Home Notizie B-Movie Festival: Cineblog intervista Sergio Martino

B-Movie Festival: Cineblog intervista Sergio Martino

A Milano si è appena concluso il B-Movie Festival. Noi di Cineblog abbiamo avuto il piacere di intervistare uno dei maggiori esponenti del cinema di genere italiano, ossia Sergio Martino.

pubblicato 19 Novembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 20:02


In questi giorni si è tenuto a Milano il B-Movie Festival. Una rassegna a formato familiare, oseremmo dire, tanto intima quanto aperta non solo verso i cultori di quella che possiamo certamente definire la più proficua stagione del nostro cinema (poiché essenzialmente il più esportato all’estero), ma anche nei riguardi dei meno addentro. Chi per motivi anagrafici, chi per interesse ritrovato, ha avuto modo di approfondire un periodo di cui tutt’al più ha sentito parlare.

Bistrattato, frainteso e a volte incompreso, il periodo oramai sepolto dei film di genere all’italiana rappresenta una delle pagine comunque più interessanti della nostra storia. Messa in ombra da una critica che tendeva a privilegiare film d’autore di altrettanti registi che hanno contribuito parecchio allo sviluppo della storia del cinema mondiale, il filone dei cosiddetti b-movie ha un po’ sofferto quella che molti definiscono un’errata percezione. La stessa definizione (b-movie, per l’appunto) tendeva a screditare certe pellicole, considerate minori nel migliore dei casi, se non addirittura velleitarie.

Successivamente la rivalutazione: ruolo importante quello giocato da Quentin Tarantino, la cui cinefilia dotta e versata in questa specifica materia ha riportato in auge generi e di conseguenza pellicole rimaste confinate a pochi circoli di assidui frequentatori di questi lidi. La storia certamente non si riduce a questi pochi cenni, che vanno più visti come un’introduzione a ciò su cui ci soffermiamo con questo nostro articolo.

Cineblog ha infatti avuto il piacere di intrattenersi con Sergio Martino, senz’altro uno dei maggiori esponenti del cinema di genere italiano. Un regista oltremodo trasversale, che ha spaziato nell’ambito di parecchie tipologie di cinema. Dal poliziesco al giallo, passando per la fantascienza, la commedia e il cannibalico. Da tempo passato al piccolo schermo, il regista romano ha da poco esordito su Rai 1 con Il paese delle piccole pioggie, film-TV trasmesso circa un mese fa. Di seguito ecco quanto emerso a seguito della nostra interessante chiacchierata.

B-Movie Festival: Cineblog intervista Sergio Martino
B-Movie Festival: Cineblog intervista Sergio Martino
B-Movie Festival: Cineblog intervista Sergio Martino
B-Movie Festival: Cineblog intervista Sergio Martino


B-Movie Festival: Cineblog intervista Sergio Martino
B-Movie Festival: Cineblog intervista Sergio Martino

Cosa significava fare cinema quando lei cominciò?
Allora era molto semplice, era una stagione straordinaria. Fare cinema era molto semplice, perché in realtà era un momento in cui il nostro cinema stava esplodendo a livello internazionale. Quindi i rischi economici erano pochi, dato che col solo incasso italiano si potevano sempre coprire le spese. Poi, se il film aveva le potenzialità per essere esportato all’estero, tutto il resto era guadagno, grazie anche ai produttori che sapevano fare questo mestiere (tra cui, in mezzo agli altri, certamente anche mio fratello). In seguito questa tendenza cambiò, dopo essere durata dalla metà degli anni ’60 alla metà degli anni ’80.

Il motivo di questa inversione di rotta, secondo lei?
Beh, nel frattempo il sistema di realizzazione dei film d’azione americani è avanzato molto in fretta, mentre noi non siamo riusciti a tenere il passo, rimanendo indietro. A mio parere anche per un problema politico, dato che in quegli anni l’Italia in tutti i settori dell’industria è rimasta un po’ appiedata. Questo perché i partiti (eravamo nei pressi di Tangentopoli) cos’hanno fatto? Hanno finanziato più i propri interessi che non quelli del rinnovamento. Per cui la crisi che oggi viviamo da noi è anche figlia di quella capacità miope di pensare che questo Paese potesse vivere sempre con l’arte dell’arrangiarsi.

Come spiega, dunque, il successo riscosso all’estero, specie successivamente?
Il motivo per cui vengo apprezzato io e tutti i colleghi di quella generazione nasce dal fatto che noi facevamo un cinema concorrenziale col cinema americano, nel senso che quello che in Italia compravi a 1 in America lo compravi a 10. Solo che magari anche quel singolo film valeva, quindi comprandone in blocco una serie si riusciva comunque a guadagnare anziché investire su un solo film americano che poteva anche andare male alle volte. Poi quest’equazione venne meno e noi restammo al palo. Io stesso, nei primi anni ’90, vedevo certi film d’azione americani con grandi effetti speciali e non capivo come si facessero. Poi andai negli Stati Uniti e capii, ma si tratta di processi ai quali noi siamo rimasti estranei. A conti fatti il cinema di genere italiano è morto. Quindi sono rimasto sorpreso io per primo quando, dopo una serie di frustrazioni dovute a una critica molto spietata che stroncava questo tipo di cinema, assistetti ad una riqualificazione del genere. Non solo da Tarantino ma anche da molti altri autori, nonché critici stranieri. A noi ci chiamavano bravi artigiani nel migliore dei casi, però in realtà eravamo i veri industriali, vista la mole di film che si girava all’epoca e che riuscivamo ad esportare all’estero.

