Torino Film Festival: My Blueberry Nights, Vogelfrei, Lontano da lei e The Tracey Fragments
Prime considerazioni dal Torino Film Festival 2007. Non è un caso che My Blueberry Nights non sia piaciuto a Cannes. Oltre a soffrire la sindrome da “film d’apertura”, il primo film in inglese di Wong Kar-wai sa di operazione commerciale sin dalla scelta degli attori. Tra l’altro, tutti in parte, dall’esordiente Norah Jones a Jude
Prime considerazioni dal Torino Film Festival 2007. Non è un caso che My Blueberry Nights non sia piaciuto a Cannes. Oltre a soffrire la sindrome da “film d’apertura”, il primo film in inglese di Wong Kar-wai sa di operazione commerciale sin dalla scelta degli attori. Tra l’altro, tutti in parte, dall’esordiente Norah Jones a Jude Law, passando per un’azzeccata e “ribelle” Natalie Portman. Però, appunto, tutti famosi e di presa per il grande pubblico.
Anche la storia non è di certo quella delle passioni di In the mood for love (un capolavoro che My Bluebarry Nights non può essere, ma lo sa in partenza), e neanche di Happy Together. Quella che ci viene proposta è solo in secondo luogo una storia d’amore, ma è innanzitutto la storia di una ragazza che, attraverso alcune esperienze e soprattutto un viaggio on the road, capirà qual è la strada giusta per lei.
My Bluebarry Nights è un film di Wong Kar-wai per la delicatezza, per i colori della fotografia, per un certo gusto inconfondibile. I fan più accaniti avranno comunque qualcosa da ridire sulla scelta dell’uso estenuante delle immagini frammentate. Buona, comunque, la colonna sonora, con alcuni brani ovviamente interpretati dalla Jones.
In concorso troviamo Vogelfrei, opera divisa in quattro parti dirette da quattro registi diversi (Kalejs, Putnins, Smits e Viduleja) incentrata sulla figura di un uomo, dall’infanzia all’adolescenza, dalla maturità alla vecchiaia. Se il primo segmento (tra l’altro quello più corto), può valere qualcosa e risulta convincente, coi suoi silenzi e i suoi gesti, gli altri non sono all’altezza. Soprattutto quello riguardante la maturità, a tratti imbarazzante. Libera interpretazione d’obbligo per quanto riguarda il finale.
Sempre in concorso troviamo l’opera prima di Sarah Polley, Away from her (da noi Lontano da lei): l’Alzheimer si sta pian piano impossessando di Fiona, legatissima e innamorata da anni e anni del marito Grant. Assieme prendono la decisione dolorosa di separarsi: la donna entrerà infatti in una clinica specializzata. Quando Grant però andrà a trovarla dopo un primo mese obbligatorio di assenteismo, nulla è più come prima…
Il tema è doloroso: l’inesorabile perdita di memoria di Fiona coinvolge sia la donna in prima persona, che a volte si rende conto che sta dimenticando il suo passato, ma sempre più spesso non se ne rende più conto, ma anche il marito. Che è combattutto sul da farsi: tentare in ogni modo di aiutare la moglie e tornare con lei, o lasciarla al suo destino e al suo nuovo amore, conosciuto in clinica dopo aver dimenticato il suo passato e il suo matrimonio.
La Polley dimostra abilità e delicatezza nell’affrontare la questione, ed è supportata da un cast di tutto rispetto: e Julie Christie, per intensità e capacità d’immedesimazione col personaggio, meriterebbe una standing ovation. Peccato per quel finale, che ovviamente non rivelerò, ma che mi ha lasciato l’amaro in bocca…
La giornata per me finisce con The Tracey Fragments di Bruce McDonald, quello che è l’oggetto strano del festival, evidentemente: ad ognuno il suo. Il regista canadese gira in economia e decide di usare la tecnica del multi-frame per raccontare la storia della nerd Tracey, quindicenne disagiata con una pessima famiglia alle spalle e con un fratellino che scompare da un momento all’altro.
Di solito non amo questo tipo di operazioni, e per 80 minuti vedersi lo schermo diviso in tanti rettangoli con diverse scene provoca sicuramente il mal di testa: Greenaway (quello di Le valigie di Tulse Luper, soprattutto) ne sarebbe gelosissimo per come lo si è superato!
Però la tecnica, che tanto deve al mondo dei videoclip, in questo caso funziona: rappresenta bene le sfaccettature, le illusioni e il mondo in cui abita Tracey, interpretata benissimo da Ellen Page, protagonista tra l’altro di Juno, vincitore della seconda Festa di Roma. In più l’ironia riesce a regalare qualcosa in più allo spettatore, che dovrà subito scegliere se amare o meno questa operazione -che non dice nulla di nuovo ma esaspera tecniche già usate.