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Cannes 2019, The Wild Goose Lake, recensione: elegante thriller cinese dai due volti

Festival di Cannes 2019: gioco di ombre che s’inseguono, The Wild Goose Lake è già uno dei film più propriamente belli di quest’annata, anche se gli manca qualcosa

pubblicato 19 Maggio 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 19:16

Pioggia a dirotto. Nei pressi di una stazione emergono in penombra le sagome di due persone. Non si conoscono, eppure pare che uno stesse aspettando l’altro. Uno è Zhou Zenong (Hu Ge), un boss della malavita, l’altra è Liu Aiai (Lun-Mei Kwei), una prostituta che soddisfa i propri clienti facendosi al contempo una nuotata. C’è molta diffidenza tra i due; una diffidenza che deve però essere superata poiché di lì a poco capiranno che l’uno non può fare a meno dell’altro, che fidarsi è insomma l’unica soluzione. Sono rimasti soli, ciascuno coi propri problemi.

Quello di Zenong è piuttosto complesso, basti sapere che è braccato dalla polizia per aver ucciso un loro collega, anche se si è trattato di un incidente. Liu a sua volta sta scappando dal suo protettore. I due percorsi s’incrociano, Diao Yinan va avanti e indietro nel tempo per illustrare come i due sono giunti a quell’incontro, in quella cornice suggestiva che ci accompagna, a diverse frequenze, per l’intero arco del film. Quei neon e quella pioggia, in quel contesto fatto di vicoli e vie strette, edifici diroccati, bancarelle e di nuovo tante luci, riflessi e strade bagnate.

The Wild Goose Lake in tal senso gode di una fotografia oltremodo ispirata, un dipinto in movimento che il regista cinese tratteggia con una precisione e una bravura invidiabile. Girato meravigliosamente, con quella messa in scena suntuosa e quei movimenti di camera precisi al millimetro, dove nulla è lasciato al caso. Già solo il ballo all’aperto che si trasforma in una carneficina, e che la macchina da presa segue senza staccarsi da Liu, nonché la meno concitata ma ancora più elegante scena in cui vengono alternate inquadrature di alcuni animali a quelle dei loschi figuri che stanno cercando Zenong, bastano e avanzano per cavarci fuori più corsi.

Quest’ultimo lavoro di Yinan in più occasioni è di una bellezza sconfinata, una vera gioia per gli occhi, quest’ultimi accarezzati non solo e tanto dall’azzeccata paletta cromatica, di un romantico familiare ma non per questo a facile da trovare, ma anche dall’innato senso del movimento che denota la sua regia, quel comporre un quadro e una sinfonia al tempo stesso. Geometria di suoni e colori che non possono lasciare indifferenti e che, anzi, a tratti, senza esagerare, tramortiscono proprio. Persino in certe inquadrature fugaci, quando Yinan indugia qualche istante in più per mostrare delle ombre su un muro mentre chi le riflette sta correndo, forse l’immagine più rappresentativa del film.

Suggestioni che non si fermano qui, perché c’è pure quel senso opprimente di un doppiogioco che da qualche parte sta prendendo corpo, anche se non c’è modo di capire da dove e chi potrebbe farne le spese. The Wild Goose Lake in tal senso beneficia parecchio da un uso sapiente delle location, che vengono sviscerate ed utilizzate con una cognizione tangibile: il modo in cui ci si sposta continuamente dagli interni agli esterni, con una disinvoltura che fa la differenza rispetto a quanto evidenziato sopra circa la componente sinfonica del film, quella continuità che non viene quasi mai interrotta, anche quando i piani diegetici si scambiano, specie nella prima parte.

È un peccato che Yinan non riesca ad esercitare un controllo analogo sulla scrittura, dispersiva nel senso che non riesce a raccogliere e far convogliare le non poche intuizioni verso una direzione. Una parabola resa intricata a dispetto di una linearità di fondo che viene soltanto dissimulata, non senza ragioni, per legittime ed in una certa qual misura giuste opportunità di stile. Stona infatti il grado di soddisfazione che The Wild Goose Lake consegue quando si tratta di esplorare anche singole situazioni, minuscole proprio, per costruirci sopra scene di per sé mozzafiato. Meno incisivo invece il film si mostra allorché tocca osservarlo nel suo insieme, che è sempre maggiore della somma delle sue parti.

L’imprevedibilità sopra evocata rispetto a come possa evolversi questo rapporto di evidente convenienza tra Zenong e Liu purtroppo non sembra rivelarsi sufficiente a colmare il gap tra i picchi d’eccellenza ai quali Yinan riesce a innalzare questo suo ultimo lavoro in alcuni punti, e un coinvolgimento, o per meglio dire, una resa del racconto che, dinanzi a tanto splendore, ne esce per lo più ridimensionato – impresa in cui invece è riuscito Hou Hsiao-sien con The Assassin, altro genere, bellezza simile. The Wild Goose Lake rimane ad ogni modo un film su cui tornare, che, al netto di questo suo limite, non secondario ma nemmeno così compromettente, conferma la statura notevole di colui che l’ha girato.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]

The Wild Goose Lake (Cina, 2019) di Diao Yinan. Con Lun-Mei Kwei, Hu Ge, Liao Fan, Regina Wan, Jue Huang, Meihuizi Zeng e Liang Qi. Concorso.

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