si ricollega a quanto appena considerato, la troviamo ancora una volta nel titolo. Evitando un giro troppo largo, esiste un’espressione giuridica latina che recita “fiat iustitia ruat caelum“; tradotta, “sia fatta giustizia anche se questo facesse sprofondare il cielo“. Skyfall, il cielo che sprofonda. Quanto l’espressione scelta come titolo calzi con ciò avviene durante il film, non fa che rafforzare la nostra tesi. A tempo debito si scoprirà come il vero motore dell’intera vicenda sia proprio la brama di giustizia. Non la mera vendetta, come si sarebbe portati (non a torto) a credere, bensì il desiderio perverso di ristabilire un ordine, violato e vilipeso senza sosta. “Qualcuno muore“, sentenzia Bond. E’ proprio così: talvolta per riportare l’equilibrio serve un episodio estremo.
Vedete come Skyfall tocchi corde decisamente alte, apparentemente troppo per ciò che gli compete? Ma come avviene sempre quando ci si trova dinanzi ad opere di così ampio respiro, anche questa si serve dei mezzi che le sono propri per parlarci di ciò che ci circonda, del nostro presente. L’esplosione presso la sede dell’MI6 non è che il preludio di quanto dovrà accadere. Esattamente, dovrà! Ognuno dei personaggi, spinto da motivazioni diverse, sembra essere agito da un’unica entità. Chiamatelo deus ex machina, o semplicemente Deus. Poco rileva, dato che tutto ciò ci serve per evidenziare un aspetto pregnante del film: l’abilità degli sceneggiatori nel giocare con le luci e le ombre di ciascuno dei personaggi è fenomenale. Non esistono né buoni né cattivi, solo attori che condividono il medesimo palcoscenico. L’ambiguità, in tal senso, rappresenta uno dei valori decisamente aggiunti di Skyfall, dove anziché puntare su toni netti ed inequivocabili, ci si gioca tutto sulle sfumature. Tutti vittime e tutti carnefici al tempo stesso. Bond non è da meno, a suo tempo preda e cacciatore. Su tutti però si erge proprio quella Giustizia, esatta, perfetta, insindacabile, che tutti muove con dei fili invisibili. Non come Mangiafuoco con i suoi burattini nel romanzo di Collodi, bensì come una forza discreta alla quale ognuno dei personaggi si uniforma, volente e nolente, in perfetta armonia.
Apparentemente consapevoli eppure del tutto ignari di ciò che sta loro accadendo, così come nella celebre fiaba popolare anglosassone di Chicken Little (da cui è stato tratto il personaggio Disney). Un giorno Chicken Little avverte che il cielo sta sprofondando, così decide di correre ad avvisare il Re. Strada facendo incontra una serie di animali che, dopo averle domandato dove andasse così di fretta, uno ad uno si uniscono al viaggio. Finché non incontrano una volpe, che si offre di accompagnarli alla corte del Re. I finali sono molteplici, ma in quello che sembrerebbe essere il più famoso, la volpe mangia tutti gli animali, tranne uno che riesce ad avvertire Chicken Little, permettendole di fuggire in tempo. Cosa c’entra tutto ciò? Beh, uno dei titoli originari di questa fiaba è proprio The Sky is Falling. E, cosa altrettanto curiosa, il primo dei personaggi ad unirsi al gruppo si chiama Henny Penny. Esatto, nome non del tutto estraneo alla saga di 007, alla luce di uno dei personaggi più celebri, ossia Miss Moneypenny; la quale torna proprio in Skyfall (cosa che si sapeva già alla vigilia).
Ma quel che più conta è che sembra quasi inevitabile avvertire un certo taglio fiabesco lungo il protrarsi degli eventi del film. Magari in penombra, così come 007, di cui spesso e volentieri scorgiamo solo la sagoma. Qui ci ricolleghiamo ad alcune considerazioni di carattere più tecnico. Perché al di là di disquisizioni più ardite come quelle finora proposte, c’è tanto altro da dire sull’impatto visivo in Skyfall.
L’idea che è cresciuta fino a maturare durante la proiezione, riguardo allo stile del film, si riassume in poche battute: elegante e sofisticato quanto basta. Non una sola sbavatura nell’encomiabile regia di Sam Mendes, che per tutte le due ore e venti circa trova un equilibrio pressoché ineccepibile. Che si tratti delle poche ma efficaci scene d’azione, oppure di più cadenzate sequenze in cui viene portata avanti la trama, il regista britannico confeziona un lavoro di fattura oltremodo pregevole. Mai un movimento di camera “sbagliato” o anche solo superfluo, mai uno stacco inappropriato: tutto concorre alla creazione di un mood particolarissimo, i cui eventuali difetti, se ci sono, vengono dissimulati talmente bene da non meritare alcuna menzione. Il tutto, corroborato da una fotografia che (perdonate il gioco di parole) vi rimarrà impressa. Scene come quelle su un grattacielo di Shanghai meritano da sole il classico prezzo del biglietto. La trasposizione in immagini del tenore degli eventi e dello stato d’animo dei protagonisti è testimone assoluto della maestria nel comporre la scena come raramente ci capita di vedere.
Non a caso pare che chi di dovere abbia avuto un gran da fare con le location. Che si tratti di set o di esterni, la potenza espressiva dei luoghi entro cui si svolge l’azione lascia davvero senza fiato. Le rovine di Macau, laddove la narrazione muta completamente registro, oppure Londra… che dire di Londra? Per una pellicola così spiccatamente british, puntare a più livelli sulla City per antonomasia non rappresentava una scelta tra le tante, bensì una priorità. Perché se il cosmo di 007 deve proprio frantumarsi per poi ripartire, è bene che le ceneri da cui risorgere siano quelle del suo epicentro. Londra, per l’appunto; nello specifico, il quartier generale dell’MI6. E qui torniamo al lavoro di Mendes, che fonde il tutto impeccabilmente, scegliendo una regia sobria ma non meno efficace. In questo caso regna la massima minimalista secondo cui “meno è più“.