E cosa ne pensa di questa rivalutazione postuma?
Si tratta di un riconoscimento che a me fa piacere avere, solo che a mio avviso è stato tardivo. Ma soprattutto non è stata intelligente questa valutazione di privilegiare solo il film d’autore, con tutto il rispetto per alcune opere straordinarie (per altre molto di meno), che in realtà poi è rimasto confinato al nostro Paese, salvo pochi casi.

Come si poneva (e come si pone tuttora) dinanzi alla critica cinematografica?
Beh a volte ho avuto delle frustrazioni perché ho avuto la sensazione che certi film si dovessero per forza classificare come film da non vedere poiché alla base c’era quella che addirittura posso definire una valutazione di casta. Credo che non appartenendo ad alcuna “intellighenzia” (le virgolette sono di Martino, ndr.), il nostro cinema doveva essere considerato di serie B, di serie C, talvolta trash. Insomma, il modo in cui è stato definito alcune volte era anche offensivo. Faccio un esempio. Giovannona Coscialunga disonorata con onore era una deliziosa commedia in cui non c’era nulla di volgare. Il titolo stesso voleva un po’ ripercorrere la rima con Mimì metallurgico ferito nell’onore. Tanto per cominciare si tratta di un film comico in cui per la prima volta la Fenech ha espresso la parte migliore di sé stessa, forse perché per i film gialli aveva una fisicità che non c’entrava niente: lei era una ragazzona prosperosa, che dava il senso della positività, quindi anche nei film gialli che ha fatto anche con me ha fornito prove che, con tutta la buona volontà, erano meno aderenti rispetto alle commedie. c’erano delle sequenze graziosissime, c’erano degli ottimi attori. Il mio film ebbe una valutazione negativa, ma se poi andiamo a guardare un film come Pretty Woman, anni dopo, il racconto è lo stesso. In quest’ultimo c’era un uomo che prendeva una prostituta dalla strada facendola apparire come sua moglie per poter concludere un affare. In Giovannona Coscialunga era la stessa cosa, solo che al posto dell’industriale c’era il segretario (Pippo Franco) che recuperava questa ragazza per conto del suo datore di lavoro al fine di ammorbidire l’altra parte con cui si stava portando a termine un affare.

Quindi si è trattato di una sorta di mistificazione da parte di certi critici?
Assolutamente… una mistificazione da parte di certi critici che non guardavano nemmeno i film certe volte, solo che bisognava etichettarli. Io stesso feci dei film lontani antenati dei cinepanettoni odierni, che avevano sì delle componenti erotiche, spinte, in cui alcune volte si eccedeva pure in qualche volgarità… ma non era sempre volontà del regista: molto spesso si trattava di una specifica richiesta da parte del distributore. Teniamo conto del periodo storico, in cui questo genere di film rappresentavano sul grande schermo un cambiamento di costumi molto importante in questo Paese. Dopo gli anni ’60 è stato rivisto certo senso del pudore, cosa che si è riflessa nel cinema. Certi film andarono bene proprio perché per la prima volta si vedeva una donna nuda, cosa alla quale comunque ci adeguavamo sostanzialmente per rendere più probabile il successo di certi film, laddove comunque nessuno ci obbligava. Alcune volte inserivamo anche immagini che non servivano. Addirittura io giravo delle versioni estese cosicché la censura potesse eventualmente tagliare quelle immagini che riteneva troppo scabrose, quando poi invece nelle versioni televisive non furono apportati alcuni tagli (mentre in quelle per la sala sì). Nello specifico di Giovannona Coscialunga, non c’era alcuna immagine volgare, eppure ancora oggi viene percepito come emblema di volgarità.

Insomma, fatti fama…
In realtà se ho fatto delle cose con dei compiacimenti di carattere morboso l’ho fatto più nei film gialli, in cui il distributore voleva delle componenti che fossero sotto certi aspetti erotici. Tuttavia si tratta di sequenze che quasi sempre ho girato male, in modo anche sciatto qualche volta. Un po’ di fretta anche, visto che nella sostanza del film non volevano dire nulla. Insomma se si tagliassero sarebbe anche meglio. Anche l’eccesso in ambito di violenza… probabilmente noi registi di quella generazione siamo stati registi che abbiamo accettato alcuni diktat. Col senno di poi alcune di queste le girerei in maniera più sobria, riuscendo magari ad essere altrettanto efficace.

