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Leoni per Agnelli: la critica italiana e della rete

Leoni per Agnelli di Robert Redford ha creato non poco caos nella stampa (e nella rete) italiana. Il film con Tom Cruise, Meryl Streep e lo stesso Robert Redford ha ricevuto critiche discordanti.Qui sul Cineblog ha ricevuto una bella recensione negativa ma vediamo insieme i pareri di giornalisti della carta stampata e dei cinemaniaci che

di carla
21 Dicembre 2007 13:25

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Leoni per Agnelli di Robert Redford ha creato non poco caos nella stampa (e nella rete) italiana. Il film con Tom Cruise, Meryl Streep e lo stesso Robert Redford ha ricevuto critiche discordanti.

Qui sul Cineblog ha ricevuto una bella recensione negativa ma vediamo insieme i pareri di giornalisti della carta stampata e dei cinemaniaci che invadono la rete. Il film esce oggi, venerdì 21 dicembre.

Lietta Tornabuoni – La Stampa: Tom Cruise in Leoni per agnelli mostra quanto sia diventato bravo. Meryl Streep, giornalista politica, brava è stata sempre e anche stavolta lo è. Robert Redford, professore universitario pacifista, occulta i settant’anni con troppo fondotinta, ma è bravo e anche simpatico. (…) Niente di nuovo, ma chissà che il film non possa ugualmente aiutare a riflettere. Verboso, declamatorio, Leoni per agnelli appartiene al cinema di parola.

meryl streep leoni per agnelliIl Giornale: Ci sarà mai un film prodotto e diretto da Robert Redford che non sia verboso? Lo è Lions for Lambs («Leoni per agnelli») esattamente come lo erano Gente comune, Milagro, In mezzo scorre il fiume, L’uomo che sussurrava ai cavalli e La leggenda di Bagger Vance. Ma almeno Lions for Lambs ha una lunghezza passabile.

Alberto Crespi dell’Unità: Alla fine il messaggio è: noi democratici siamo brave persone e amiamo l’America, ma Bush ci ha rotto il giocattolo e dobbiamo fare qualcosa per aggiustarlo. Lodevole e condivisibile: ma bastava la conferenza stampa, non serviva anche il film.

La Repubblica: Un film nobile che non rivela nulla di nuovo.

Paolo Mereghetti – Il corriere della sera: Sarebbe piaciuto a Mankiewicz questo film, per l’importanza che attribuisce alla parola, alla dialettica e alla retorica: il regista di Eva contro Eva, Giulio Cesare e Masquerade avrebbe saputo apprezzare quella che era stata la sua qualità principale, un cinema fatto di idee, recitazione e poco altro. Ma ricchissimo di intelligenza e lucidità.

Mariarosa Mancuso – Il Foglio: (…) la fotografia è un gradino sotto il professionale, e purtroppo lo è anche la recitazione di Meryl Streep.

Roberto Silvestri – Il Manifesto: Questo è il film. Semplice. Recitato da attori «forza della natura», di ogni genere e età (siano essi tenori, baritoni, soprano, stonati o controtenori). Il vero misterioso oggetto invisibile ripreso dal bel film è l’inconscio collettivo, lo stesso che poi fa votare la sinistra, soprattutto estrema, anche in Italia per Berlusconi o Cofferati, in nome dei nostri interessi materiali che, ci spiega Redford, sono in questo modo assai malamente tutelati.

Claudio Montatori di Cinema4Stelle:
“Leoni per Agnelli” non è un film di guerra, anche le scene di battaglia sono coinvolgenti e molto ben girate e la guerra è nei discorsi di tutti i personaggi, sia che si trovino dietro una scrivania o combattano nel gelo afgano. È piuttosto un film sull’atteggiamento della politica, dei media e dei cittadini americani nei confronti di quella e del loro Paese che l’ha dichiarata. Sono espresse le posizioni di tutti, di chi ci crede, di chi invece comincia ad avere un atteggiamento critico e di quanti se ne disinteressano perché delusi. Il film è interessante sotto molti punti di vista, sia per quelli strettamente cinematografici che per quelli attinenti i temi che propone. Non prende posizioni nette ma racconta la situazione. Ottime la regia e la prestazione degli attori, come la fotografia e le musiche. Qualche perplessità sulla sceneggiatura che volutamente concede poco allo spettacolo e all’azione.