Passando in rassegna il cast, ci troviamo dinanzi ad un potpourri ampiamente riuscito. Da un lato abbiamo Daniel Craig, profondo, deciso, un Bond che ha già lasciato un’impronta indelebile. Sulla stessa linea c’è Lady Judi Dench, elegante e raffinata come sempre, la cui indole squisitamente britannica ci forza ancora una volta ad amarla come nel recente passato. Sono loro i baluardi di un tradizionalismo più volte sbandierato, quasi difeso a tal punto da rischiare a tratti di sfociare in un non auspicabile conservatorismo. Ma i due sono perfettamente consci della loro situazione e di quella dei tempi in cui vivono, anzi, lo sono più di tutti gli altri. Il loro è ancora una volta un rapporto molto intenso, seppur distinto ed interiorizzato all’inverosimile. Non si tratta semplicemente di stima e rispetto reciproco: c’è molto di più, ed in Skyfall ne abbiamo l’assoluta conferma.
Quanto alla nuova guardia, può suonare strano, eppure non esitiamo a mettere sullo stesso piano Ben Whishaw (Q) e Javier Bardem (Silva). Che ci fanno questi due insieme? Semplice. Entrambi, ciascuno a proprio modo, portano avanti le medesime istanze di innovazione – che poi sono quelle che Skyfall rigetta, prima velatamente, infine esplicitamente. Per esempio, condividono la propensione all’essenziale. “Non c’è niente di superfluo nella mia vita“, dichiara più o meno testualmente Silva. Dall’altro lato l’agente Q liquida Bond con un equipaggiamento quanto mai striminzito, congedandosi pure con un certo sarcasmo (“cosa t’aspettavi? I tempi sono cambiati“). Ironia che riscontriamo in parecchie fasi del film, contrassegnate da un humor spesso tagliente e praticamente mai banale. Ma c’è differenza tra la saccenteria di un Q e lo scomposto sarcasmo di Silva. Dietro l’apparente giocondità di quest’ultimo, si cela una lacerazione profonda, sedimentata. Il Silva di Bardem è un personaggio ferocemente efferato, mosso da uno spietato dolore. Non il solito cattivo à la 007, fermo alla brama di potere o di denaro. Interpretazione magistrale, quella di Bardem, ispirata quasi quanto quella di Anton Chigurh in Non è un paese per vecchi. Dentro di lui brucia il fuoco del Caos (altro rimando al Joker), che accostato alla frenesia per il nuovo che avanza, ci dà un’idea del perché un certo tradizionalismo venga trattato con tono accondiscendente.
In mezzo troviamo due personaggi che tendono a bilanciare questi due estremi, deputati quasi al traghettamento da una dimensione all’altra. Questi sono Eve (Naomi Harris) ed il funzionario governativo Gareth Mallory (Ralph Fiennes). A cavallo tra i due “estremi”, ad entrambi viene curiosamente rinfacciata la stessa cosa da Bond, ossia non avere idea di cosa significhi operare sul campo. Allusione nient’affatto casuale anche in questo caso, e capirete a tempo debito perché.
Tirando le somme, l’esperienza di Skyfall è di quelle a cui raramente capita di sottoporsi. Bilanciata in ogni sua forma, ci consegna quello che probabilmente era il miglior James Bond che si potesse proporre in questo preciso periodo storico. E ciò vale tanto per l’epoca in cui viviamo, quanto per la saga nello specifico. Dopo un Quantum of Solace che aveva lasciato l’amaro in bocca, Skyfall fa esplodere le potenzialità insite in un universo come questo, spingendole oltre i limiti consentiti.
Mentiremmo se negassimo che su certi toni implicitamente trionfalistici non vi sia una certa influenza dettata dal cuore. Ma sarebbe altrettanto scorretto e inopportuno relegare il nostro giudizio su quest’opera alla semplice sfera emotiva. Perché siamo pienamente convinti, di una convinzione che sfiora quasi la follia, che un film come questo possa e per certi aspetti debba piacere in maniera decisamente trasversale. Intanto poiché non manca nulla a Skyfall: teso come una corda di violino, si lascia seguire sino all’ultimo in un sol fiato.
Ma soprattutto perché troviamo sublime il percorso di uno 007 che ha letteralmente bisogno di sprofondare nelle acque torbide del tempo, per poi ritrovarsi e ritrovare quel mondo per cui ha messo tutto in discussione tanto tempo fa. Solo allora, dopo aver toccato il fondo, potrà risalire e guardare quel suo mondo da una diversa prospettiva, cioè dall’alto. Perché a James Bond, come dice lui stesso, “non è mai piaciuto sprecare un gran bel panorama“.
Voto di Antonio: 9,5
Voto di Simona: 8
Voto di Gabriele: 8
Voto di Federico: 8
Voto di Carla: 8
Skyfall (Regno Unito, 2012). Di Sam Mendes, con Daniel Craig, Judi Dench, Javier Bardem, Ralph Fiennes, Naomie Harris, Berenice Marlohe, Ben Whishaw, Albert Finney, Rory Kinnear, Ola Rapace, Tonia Sotiropoulou e Helen McCrory. Qui trovate il trailer italiano. Nelle nostre sale da mercoledì 31 Ottobre.