Come si è rapportato all’epoca con certi temi tabù che ha trattato in parte della sua filmografia?
Nel momento in cui ho cominciato a far film con una certa assiduità, il sesso era già stato sdoganato, anche se si trattava comunque di una componente che portava la gente al cinema. In realtà ritengo che un film antesignano il tal senso fosse un film francese che in italiano si leggeva lesbiche, oppure un film in cui si vedeva un parto: le sale erano piene perché per la prima volta vedevi al cinema una donna che partoriva. Oppure ancora un altro film francese dove per la prima volta si vedeva un seno… la gente riempiva la sala. Quindi si trattava di un elemento di traino fondamentale, su cui la distribuzione speculava non poco e noi persone che dovevamo anche riempire il frigorifero ci siamo adeguati a questi standard. Ma continuo a pensare che alcune immagini potevano essere non girate.

Un film che l’ha particolarmente colpita di recente?
In ambito italiano ho apprezzato parecchio Tutti i Santi Giorni di Virzì. Gradevole a vedersi e con la scoperta di attori bravi ma non necessariamente noti. Ritengo che questa sia una strada. Virzì è un autore quindi non credo abbia bisogno del supporto di grandi nomi, ma mi piace l’idea di dare spazio a giovani attori. Stessa cosa dicasi per il film della Comencini presentato a Venezia (Un giorno speciale): il film mi è piaciuto un po’ meno, però comunque i due ragazzi sono straordinari.

A livello internazionale?
Posso dire di non aver apprezzato Pietà, il film che ha vinto a Venezia. Non so, non riesco a capire come mai abbia avuto tutto questo successo. Tornando molto indietro c’è un film che in un certo modo ha influenzato pure me, ossia Blade Runner. Anche oggi, rivedendolo, è straordinario. I film bisogna rivederli a distanza di tanti anni per capire se sono belli o meno. Quando un film riesce a sopportare l’usura del tempo, allora è un film perenne. Tornando in Italia, Ladri di biciclette per me è uno di questi. è un film straordinario, ma già La strada lo è un po’ meno.

Riguardo ad Antonioni, invece?
Antonioni non l’ho mai amato molto. Il suo miglior film a mio parere è Blow-Up. Tecnicamente era un mostro di bravura, mentre sono un po’ incerto riguardo ai contenuti di ciò che raccontava. L’avventura riesco ancora a trovarlo gradevole, ma altri film tipo La notte, insomma… Bisogna anche considerare il periodo: le gente stava bene e magari aveva piacere di soffermarsi a ragionare, anche se i suoi film sono stati più un successo di critica che di pubblico. Oggi probabilmente questo tipo di cinema arrancherebbe.

Tornando ai giorni nostri?
Cesare deve morire dei fratelli Taviani l’ho trovato un film godibile, piacevole anche nella sua intenzione di utilizzare attori presi dalla strada – o meglio dire, dal carcere (sorride, ndr.) – aspetto che ricorda un po’ Pasolini. In ogni caso, ricollegandomi un po’ al discorso di prima, nella storia dell’umanità salverei cinque o sei film, di cui tre di Charlot. Certi film di Chaplin sono eterni. D’altronde se quando vedi Il monello ancora ti commuovi, qualcosa vorrà pur dire.

Per quale film vorrebbe essere ricordato?
In realtà penso che verrò ricordato per Torso (I corpi presentano tracce di violenza carnale in originale, ndr.), che è un film che mi piace abbastanza, ma con alcune sequenze che forse potevo girare con più sobrietà. Sennò ci sono due altri film, che ebbero un discreto successo soprattuto all’estero, ossia Cugini carnali e La bellissima estate. Il primo dei due è un film volendo autobiografico, in cui parlo del primo approccio con l’altro sesso, la misoginia di un ragazzo introverso che scopre per la prima volta la donna.

Che ruolo e che valore hanno avuto certi brani di alcune colonne sonore dei suoi film? D’altronde ci sono gruppi che tutt’oggi, ammaliati da certe sonorità, hanno messo su interi progetti musicali basandosi proprio su quelle musiche… mi viene in mente un gruppo olandese: i B-Movie Orchestra.
Mi fa piacere che ci sia chi ancora apprezza. Io trovo bella la musica di Mannaja: quel brano, anche per il momento in cui fu realizzato, era qualcosa di abbastanza diverso. Altri brani nei miei film seguivano la falsa riga di quelli di Morricone, ma se dovessi comporre il mio film ideale direi che i titoli di testa di Mannaja rappresentano uno dei pezzi più suggestivi del mio cinema.

Noi ringraziamo di cuore Sergio Martino per la cordialità con cui si è prestato alle nostre domande, e chiaramente gli rivolgiamo i nostri migliori auguri per i suoi progetti presenti e futuri. Cogliamo l’occasione per ringraziare anche l’organizzazione del B-Movie Festival per la disponibilità e l’accoglienza.