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Federico Lommi di CineBoom: (…) Il cinema statunitense aveva decisamente bisogno di bel film “mattone” per natale, nonostante la grande interpretazione di Meryl Streep, mister “una sola faccia” Tom Cruise abbassa decisamente il nostro orizzonte d’attesa. Forse il film non parla della guerra veramente ma ci dice quanto sia difficile fare del buon cinema impegnato senza cadere nella banalità. (…) Quest’opera non è tutta da buttare ma non va assolutamente sopravvalutata poiché capolavoro non è e non sarà mai! L’attenzione rimane sempre viva e le buone parti action/patriottistiche sono giustapposte a quelle più riflessive/statiche di colloquio, i “leoni”, che dovrebbero essere i soldati mandati in guerra dagli “agnelli” al potere, ruggiscono e ringhiano rischiando quasi di indurci una compassione che davanti a certe immagini parrebbe innegabile e di condurci verso valori che forse prima di entrare in sala non avremmo mai condiviso. Nell’era del post-modernismo, dove tutti i valori rischiano di perdersi nel gran calderone, è più essenziale che mai entrare al cinema convinti di ciò che si pensa, per non rischiare magari un giorno di prendere…lucciole per lanterne.

Andrea D’Addio di FilmUp: Tutti possiamo fare qualcosa, tutti abbiamo il dovere morale di scegliere come e dove stare, non ci si può girare da un’altra parte: “come si può godere la vita se si sa che dall’altra parte del mondo c’è morte e disperazione?”. Redford è contrario alla guerra, ma rispetta i soldati che si sono impegnati in nome del proprio Paese: quando i due ex studenti si alzano in piedi, non sono i protagonisti di una retorica scena di coraggio, ma gli emblemi del coraggio stesso: quello di credere che le cose si possano cambiare davvero.

Manuel Billi di Gli Spietati: Limpidamente schierato, a tesi, cristallino fin dal titolo, il nuovo lavoro di Robert Redford è un “apotrittico” che alterna, spesso faticosamente, tre livelli di racconto, tre “spazi” fisici (l’ufficio del professore/del senatore/le montagne dell’Afghanistan) e simbolici (cultura-potere/teatro di guerra ove si consuma il “sacrificio” degli impegnati), tre procedimenti dialogici (l’arte maieutica messa in opera da Stephen Malley /l’intervista incalzante della giornalista “lacerata” Janine Roth/la negazione della dialettica nell’esercito, monodimensionale ed inevitabilmente “asimmetrico”) al fine di (d)enunciare una verità lapalissiana, come se il cinema civile fosse oramai “in ritardo” rispetto all’Evento, già “storicizzabile”. (…) Un’opera “vis-à-vis” (A di fronte a B, C di fronte a D, D di fronte allo schermo televisivo, E e F di fronte al nemico invisibile), esteticamente prigioniera della propria “frontalità” (campi/controcampi), che vorrebbe “sfumare” ma che resta irrimediabilmente bitonale, divenendo involontario paradigma filmico della bicefala (o policefala?) America di oggi.

Matteo Signa di MyMovies: (…) Curioso pensare come l’ispirazione di Leone per agnelli sia nata da un utilizzo distratto del telecomando. Lo sceneggiatore Matthew Carnahan, infatti, una notte, mentre guardava la televisione, ha abbandonato un servizio giornalistico riguardante la guerra in Iraq per spostarsi su un canale sportivo. Come un cane che si morde la coda, non si capisce se la mancanza di attenzione e il conseguente abbassamento del pensiero critico sia dovuto a una narcotizzazione collettiva (media e politica) o se implichi un annullamento spontaneo dell’impegno personale.

Smeerch di ScreenWeek:
Pellicola discutibile che comunque ha il merito di porre delle domande più che di dare delle risposte. (…) Lavoro meritevole di Redford dietro la macchina da presa. Niente da eccepire dal punto di vista registico. Per quanto riguarda invece la recitazione, diciamo pure che ha iniziato a fare sempre lo stesso personaggio. In altre parole: il lato paternalistico che già emergeva nella pellicola Spy Game, torna a farsi vedere anche in questa pellicola.
Chi prova antipatia per l’attore Tom Cruise lo troverà perfetto nel ruolo del giovane politico rampante dall’atteggiamento sbruffone.
Meryl Streep è sempre degna di grande rispetto. Una delle poche signore del cinema americano che non delude mai. Forse l’unica pecca sono quei suoi tic da sciuretta che, almeno in questo caso, si addicevano poco all’aspetto da super giornalista affermata che doveva interpretare.