Home Festival di Venezia Venezia 2019, Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer, recensione – la vita di un poeta

Venezia 2019, Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer, recensione – la vita di un poeta

Il figlio di Tarkovskij raccoglie audio e filmati del padre, avvicinandolo un po’ di più. Leggete la nostre recensione di Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer

pubblicato 1 Settembre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 17:07

Una foto da bimbo appena nato, ad aprire e chiudere un discorso, quello fatto proprio da quel piccolo. È Andrej Tarkovskij, uno che non ha chissà quale bisogno di presentazioni. Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer ripercorre la vita, o per meglio dire l’esistenza del regista russo, senza accalcarsi sul mero dato biografico, rivelandosi già in questa scelta un lavoro ossequioso e in linea col soggetto. Che pessimo appiattimento qualora si fosse deciso di mettere insieme una serie di fatti; Andrej A. Tarkovskij, figlio del celebre cineasta, sa che, come dice quest’ultimo nel corso del documentario, per un russo il tempo non conta.

A Cinema Prayer è raccontato per intero da lui, dal suo protagonista; una collezione di registrazioni attraverso cui, rievocando alcuni passaggi chiave nella sua carriera, Tarkovskij c’illustra certe sue considerazioni su cosa sia l’Arte, quale il ruolo del poeta. Com’è giusto che sia, ci si prende il tempo che serve, eppure alla fine se ne esce comunque con l’impressione, che è più una convinzione, di aver appena grattato la superficie. Il punto è che si tratta di idee semplici, certo, ma di complessa esposizione, tanto che nemmeno un’intera e notevole filmografia ne ha potuto esaurire la portata.

Tarkovskij aveva tanto da dire, ma forse ancora di più da fare. Quando Sartre difese un suo film, disse di non sapere che farsene, visto che si trattava di una difesa filosofica, mentre lui faceva l’artista. Questa tensione costante, senz’altro percepibile in quei suoi film che lui sapeva “difficili”, volutamente non immediati proprio perché traevano linfa dal simbolo, ebbene, questa stessa tensione emerge qui in maniera più chiara, per forza di cose esplicita.

Cercare il senso del proprio stare al mondo: in questo si risolveva per il regista di Solaris il lavoro dell’uomo, che durerà finché l’ultimo dei poeti non tirerà le cuoia. Lui che, da un certo momento in avanti, è stato costretto lontano dalla sua amata Russia, di cui ha sempre serbato l’animo, pur anelando a poterla nuovamente bazzicare col corpo, perché sì, per lui la Russia era anzitutto l’Arte russa, a partire dalle icone, fino ai classici della Letteratura; ma la vita è anche materia, pure per una persona che lavorava scolpendo il Tempo.

Attraverso spezzoni di filmati, immagini, tutto riordinato in maniera minimale, senza eccessi di alcun tipo, la voce di Tarkovskij si scaglia contro l’aridità dell’uomo del suo tempo: «come può un poeta essere un non credente?». A quali orecchie poteva rivolgere certe domande? In un periodo in cui oramai il distacco con l’Assoluto si era in larga misura consumato, Tarkovskij vedeva in questo un chiaro segno del disfacimento, dell’estinzione prossima dell’Uomo, che non riconoscendo più il suo Creatore è inesorabilmente destinato a perire.

Se il tutto assume il tono del sermone, ebbene, è così. E se questo è troppo, dovete sentirlo mentre spiega perché servire riassume la missione dell’uomo in questa vita. Affermazioni forti, inequivocabili, mosse però da una sincerità che in pochi è possibile riscontrare. Fare film, in tal senso, non è mai stato un semplice fare film per Tarkovskij; attraverso quest’opera doveva lasciare il suo contributo, anzitutto a sé stesso, perché «se ci si è evoluti spiritualmente almeno di uno iota, nessuno potrà mai dire di aver vissuto invano». Lucido e diretto a tal punto, che dopo aver passato in rassegna film e divagazioni, da L’infanzia di Ivan fino a Sacrificio, intuisce, o sarebbe più opportuno dire “vede” quel che sta per accadere nel mondo, quando si dichiara fiducioso per il futuro della sua Russia (la Caduta del Muro è ancora lontana), perché lì è già possibile intravedere «i primi segni di una rinascita spirituale, al contrario del libero Occidente» in cui oramai lui risiedeva da tempo.

Verrebbe da dire profetico, se non fosse che a lui probabilmente questo termine spiacerebbe; il poeta va infatti al di là del Tempo, avendo vissuto quello che è stato quando non c’era e potendo vivere quel che è quando non ci sarà più. Un po’ come i suoi maestri, ossia Bresson, Leonardo, Shakespeare e Bach, che per l’appunto, non erano, rispettivamente, un regista, un pittore, un drammaturgo e un compositore. Solo poeti.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]

Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer (Italia/Russia/Svezia, 2019), di Andrej A. Tarkovskij. Con Andrej Tarkovskij. Venezia Classici Documentari.

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