Non è un paese per vecchi: recensione in esclusiva da Los Angeles
Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men – Usa 2007) Scritto e Diretto da Ethan e Joel Coen con Josh Brolin, Javier Bardem, Tommy Lee Jones, Woody Harrelson, Kelly MacDonald, Barry Corbin Ci sono determinati autori che costituiscono una garanzia per lo spettatore “costretto” a sborsare cifre sempre più alte per
Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men – Usa 2007) Scritto e Diretto da Ethan e Joel Coen con Josh Brolin, Javier Bardem, Tommy Lee Jones, Woody Harrelson, Kelly MacDonald, Barry Corbin
Ci sono determinati autori che costituiscono una garanzia per lo spettatore “costretto” a sborsare cifre sempre più alte per godere dell’emozione che solo la settima arte riesce a donare: Ethan e Joel Coen sono senza ombra di dubbio tra questi. Autori che non solo dimostrano di possedere una grande tecnica (di scrittura e di regia), ma soprattutto di essere capaci di metterla al servizio della storia, creando opere sempre di alta qualità e fruibili anche dagli spettatori meno esigenti e/o attenti.
Questo No Country for Old Men (basato su un racconto di Cormac McCarthy) non fa assolutamente eccezione. Ed anzi riporta di nuovo i fratelli verso quelle cime altissime da cui un po’ si erano distaccati con le ultime due commedie The Ladykillers e Intolerable Cruelty. Che pure erano film molto belli. Ma mostravano che in un certo senso la commedia, quel tipo di commedia, non è il loro campo. Questo nuovo parto, giustamente premiato con due Golden Globes (io avrei dato loro anche la regia) e candidato a ben otto statuette agli Oscar, ci riporta ad atmosfere a loro più consone: quelle di Fargo, Crocevia della Morte e Blood Simple.
La narrazione, introdotta da una voice over che ricorda molto sia Blood Simple che Il Grande Lebowski, ruota attorno al ritrovamento fortuito di una borsa con più di 2 milioni di dollari da parte di Llewelyn Moss (un Josh Brolin davvero convincente), in un luogo dove evidentemente è stato eseguito un regolamento di conti a causa della droga (anch’essa ancora presente sulla scena del massacro). Nel momento in cui Moss decide di prendere in consegna i soldi, inizia una catena di morti e violenza resa su schermo in modo davvero entusiasmante e mai stucchevole.
Il film ripropone, a ritmi spesso lenti e degni di Sergio Leone (i primi venti minuti sono esemplari a questo proposito), una tematica tipica dei già citati film “violenti” dei Coen: il senso della totale perdita di controllo da parte dei personaggi su ciò che accade nelle loro vite, che si intrecciano come sospinte da un disegno più ampio senza che loro possano far nulla per porre rimedio. A questa idea narrativa si sovrappone poi quella, fondamentale, della stupidità intrinseca della violenza (sottolineata da quel sottile filo ironico, che scorre parallelo alla trama, tipico di tante opere dei Coen): non c’è compiacimento nel mostrare sangue e corpi trivellati, quanto piuttosto la volontà di rendere assolutamente prive di razionalità queste morti, mettendone a nudo non tanto (non solo, dato che una delle tagline è “There Are No Clean Getaways”) l’inevitabilità, quanto l’inevitabile inutilità (ricordo ancora con piacere l’immenso Steve Buscemi e il suo collega in Fargo, due dei personaggi da me più amati nel corpus di lavori dei Coen).
Il film, dall’intreccio più imprevedibile di quanto si possa pensare, si regge comunque in gran parte sullo stato di grazia dell’intero cast di attori, anche in considerazione della quasi totale assenza di musica: di Brolin ho detto; da aggiungere un sarcastico Tommy Lee Jones sceriffo disilluso e un Woody Harrelson in una fulminante apparizione. Ma colui che davvero meriterebbe un Oscar per la sua interpretazione è senza dubbio Javier Bardem, che ha ricevuto da questa sceneggiatura quello che ritengo il suo ruolo migliore. Con lo sguardo perennemente rigato da vene di sangue, con un volto quasi assonnato che mostra il suo distacco da un mondo in cui distribuisce morte a piene mani, Bardem costruisce un personaggio di folle enigmatico, di cui poco si capiscono le motivazioni, ma dal quale ci si sente attratti: l’attrazione del male che passa attraverso il corpo di un grande attore.
Un gradito ritorno alle radici, dunque, in un film dal respiro classico che spero abbia i giusti riconoscimenti in sede di Oscar. Per quanto mi riguarda si pone ai gradini più alti della personale classifica dei film dei fratelli terribili.
Voto Mario: 9.5
Voto Carla: 8/9
Voto Gabriele: 9
Voto Simona: 8 e mezzo