Torino 2012 – Arthur Newman: recensione in anteprima del film con Colin Firth ed Emily Blunt (Concorso)
Non era stato accolto proprio benissimo a Toronto, eppure è finito in concorso al 30. Torino Film Festival. Cosa ha mai potuto convincere i selezionatori a prendere un film che la critica americana non sembra aver amato molto, e cosa li ha convinti ad inserirlo nella competizione ufficiale? Prima risposta: si tratta di un titolo indie statunitense con un paio di attori ben noti come Colin Firth ed Emily Blunt.
Elementi sufficienti per attirare la folla e l’attenzione sulla pellicola, quindi anche sul festival stesso. Guardando il film, tuttavia, ci si chiede come mai Arthur Newman sia stato accolto in quel modo a Toronto. Perché, pur non priva di difetti, l’opera prima di Dante Ariola (regista di diverse pubblicità) non è affatto disastrosa, e merita di essere valutata forse con più attenzione.
Insoddisfatto, divorziato, con il figlio adolescente che non vuole nemmeno incontrarlo, Wallace Avery decide di cambiare vita, di botto. Sborsa 3000 dollari per comprarsi una falsa identità: passaporto, carta d’identità, documenti… tutto nuovo, tutto appartenente ad Arthur Newman. Poi, dopo aver inscenato il suo suicidio, scompare. Sulla strada incontra una ragazza, Mike, con un sacco di problemi, e che forse ha qualcosa in comune con lui.
“Dove vuoi che ti porti?”, chiede Arthur a Mike. La ragazza non risponde, e questa sua non-riposta vale più di mille parole. I due sembrano capirsi sin da subito, anche se il mistero avvolge i passati di entrambi. Ma che ci sia un minimo comune denominatore tra le storie dei due è chiaro a tutti, soprattutto a loro stessi. I quali, infatti, non ci pensano troppo e decidono di restare assieme, viaggiando verso Terre Haute, dove Wallace potrebbe ricominciare una nuova vita da zero.
C’è tutta un’America inedita, nel film di Ariola. E’ l’America dei motel, delle autostrade, dei diner e dei piccoli supermercati, dei negozi di hot dog in mezzo al nulla. Luoghi di solitudini e di identità dimenticate e rubate. Quasi una terra di mezzo, da vivere a sfruttare finché se ne ha la possibilità. Si tratta, tra l’altro, di una possibilità assolutamente inedita e clamorosa: vivere nei panni di un altro (come in Ferro 3 di Kim Ki-duk, ad un certo punto i protagonisti s’intrufolano in case altrui), rubare la vita di altri, crearsene una a proprio piacimento, plasmandosela addosso. Addosso alle proprie potenzialità, ai propri desideri. Per vivere, finalmente.
“Sono sempre stato Arthur Newman, ma la vita mi ha obbligato a essere qualcun altro”. Ora Wallace ha la possibilità di essere un giocatore di golf come ha sempre sognato, vivendo al fianco di una misteriosa ragazza un po’ matta e problematica, ma adorabile, bellissima e sensuale, con la quale fare l’amore quando si vuole. Ma se Mike non si chiamasse appunto così, ma fosse Charlotte? E se il suo passato la condizionasse perennemente, anche se lei vorrebbe disfarsene?
C’è spazio per una bellissima utopia, in Arthur Newman. Poi la realtà entra a gamba tesa dentro al film, e non se ne va più via. Mentre seguiamo il road movie di Arthur e Mike, parallelamente osserviamo anche la vicenda del figlio di Wallace, che non ha praticamente più rapporti col padre e, dal momento che scompare, inizia ad avvicinarsi alla compagna del genitore. Di conseguenza e per via indiretta, anche alla figura stessa di Wallace…
Che senso ha scappare da un mondo di bugie per tuffarsi dentro un altro più bello, ma costruito su altre menzogne? Ma, soprattutto, ha senso scappare dalla propria identità, quando questa è stata creata sul proprio passato? Un passato che, in un modo o nell’altro, si comporta come una complessa “eredità”, e che difficilmente potrà scomparire dall’anima e dalla mente…
Scritto da Becky Johnston, nominata agli Oscar nel 1991 per Il principe delle maree, e sceneggiatrice di Sette anni in Tibet, Arthur Newman è pieno di idee, concetti e questioni interessanti ed affascinanti. Soprattutto, è ricco di scene gentilissime, in cui i personaggi si aprono intimamente allo spettatore. Basta un primo bacio sul letto, o una scena con un autobus che sembra portar via la persona “amata”, ad aprire il mondo delle emozioni dei personaggi.
C’è comunque qualcosa che non va, in Arthur Newman. Forse Ariola è troppo innamorato della sceneggiatura, e commette un tipico errore da regista alla sua opera prima: vuole raccontare il meno possibile con tempi più lunghi del necessario, giusto per farci star dentro tutte le suggestioni che ha in mente. Quindi, in sostanza, la tira per le lunghe, con il rischio di tediare lo spettatore soprattutto nella seconda parte, quando il climax dovrebbe crescere alla grande. Il climax c’è, tanto quanto l’alchimia perfetta tra Firth e la Blunt (meravigliosa), però…
Resta l’amaro in bocca per un film che avrebbe potuto essere un’opera prima di altro spessore, e invece deraglia un po’, dando la sensazione di qualcosa di già visto, un po’ buttato via e che non dice forse troppo di nuovo sui rapporti umani. Cosa non vera: ma si tratta di sensazioni, e basta leggere le recensioni da Toronto per capire in che modo è stato letto il film. Peccato, ma si tratta di un oggetto da non prendere sottogamba, anche grazie ad una colonna sonora ed una fotografia che funzionano emotivamente alla grande. Il finale, poi, non è per niente conciliatorio, e chiude molto bene un percorso che ha alcune carte e diversi momenti ben centrati.
Voto di Gabriele: 6.5
Arthur Newman (USA 2012, commedia 101′) di Dante Ariola; con Colin Firth, Emily Blunt, Anne Heche, Phillip Troy Linger, David Andrews, Kristin Lehman, Sterling Beaumon, Peter Jurasik, Autumn Dial, Nicole LaLiberte – Prossimamente in sala grazie a Videa.